Chiesa Cattolica – Italiana

Francesco: Giuseppe, uomo di periferia, insegna alla Chiesa lo sguardo dell’essenziale

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

La Chiesa riparta da Betlemme e da Nazaret, recuperi lo sguardo “su ciò che il mondo ignora volutamente”, sulle periferie geografiche ed esistenziali, e la “capacità di discernere e valutare l’essenziale”, imparando da San Giuseppe “a dare importanza a ciò che gli altri scartano”. Papa Francesco inizia in Aula Paolo VI un nuovo ciclo di catechesi per l’udienza generale e lo dedica al padre putativo di Gesù, patrono della Chiesa universale, che in questo tempo “segnato da una crisi globale” può esserci “di sostegno, di conforto e di guida”.

L’anno dedicato a San Giuseppe e l’enciclica Patris corde

Nell’anno speciale dedicato a San Giuseppe, a 150 anni dalla sua proclamazione a patrono della Chiesa, e dopo la Lettera apostolica Patris corde, il Papa torna così ad indicare a tutti l’esempio e la testimonianza dello sposo di Maria, al quale è molto devoto fin dalla giovinezza. Nella messa di inizio del suo pontificato, proprio nella festa di san Giuseppe, Francesco ha dedicato l’omelia alla sua missione di custode di Maria, di Gesù e della Chiesa.

La sua grande fiducia nella provvidenza di Dio

Nella prima catechesi del nuovo ciclo, il Pontefice si sofferma sull’ambiente in cui è vissuto Giuseppe. Il suo nome, ricorda, in ebraico significa “Dio accresca, Dio faccia crescere”, un augurio, una benedizione fondata sulla fiducia nella provvidenza di Dio “e riferita specialmente alla fecondità e alla crescita dei figli”. Ed è questo “un aspetto essenziale della personalità di Giuseppe di Nazaret”.

Egli è un uomo pieno di fede nella sua provvidenza: crede nella provvidenza di Dio, ha fede nella provvidenza di Dio. Ogni sua azione narrata dal Vangelo è dettata dalla certezza che Dio “fa crescere”, che Dio “aumenta”, che Dio “aggiunge”, cioè che Dio provvede a mandare avanti il suo disegno di salvezza.

E, in questo, sottolinea Papa Francesco, Giuseppe di Nazaret “assomiglia molto a Giuseppe d’Egitto”, il figlio di Giacobbe e di Rachele, “che da schiavo diventa la seconda persona più importante in Egitto dopo il faraone”.

Per la sua incarnazione Gesù sceglie due villaggi periferici

Ma la figura di Giuseppe si può comprendere soprattutto guardando a Betlemme e Nazaret. Betlemme significa “Casa del pane” in ebraico, mentre in arabo “Casa della carne”, “probabilmente per la grande quantità di greggi di pecore e capre presenti nella zona”. Alla luce della vicenda di Gesù, prosegue il Papa, “queste allusioni al pane e alla carne rimandano al mistero eucaristico: Gesù è il pane vivo disceso dal cielo”. E Betlemme, che il profeta Michea definisce “così piccola per essere tra i villaggi di Giuda” è scelta dal Figlio di Dio, con Nazaret come luogo della sua incarnazione, non Gerusalemme. “Due villaggi periferici, lontani dai clamori della cronaca e del potere del tempo”. Eppure Gerusalemme era la città amata dal Signore, la “città santa”, scelta da Dio per abitarvi. Ecco perché, chiarisce Francesco, “la scelta di Betlemme e Nazaret ci dice che la periferia e la marginalità sono predilette da Dio”.

Gesù non nacque a Gerusalemme con tutta la corte …no: nacque in una periferia e ha fatto la sua vita, fino a 30 anni, in quella periferia, facendo il falegname, come Giuseppe. Per Gesù, le periferie e le marginalità sono predilette.

Gesù cerca i peccatori, chi fa il male, e chi il male lo subisce

Non prendere sul serio questa realtà, prosegue, “equivale a non prendere sul serio il Vangelo e l’opera di Dio, che continua a manifestarsi nelle periferie geografiche ed esistenziali”.

In particolare, Gesù va a cercare i peccatori, entra nelle loro case, parla con loro, li chiama a conversione. Anche, Gesù è rimproverato per questo: “Ma guarda, questo Maestro – dicono i dottori della legge – mangia con i peccatori, si sporca. Va a cercare i peccatori che hanno fatto del male e va a cercare anche coloro che non hanno fatto del male ma lo hanno subìto, come i malati, gli affamati, i poveri, gli ultimi. Sempre Gesù va verso le periferie, verso le periferie. E questo ci deva dare tanta fiducia, no? Perché il Signore conosce le periferie del nostro cuore.

Annunciare il Vangelo partendo dalle periferie

Sotto questo aspetto, sottolinea il Pontefice, “la società di allora non è molto diversa dalla nostra. Anche oggi esistono un centro e una periferia. E la Chiesa sa che è chiamata ad annunciare la buona novella a partire dalle periferie”. Giuseppe, il falegname di Nazaret, “che si fida del progetto di Dio sulla sua giovane promessa sposa e su di lui”, ricorda alla Chiesa di fissare lo sguardo su ciò che il mondo ignora volutamente.

Egli ricorda a ciascuno di noi di dare importanza a ciò che gli altri scartano. In questo senso è davvero un maestro dell’essenziale: ci ricorda che ciò che davvero vale non attira la nostra attenzione, ma esige un paziente discernimento per essere scoperto e valorizzato. Chiediamo a lui di intercedere affinché tutta la Chiesa recuperi questo sguardo, questa capacità di discernere e valutare l’essenziale. Ripartiamo da Betlemme, ripartiamo da Nazaret.

La nuova preghiera a San Giuseppe

Papa Francesco conclude con un messaggio di speranza rivolto “a tutti gli uomini e le donne che vivono le periferie geografiche più dimenticate del mondo o che vivono situazioni di marginalità esistenziale”. Possiate trovare, è il suo augurio, in San Giuseppe “il testimone e il protettore a cui guardare”. E offre una preghiera, “fatta in casa, ma uscita dal cuore”, con la quale rivolgersi allo sposo di Maria.

“San Giuseppe, tu che sempre ti sei fidato di Dio, e hai fatto le tue scelte guidato dalla sua provvidenza, insegnaci a non contare tanto sui nostri progetti, ma sul suo disegno d’amore. Tu che vieni dalle periferie, aiutaci a convertire il nostro sguardo e a preferire ciò che il mondo scarta e mette ai margini. Conforta chi si sente solo e sostieni chi si impegna in silenzio per difendere la vita e la dignità umana. Amen”

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