Nella Messa della solennità dei santi Pietro e Paolo con la benedizione dei palli per gli arcivescovi metropoliti presieduta nella Basilica Vaticana, il Papa evidenzia le due diverse risposte dei due apostoli: la sequela e l’annuncio. Quando Cristo ci chiama, non possiamo rimandare: “Attenzione ad alcune scuse travestite di spiritualità: sono un’astuzia del diavolo che ci ruba la fiducia nella grazia di Dio e ci fa credere che tutto dipenda dalle nostre capacità”
Tiziana Campisi – Città del Vaticano
È gremita di 5 mila fedeli la Basilica Vaticana per la solennità dei santi Pietro e Paolo, dove si contraddistingue la statua bronzea del primo vicario di Cristo adornata con un piviale e la tiara sul capo. Ci sono cinquemila persone alla celebrazione presieduta da Papa Francesco che, come da tradizione, in questa occasione, benedice anche i palli per gli arcivescovi metropoliti posti davanti alla tomba di San Pietro il giorno prima. Sono 32 in tutto, 29, invece, i presuli presenti alla liturgia che prevede la consegna del paramento liturgico, simbolo della comunione con la Chiesa di Roma, alla conclusione della Messa.
La celebrazione ha inizio proprio con il rito della benedizione dei palli, sono quattro diaconi a portarli davanti all’assemblea. I metropoliti vengono presentati al Papa, quindi prestano il giuramento di fedeltà e obbedienza “al beato Pietro apostolo, alla Santa, Apostolica Chiesa di Roma”, al Pontefice e ai suoi legittimi successori. Infine Francesco recita una orazione stendendo le mani sui paramenti destinati ai metropoliti.
Pietro e Paolo: la sequela e l’annuncio
Nell’omelia il Papa ripercorre la vita di Pietro e Paolo ed evidenzia i diversi tratti dei “due apostoli innamorati del Signore” che definisce “due colonne della fede della Chiesa”. E comincia dalla storia di Pietro.
Quando quel giorno, a Cesarea di Filippo, Gesù interrogò i discepoli, Pietro rispose con una bella professione di fede: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Una risposta impeccabile, precisa, puntuale, potremmo dire una perfetta risposta “da catechismo”. Ma quella risposta è frutto di un cammino: solo dopo aver vissuto l’affascinante avventura di seguire il Signore, dopo aver camminato con Lui e dietro a Lui per tanto tempo, Pietro arriva a quella maturità spirituale che lo porta, per grazia, per pura grazia, a una professione di fede così limpida.
Francesco descrive le differenti risposte dei due grandi apostoli a Cristo. Quella di Pietro è la sequela, quella di Paolo l’annuncio. Simone, pescatore della Galilea, è intento a sistemare le sue reti quando un giorno Gesù lo invita a seguirlo, le abbandona senza esitazione.
Ha lasciato tutto, Pietro, per mettersi alla sequela del Signore. E il Vangelo sottolinea “subito”: Pietro non disse a Gesù che ci avrebbe pensato, non fece calcoli per vedere se gli convenisse, non accampò alibi per rimandare la decisione, ma lasciò le reti e lo seguì, senza chiedere in anticipo nessuna sicurezza. Avrebbe scoperto tutto di giorno in giorno, nella sequela, seguendo Gesù e camminando dietro a Lui.
Non si possono accampare scuse di fronte alla chiamata di Gesù
Dunque Pietro ci insegna che “non basta rispondere con una formula dottrinale impeccabile e nemmeno con un’idea che ci siamo fatti una volta per tutte”, precisa il Papa, Si impara a conoscere ogni giorno Dio mettendosi alla sua sequela; “diventando suoi discepoli e accogliendo la sua Parola” è possibile fare “esperienza del suo amore” che trasforma. E non è una risposta sulla quale temporeggiare quella da dare a Cristo, afferma Francesco.
Se possiamo rimandare tante cose nella vita, la sequela di Gesù non può essere rimandata; lì non si può esitare, non possiamo accampare scuse. E attenzione, perché alcune scuse sono travestite di spiritualità, come quando diciamo “non sono degno”, “non sono capace”, “cosa posso fare io?”. Questa è un’astuzia del diavolo, che ci ruba la fiducia nella grazia di Dio, facendoci credere che tutto dipenda dalle nostre capacità.
