Francesco: il futuro del mondo sarà di speranza se sarà insieme

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Adriana Masotti – Città del Vaticano

Un popolo “abbracciato dalla Croce che campeggiava sopra l’altare”, è la prima immagine che Papa Francesco rievoca parlando, nella catechesi all’udienza generale di questo mercoledì, del suo recente viaggio apostolico a Budapest e in Slovacchia, un pellegrinaggio che definisce con tre parole: preghiera, radici, speranza. Francesco ripercorre le diverse tappe e dice: “dopo questo viaggio, nel mio cuore c’è un grande ‘grazie’”.

Preghiera, testimonianza e amore umile

Della Messa che ha concluso a Budapest il 52.mo Congresso Eucaristico Internazionale, il Papa sottolinea la grande partecipazione del “popolo santo di Dio”, riunito davanti al mistero dell’Eucaristia e della Croce entrambi segni della via “dell’amore umile e disinteressato, dell’amore generoso e rispettoso verso tutti, della fede che purifica dalla mondanità e conduce all’essenzialità”. Così come in Slovacchia a Šaštín, presso il Santuario della Vergine dei Sette Dolori:

Perché a questo è chiamato anzitutto il Popolo di Dio: adorare, pregare, camminare, peregrinare, fare penitenza, e in questo sentire la pace, la gioia che ci dà il Signore. La vita nostra deve essere così: adorare, pregare, camminare, peregrinare, fare penitenza. E ciò ha una particolare importanza nel continente europeo, dove la presenza di Dio viene annacquata – lo vediamo tutti i giorni – dal consumismo e dai “vapori” di un pensiero unico – una cosa strana ma reale – frutto del miscuglio di vecchie e nuove ideologie. E questo ci allontana dalla famigliarità con il Signore. Anche in tale contesto, la risposta che risana viene dalla preghiera, dalla testimonianza, dall’amore umile. L’amore umile che serve. Riprendiamo questa idea: il cristiano è per servire.

Non c’è preghiera senza memoria

Il Papa ricorda la persecuzione patita da quel popolo a causa della persecuzione ateista e poi l’incontro con la comunità ebraica con cui si è rievocata la Shoah e a braccio Francesco aggiunge:

Uno dei vescovi slovacchi nel salutarmi mi ha detto – è già anziano: “Io ho fatto il conduttore di tram per nascondermi dai comunisti”. E’ bravo, questo: nella dittatura, nella persecuzione questo vescovo era un conduttore di tram. Poi, di nascosto, faceva il suo mestiere di vescovo e nessuno lo sapeva. Così è la persecuzione, nella persecuzione … Ricordate: non c’è preghiera senza memoria. La preghiera, la memoria della propria vita, della vita del proprio popolo, della storia … Fare memoria. Ricordare. Questo fa bene e aiuta a pregare.

Radici da custodire, ma non da ideologizzare

Il secondo aspetto sottolineato da Francesco è il “ricordo grato” delle “radici di fede e di vita cristiana”, particolarmente significativo in queste terre nel cuore dell’Europa. E ricorda alcuni testimoni luminosi della fede come i cardinali Mindszenty e Korec e il beato vescovo Pavel Peter Gojdič. Radici che affondano fino a raggiungere i santi fratelli Cirillo e Metodio, protagonisti nel nono secolo della prima evangelizzazione dei popoli slavi. Il Papa prosegue:

Più volte ho insistito sul fatto che queste radici sono sempre vive, piene della linfa vitale che è lo Spirito Santo, e che come tali devono essere custodite: non come reperti da museo, non ideologizzate e strumentalizzate per interessi di prestigio e di potere, per consolidare un’identità chiusa. No. Questo vorrebbe dire tradirle e sterilizzarle! Cirillo e Metodio non sono per noi personaggi da commemorare, ma modelli da imitare, maestri da cui sempre imparare lo spirito e il metodo dell’evangelizzazione, come pure dell’impegno civile – durante questo viaggio nel cuore dell’Europa ho pensato spesso ai padri dell’Unione europea come l’hanno sognata, non come agenzia per distribuire le colonizzazioni ideologiche della moda, no. Come l’hanno sognata loro –.

Dalle radici, così vissute, continua, “germogliano folti rami di speranza” per il futuro. E osserva che ciascuno di noi ha le sue radici a cui non deve rinunciare.

La speranza presente nei giovani e in chi vive per gli altri 

La speranza è il terza parola che il Papa usa per raccontare il suo viaggio, quella che ha visto negli occhi dei giovani, “nell’indimenticabile incontro allo stadio di Košice”, dove erano presenti numerose coppie giovani coi loro bambini.

Come forte e profetica è la testimonianza della Beata Anna Kolesárová, ragazza slovacca che a costo della vita difese la propria dignità contro la violenza: una testimonianza più che mai attuale, purtroppo, perché la violenza sulle donne è una piaga aperta, dappertutto. Ho visto speranza in tante persone che, silenziosamente, si occupano e si preoccupano del prossimo.

E cita le suore Missionarie della Carità del Centro Betlemme a Bratislava che accolgono persone senzatetto e l’impegno pastorale dei salesiani in mezzo alla comunità Rom incontrata alla periferia di Košice. I Rom, afferma, “sono dei fratelli nostri: dobbiamo accoglierli, dobbiamo essere vicini.”

La speranza “non va mai da sola”

Ma c’è un’altra parola su cui Papa Francesco insiste ed è insieme, una parola che sottolinea rievocando ancora l’esperienza fatta durante il recente viaggio:

A Budapest e in Slovacchia ci siamo trovati insieme con i diversi riti della Chiesa Cattolica, insieme con i fratelli di altre Confessioni cristiane, insieme con i fratelli Ebrei, insieme con i credenti di altre religioni, insieme con i più deboli. Questa è la strada, perché il futuro sarà di speranza se sarà insieme.