Antonella Palermo – Città del Vaticano
Nell’anno dedicato a San Giuseppe, Papa Francesco si rivolge alla comunità del Seminario Regionale Marchigiano “Pio XI”, in udienza questa mattina in Vaticano, condividendo alcuni spunti utili per maturare la vocazione sacerdotale, alla luce delle figure che hanno accompagnato la crescita umana e spirituale di Gesù.
Domandare la docilità
“La docilità è una virtù non solo da acquistare ma da ricevere”, ha sottolineato il Papa, che ha invitato ciascuno a domandarsi: sono docile? Sono un ribelle? O non mi importa nulla, faccio come mi importa? “Docile è un atteggiamento costruttivo della propria vocazione e anche della propria personalità. Senza docilità, nessuno può crescere e maturare”. E, citando la Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis, ha ricordato che “la formazione è un processo in evoluzione” e che dunque la docilità è un elemento imprescindibile.
Ai formatori: siate per i seminaristi ciò che Giuseppe è stato per Gesù
Imparino la docilità dalla vostra obbedienza; la laboriosità dalla vostra dedizione; la generosità verso i poveri dalla testimonianza della vostra sobrietà e disponibilità; la paternità grazie al vostro affetto vivo e casto.
E’ la sintesi che il Papa indica come percorso valoriale nel cammino sacerdotale. La “scuola” a cui rimanda è quella del “coraggio creativo” di Giuseppe. L’auspicio espresso ai direttori spirituali e ai formatori tutti è che i seminaristi “possano apprendere più dalla vostra vita che dalle vostre parole”.
L’amore casto non possiede, non imprigiona
Francesco si sofferma sul senso profondo e autentico della castità, rifacendosi all’appellativo “castissimo” che si usa per descrivere il papà terreno del Maestro. Citando la Lettera Apostolica Patris Corde, ribadisce:
Non è un’indicazione meramente affettiva, ma la sintesi di un atteggiamento che esprime il contrario del possesso. La castità è la libertà dal possesso in tutti gli ambiti della vita. Solo quando un amore è casto, è veramente amore. L’amore che vuole possedere, alla fine diventa sempre pericoloso, imprigiona, soffoca, rende infelici.
Ai seminaristi: non accontentatevi dell’abilità nei social e nei media
Il Papa solleva il dubbio che “forse non abbiamo riflettuto abbastanza sul giovane Gesù, impegnato a discernere la propria vocazione”. E’ nella casa di Nazaret che il Figlio di Dio ha appreso l’umanità e la vicinanza, il seminario dovrebbe essere un luogo simile a quello. E poi sottolinea la sfida della comunicazione che sempre deve attingere dalla Parola di Dio e dal suo potere trasformante:
Solo trasformati dalla Parola di Dio potrete comunicare parole di vita. Il mondo è assetato di sacerdoti in grado di comunicare la bontà del Signore a chi ha sperimentato il peccato e il fallimento, di preti esperti in umanità, di pastori disposti a condividere le gioie e le fatiche dei fratelli, di uomini che si lasciano segnare dal grido di chi soffre.
Le vite dei santi, i tanti eroi della carità, i nonni, quegli scrittori – cita un autore a cui spesso ritorna che è Dostoevskij – che sanno esaltare la bellezza che salva: ecco, sono gli altri modelli da non dimenticare per rafforzarsi nella propria scelta di consacrazione.
A proposito dell’impegno nella conoscenza, il Papa aggiunge:
Un sacerdote può essere molto disciplinato, può essere capace di spiegare bene la teologia, anche la filosofia e tante cose. Ma se non è umano, non serve. Che vada fuori, a fare il professore. Ma se non è umano non può essere sacerdote: gli manca qualcosa. Gli manca la lingua? No, può parlare. Gli manca il cuore. Esperti in umanità.
Il Seminario non deve allontanare dalla realtà
Papa Francesco diffida dal considerare il seminario come una sorta di fuga dal mondo, compresi i suoi pericoli. Deve invece essere un posto dove sperimentare sempre di più la prossimità a Dio e ai fratelli:
Tra le mura del Seminario dilatate i confini del cuore, estendeteli a tutto il mondo, appassionatevi di ciò che “avvicina”, “apre” e “fa incontrare”. Diffidate delle esperienze che portano a sterili intimismi, degli “spiritualismi appaganti”, che sembrano dare consolazione e invece portano a chiusure e rigidità.