Essere Chiesa-in-sequela
Occorre distaccarsi dalle “sicurezze terrene, subito, e seguire Gesù ogni giorno”: questo impariamo da Pietro che ci invita “a essere Chiesa-in-sequela. Chiesa che desidera essere discepola del Signore e umile ancella del Vangelo”, spiega il Papa, perché “solo così sarà capace di dialogare con tutti e diventare luogo di accompagnamento, di vicinanza e di speranza” per l’umanità.
La chiamata di Paolo
Quanto alla risposta di Paolo a Dio, è quell’annuncio del Vangelo che lo porta a viaggiare, “a percorrere terra e mare, città e villaggi, non curandosi di soffrire stenti e persecuzioni” pur di far conoscere Gesù Cristo, osserva Francesco, tanto da meritargli l’appellativo di Apostolo delle genti.
Se la risposta di Pietro consisteva nella sequela, quella di Paolo è l’annuncio, l’annuncio del Vangelo. Anche per lui tutto iniziò per grazia, con l’iniziativa del Signore. Sulla via di Damasco, mentre portava avanti con fierezza la persecuzione dei cristiani, barricato nelle sue convinzioni religiose, gli venne incontro Gesù risorto e lo accecò con la sua luce, o meglio, grazie a quella luce Saulo si rese conto di quanto fosse cieco: chiuso nell’orgoglio della sua rigida osservanza, scopre in Gesù il compimento del mistero della salvezza.
Si cresce nella fede annunciando Cristo
Il Papa fa notare che guardando alla storia di Paolo, “sembra quasi che, più egli annuncia il Vangelo, più conosce Gesù”, e che “l’annuncio della Parola agli altri permette anche a lui di penetrare le profondità del mistero di Dio”.
Paolo, dunque, ci dice che alla domanda “chi è Gesù per me?” non si risponde con una religiosità intimista, che ci lascia tranquilli senza scalfirci con l’inquietudine di portare il Vangelo agli altri. L’Apostolo ci insegna che cresciamo nella fede e nella conoscenza del mistero di Cristo quanto più siamo suoi annunciatori e testimoni. Questo succede sempre: quando evangelizziamo, restiamo evangelizzati. E questa è una esperienza di tutti i giorni: quando evangelizziamo restiamo evangelizzati. La Parola che portiamo agli altri torna a noi, perché nella misura in cui doniamo riceviamo molto di più.
Mettere l’annuncio al centro
“Mettere l’annuncio al centro” è allora ciò che “è necessario anche alla Chiesa oggi”, rimarca Francesco, la Chiesa non deve mai stancarsi “di ripetersi: ‘per me il vivere è Cristo’ e ‘guai a me se non annuncio il Vangelo’” e deve avere “bisogno di annunciare come dell’ossigeno per respirare” e deve “trasmettere l’abbraccio dell’amore di Dio e la gioia del Vangelo”. “Crescere come Chiesa della sequela, come Chiesa umile che non dà mai per scontata la ricerca del Signore”: questo è bello, dice il Papa, che invita la Chiesa ad essere “al tempo stesso estroversa, che non trova la sua gioia nelle cose del mondo, ma nell’annuncio del Vangelo al mondo, per seminare nei cuori delle persone la domanda su Dio”. Esorta a “portare ovunque, con umiltà e gioia” Cristo ovunque, nelle famiglie, “nelle relazioni e nei quartieri, nella società civile” e ancora “nella politica, nel mondo intero, specialmente là dove si annidano povertà, degrado, emarginazione”.
Infine Francesco si rivolge agli arcivescovi che ricevono il Pallio, segno della comunione con la Chiesa di Roma, chiedendo loro di imitare Pietro e Paolo, di essere “discepoli nella sequela e apostoli nell’annuncio”, di “portate la bellezza del Vangelo ovunque, insieme a tutto il Popolo di Dio”. E terminando la sua omelia il Papa rivolge il suo “saluto affettuoso alla delegazione del Patriarcato Ecumenico” inviata dal patriarca ecumenico Bartolomeo, ringraziandola per la sua presenza ed esortando ad andare “avanti insieme, nella sequela e nell’annuncio della Parola, crescendo nella fraternità”.