Chiesa Cattolica – Italiana

Francesco: da Lampedusa otto anni fa l’indicazione di un percorso

Adriana Masotti – Città del Vaticano

Otto anni fa la visita di Papa Francesco a Lampedusa, il suo primo viaggio da Papa fuori dal Vaticano. Un evento indimenticabile che svelò al mondo che idea di Chiesa aveva Francesco e quale sarebbe stato lo stile del suo pontificato. L’anniversario questa volta vede il Papa ricoverato al Gemelli, non potrà dunque essere ricordato, come negli anni scorsi, con una Messa dedicata ai migranti. L’8 luglio 2020 Papa Francesco l’aveva celebrata nella cappella di Casa Santa Marta, alla presenza del personale della sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale. L’anno precedente aveva presieduto la celebrazione all’altare della Cattedra in San Pietro, con la partecipazione di migranti, rifugiati e operatori al loro fianco. 

La richiesta di perdono per le sofferenze dei migranti

Il Papa aveva sentito che doveva andare nell’isola, simbolo di dolore e di speranza per tanti, toccato dalle notizie ricorrenti di migranti morti nel tentativo di attraversare il Mediterraneo, tanto ricorrenti da passare quasi inosservate. “Una spina nel cuore” per il Papa. Da Lampedusa, Francesco parla di “globalizzazione dell’indifferenza”, della nostra incapacità di versare lacrime su donne, uomini e bambini vittime del mare e del nostro egoismo. Il viaggio nell’isola voleva risvegliare le coscienze perché ciò che più volte era accaduto non si ripetesse più: sappiamo che così non è stato. Quel giorno la sua preghiera fu per chiedere al Signore “perdono per l’indifferenza verso tanti fratelli e sorelle”, “perdono per chi si è accomodato e si è chiuso nel proprio benessere che porta all’anestesia del cuore”, “perdono per coloro che con le loro decisioni a livello mondiale hanno creato situazioni che conducono a questi drammi”, e perchè la comunità internazionale avesse “il coraggio di accogliere quelli che cercano una vita migliore”. 

Guarda alcune immagini della visita di Papa Francesco

Beccegato: l’attualità delle parole del Papa

La visita di Francesco a Lampedusa fu una domanda di conversione rivolta alla Chiesa e al mondo, una chiamata a sentire sulla propria pelle il dolore degli altri. La Caritas italiana un anno fa ha scelto proprio la data dell’8 luglio per lanciare, insieme alla Focsiv, la campagna “Dacci oggi il nostro pane quotidiano” per la raccolta di fondi da destinare ai più poveri nel mondo, campagna che verrà rilanciata oggi attraverso un webinar. Quello dell’immigrazione è un dramma che “richiede di essere affrontato non con la logica dell’indifferenza, ma con la logica dell’ospitalità e della condivisione al fine di tutelare e promuovere la dignità e la centralità di ogni essere umano”, aveva detto a Lampedusa il Papa, includendo accanto a migranti e rifugiati, tutti gli esclusi e i dimenticati. Ai nostri microfoni Paolo Beccegato, responsabile dell’Area internazionale di Caritas italiana:

Ascolta l’intervista a Paolo Beccegato

Paolo Beccegato, quell’8 luglio del 2013 il Papa pronunciò parole forti, accompagnate da gesti di grande vicinanza a migranti e rifugiati che negli occhi portavano ancora il dolore per i compagni di viaggio che non ce l’avevano fatta. Vuol commentarle per noi?

Quelle parole del Papa sono ancora terribilmente attuali. Tanto più che, nonostante la pandemia, il fenomeno migratorio e in particolare il numero dei rifugiati continua ad aumentare di anno in anno e i rifugiati sono quelli che sono costretti a lasciare le proprie case, soprattutto a causa delle guerre e delle gravi lesioni dei diritti umani. Quindi, in qualche modo, il Papa esprime la sua totale consapevolezza che questa è una cartina di tornasole di quanto nel mondo le cose non vadano bene. I fenomeni migratori sono come una spia, segnalano un grandissimo disagio dell’umanità, lo vogliamo recepire oppure no. Ecco perché poi lui dice: attenzione all’indifferenza, attenzione all’assuefazione rispetto alle morti in mare e ai drammi che si consumano nel mondo perché la realtà è questa, a noi rendercene conto e fare qualcosa per cambiare.

Quella visita fu una forte provocazione per tutti. Che cosa è maturato da allora nella Chiesa su questo fronte?

Quel viaggio fu emblematico della sua visione di Chiesa e io penso che veramente sia cambiato tantissimo. Si tratta di un cambiamento interiore, profondo e spirituale della nostra percezione del nostro essere Chiesa, anche perché il suo messaggio ormai è costante nel contenuto e nello stile, pensiamo anche al tema della tenerezza o della gentilezza ben espresso nell’ultima enciclica Fratelli tutti, il tema dell’amicizia sociale. Quindi penso che vi sia in atto una sorta di metamorfosi interiore, mi viene in mente San Paolo quando parla di questo “rivestirsi di Cristo”. Il Papa ci sta portando su questa strada di una Chiesa che rievoca le prime comunità, una Chiesa che nella missione, nell’andare verso tutto il mondo è di fatto pienamente se stessa.