Coltivare relazioni pulite, gioiose, liberanti
Nel presentare infine quattro piste da tenere sempre interconnesse – a livello di formazione umana, spirituale, intellettuale e pastorale – il Papa mette in guardia i seminaristi dalla tentazione di considerare il seminario un luogo dalla cui porta si può lasciare fuori la complessità della propria interiorità, dei propri sentimenti e dell’affettività:
Non chiudetevi in voi stessi quando vivete un momento di crisi o di debolezza. Apritevi in tutta sincerità ai vostri formatori, lottando contro ogni forma di falsità interiore. Coltivate relazioni pulite, gioiose, liberanti, umane, piene, capaci di amicizia, capaci di sentimenti, capaci di fecondità.
La preghiera non sia ritualismo
Il Papa raccomanda ancora una volta che la preghiera deve essere “incontro personale con Dio, dialogo e confidenza con Lui”.
Vigilate perché non accada che la liturgia e la preghiera comunitaria diventino celebrazione di noi stessi. Arricchite la preghiera di volti, sentitevi già da ora intercessori per il mondo. E aggiunge: E se tu ti arrabbi con Dio, fallo: perché arrabbiarsi con il papà è un modo di comunicare amore. Non avere paura: Lui capisce quel linguaggio, è padre.
Ricordando un episodio in cui si trovò a osservare il modo di guardarsi allo specchio di un seminarista o di un prete che aveva appena comprato dei vestiti per sé, il Papa implora:
Per favore, che ogni celebrazione liturgica non sia una celebrazione di noi stessi.
Non essere ostili allo studio
Un pensiero particolare è dedicato all’atteggiamento verso lo studio, una attività che dovrebbe aiutare “a entrare con consapevolezza e competenza nella complessità della cultura e del pensiero contemporaneo”. Anche in questo caso, il Papa ribadisce di non temere nel dialogare e proclamare la propria fede anche in mondo in cui sembrerebbe primeggiare un pensiero ateo. E insiste sul rischio di abbandonarsi a riflessioni accademiche che perdono l’ancoraggio nel reale servizio al santo popolo di Dio.
Non averne paura, non esserne ostili. È lì che va incarnata la sapienza del Vangelo. E la sfida della missione che vi attende richiede, oggi più che mai, competenza e preparazione.
Il clericalismo è una perversione del sacerdozio
Sull’aspetto pastorale della formazione, Francesco è tornato a ribadire l’importanza di “andare con entusiasmo incontro alla gente”. Citando il Vangelo di Marco sulla vita di servizio agli altri spesa da Gesù, il Papa ha precisato che “essere discepoli di Gesù significa liberarsi di sé stessi e conformarsi ai suoi stessi sentimenti”.
Si è preti per servire il Popolo di Dio, per prendersi cura delle ferite di tutti, specialmente dei poveri. Disponibilità agli altri: è questa la prova certa del sì a Dio. E niente clericalismo.
Papa Francesco ha ancora una volta detto che “il vero pastore non si stacca del popolo di Dio, è nel popolo di Dio, o davanti per indicare la strada, o in mezzo per capirlo meglio, o dietro, per aiutare coloro che restano un po’ troppo indietro, e anche per lasciare un po’ che il popolo, che il gregge col fiuto ci faccia indicare dove ci sono i nuovi pascoli.
Il Papa ha scandito parole decise su quella che ha definito rigidità alla moda, oggi, la rigidità che è “una delle manifestazione del clericalismo”.
Il clericalismo è una perversione del sacerdozio: è una perversione. E la rigidità è una delle manifestazioni. Quando io trovo un seminarista o un giovane sacerdote rigido, dico “a questo succede qualcosa di brutto dentro”. Dietro ogni rigidità c’è un problema grave, perché la rigidità manca di umanità.
Evitare chiusure campanilistiche
Al termine del suo discorso, Papa Francesco si è compiaciuto della valorizzazione – operata dai presuli marchigiani e dalle comunità diocesane – del carattere interdiocesano del Seminario:
In un’epoca storica in cui si assiste – al di fuori come all’interno della Chiesa – a chiusure di stampo “campanilistico”, l’esperienza di comunione che state vivendo è un bell’esempio anche per altre diocesi.
E poi ha invitato a cercare e conservare sempre un dialogo schietto con i propri formatori. Con una battuta è arrivato a dire di ricercare “i vecchi preti, quelli che hanno la saggezza del buon vino” e che conoscono “i nomi di tutti, anche dei cani”.
Parlate con questi preti che sono il tesoro della Chiesa. Tanti di loro delle volte sono dimenticati o in una casa di riposo, andate a torvarli, sono un tesoro.