Ma poi anche in concreto si sono messi in moto dei processi di solidarietà, penso, ad esempio, ai corridoi umanitari oppure alle parrocchie e alle comunità che si sono sentite sollecitate ad aprire le proprie case…

Sì, senz’altro in Italia e oserei dire in tutto il mondo: il tema dell’accoglienza è un altro messaggio fortissimo di Francesco e questi strumenti nuovi, i corridoi umanitari, permettono di praticare delle vie legali e sicure di ingresso in Italia e in Europa. L’accoglienza nelle nostre parrocchie, nelle nostre comunità è cresciuta, ma non dimentichiamoci che circa l’80, l’85% degli sfollati restano all’interno dei Paesi dove ci sono le guerre e le violenze, mentre i rifugiati quelli che scappano oltre i confini, restano nella stragrande maggioranza nei Paesi confinanti. Ci è arrivata notizia, ad esempio, di come stia per esplodere la situazione nell’Afghanistan e quindi ci saranno migliaia di persone che si riverseranno sicuramente tra Iran e Pakistan prima, per arrivare poi in piccolissima percentuale da noi, quindi questo messaggio del Papa non vale solo per la Chiesa, ma è un messaggio universale che ci obbliga in qualche modo a rimboccarci le maniche, però il Papa ce lo fa fare con la consapevolezza della dignità che meritano queste persone e riconoscendo loro i diritti che prima erano loro negati.

Infatti, quella che è mancata o che non è stata all’altezza, è la risposta all’appello di Francesco dal punto di vista politico…

Voglio sottolineare due cose: rispetto alla pandemia, i migranti e i rifugiati sono tra le fasce più vulnerabili e anche quelle più colpite e meno tutelate. E’ proprio per questo che l’8 luglio 2020, in memoria del viaggio del Papa a Lampedusa, abbiamo lanciato la campagna: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”, pensando alla pandemia, ma pensando anche al fatto che con la pandemia è tornata a crescere la fame nel mondo ed è aumentata la povertà assoluta in un modo molto più deciso rispetto a prima, quindi in qualche modo ancora una volta questo viaggio ci ha aiutato ad aprire maggiormente gli occhi e anche a fare qualcosa di concreto. Riguardo poi alle istituzioni: certamente soprattutto quelle europee e dei Paesi più ricchi del mondo, dove di fatto il tema dell’immigrazione viene anche fortemente strumentalizzato dalla politica, le istituzioni certamente potrebbero fare molto di più. Direi che in generale c’è oggi una ricezione maggiore del linguaggio del Papa e anche una cultura che mi pare in questi ultimi anni abbia fatto dei passi in avanti per non discriminare sistematicamente le persone, però dal punto di vista politico della normativa, dei trattati, dei regolamenti – penso al trattato di Dublino e non solo – certamente i progressi sono stati scarsi e di fatto ancora oggi si gestisce il fenomeno sostanzialmente sull’onda delle emergenze che si susseguono o per le tragedie in mare o per gli sbarchi, ma di fatto non c’è una normativa che abbia recepito in modo complessivo le indicazioni di Papa Francesco, per cui c’è ancora molto da fare. 

Continuiamo infatti a contare le vittime dei naufragi, c’è poi la questione della Libia, c’è l’Unione europea spesso assente. Abbiamo visto anche tutta la polemica sulle ong di qualche tempo fa. Che dire di tutto questo?

Da un lato, quel linguaggio violento contro le ong, le polemiche sulle operazioni di salvataggio in mare, le accuse addirittura di legami con i trafficanti, quella fase è un po’ superata, per fortuna. Ma la sostanza non è cambiata e, come dicevo prima, in primo luogo ci sono le grandissime diseguaglianze: queste persone arrivano soprattutto dall’Africa subsahariana e in parte dall’Asia in forza di due grandi fattori, le grandissime differenze socio-economiche con i Paesi più ricchi e le guerre, le violenze, le negazioni dei diritti umani, quindi vanno ricercate le cause profonde del fenomeno migratorio. Ci sono poi i Paesi di transito come tutto il Nord Africa, in particolare Libia e Tunisia, ma anche i Paesi immediatamente precedenti, penso ad esempio al Ciad e al Mali, con cui l’Europa ha fatto dei trattati sostanzialmente per il contenimento dei flussi migratori. Ecco questi accordi, che sono a volte molto onerosi per l’Unione europea, pensiamo anche a quello con la Turchia, sono degli interventi spesso mascherati come accordi di cooperazione internazionale allo sviluppo, ma di fatto servono a contenere i flussi migratori e sono interventi che, come sappiamo molto bene, in alcuni casi non si curano delle condizioni di vita dei migranti in questi Paesi. Certamente, quindi, se guardiamo il mondo nella prospettiva di Papa Francesco, quella cioè della tutela della dignità della persona, anche questi accordi in moltissimi casi andrebbero completamente rifatti.

Exit mobile version
Vai alla barra degli strumenti