Chiesa Cattolica – Italiana

Francesco approva i Decreti per nuovi Beati, sei sono martiri

Nell’udienza concessa oggi al cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi, il Papa ha autorizzato l’elevazione agli altari di alcuni sacerdoti di varia nazionalità uccisi nel ‘900 in odio alla fede. Due le beatificazioni per il riconoscimento di un miracolo e due laici tra i nuovi Venerabili

Alessandro De Carolis – Città del Vaticano

Le loro storie abbracciano in larghissima parte il Novecento, a parte quella di una religiosa vissuta a cavallo tra il 16.mo e il 17.mo secolo. Degli otto prossimi nuovi beati per i quali il Papa ha approvato oggi, 14 dicembre, la promulgazione dei Decreti, sei sono martiri vittime del fascismo e del comunismo, mentre per gli altri due vi è stato il riconoscimento di un miracolo, attribuito in particolare all’intercessione di una monaca carmelitana e a un fondatore di un istituto religioso.

Nei Decreti sono menzionati anche i nomi di tre nuovi Venerabili, quelli di un francescano cappuccino e di due laici, una madre di famiglia italiana e un padre di famiglia guatemalteco.

Le storie dei martiri

Le storie drammatiche dei sei martiri uccisi in odio alla fede riguardano tutte sacerdoti, religiosi e un seminarista. Don Giuseppe Rossi, classe 1912, è un prete diocesano che si trova in Val d’Ossola, in Piemonte, quando questo territorio, a pochi mesi dalla fine della Seconda Guerra mondiale, diventa teatro di uno scontro tra partigiani e fascisti, che accusano morti e feriti. Per rappresaglia i militi della Brigata Nera Ravenna, tra le più crudeli e anticlericali, scatenano una rappresaglia contro la popolazione. È il 26 febbraio 1945 quando don Giuseppe viene sequestrato, trasportato nel Vallone dei Colombetti, costretto a scavarsi la fossa a mani nude per poi essere massacrato dai miliziani fascisti e finito con un colpo d’arma da fuoco.

Sacerdoti professi della Pia Società di San Francesco Saverio per le Missioni Estere sono anche Luigi Carrara e Giovanni Didonè, che assieme a Vittorio Faccin, religioso professo della medesima Società, e al sacerdote diocesano Albert Joubert, trovano la morte il 28 novembre 1964 a Baraka e a Fizi, due località della Repubblica Democratica del Congo, che a quell’epoca vive la complessa transizione dal colonialismo franco-belga a un nuovo scenario sociopolitico, caratterizzato da agitazioni che coinvolgono anche la Chiesa, vittima di ripetuti saccheggi, persecuzioni e oltraggi. Mentre molti missionari decidono di lasciare il Paese, i Saveriani restano e nel primo pomeriggio del 28 novembre 1964 una jeep militare si ferma davanti alla chiesa di Baraka e il capo dei ribelli che si oppongono al dittatore Mobutu intima a fratel Faccin di salire sul mezzo e al suo rifiuto lo fredda sparandogli. Padre Carrara che stava confessando esce per vedere l’accaduto e invece di salire sulla jeep si inginocchia davanti al corpo del confratello venendo pure lui assassinato. Le spoglie vengono profanate orrendamente e portate in giro per il villaggio. Uno dei miliziani che si presta a questa terribile esibizione poi si convertirà. Verso sera il commando giunge a Fizi e il capo bussa alla porta della missione uccidendo a sangue freddo padre Didonè che era venuto ad aprire e poco dopo fa altrettanto con l’Abbé Joubert.

Tre anni più tardi l’odio nei confronti della Chiesa causa la morte di un seminarista slovacco di 37 anni, Ján Havlík, appartenente ai Missionari di San Vincenzo de’ Paoli. Come molti sacerdoti, religiosi e suore, la persecuzione comunista lo costringe a vivere in clandestinità la sua formazione, ma nel ’51 arrestato con i suoi superiori e altri seminaristi, interrogato e torturato, viene condannato a 14 anni di carcere. È l’inizio di un calvario fatto di prigionia e lavori forzati, che gli mina gravemente la salute, anche per la somministrazione di droghe che gli provocano danni psichici, e tre anni dopo aver riavuto la libertà il 27 dicembre 1965 morì improvvisamente a Skalica.

I miracoli

Diverse le storie che porteranno agli altari i due beati per i quali è stato riconosciuto un miracolo dovuto alla loro intercessione. Moisés Lira Serafín, è un sacerdote messicano della zona di Puebla, dei Missionari dello Spirito Santo. Durante la persecuzione religiosa nel 1926 si distingue per la sua dedizione missionaria, che condivide con un gruppo di accoliti e catechisti, e più tardi, nel ’34, fonda anche la Congregazione delle Missionarie della Carità di Maria Immacolata. Muore a Città del Messico nel 1950. Alla sua intercessione è attribuita la guarigione miracolosa di una donna, Rosa María Ramírez Mendoza, che incinta scopre alla 22.ma settimana di essere affetta da una anomalia fetale molto grave. La donna rifiuta di interrompere la gravidanza, come suggerito dai medici e affida con fede la sua situazione a padre Moisés, del quale in quei giorni sta leggendo un libro sulla sua vocazione sacerdotale e invocando da lui la guarigione per nove giorni consecutivi. A una visita di controllo effettuata al sesto mese di gravidanza il medico, con grande stupore, comunica alla paziente che l’anomalia era scomparsa e il feto era in buono stato di salute. Il 6 settembre 2004 Rosa María partorisce Lissette Sarahí, una bimba perfettamente sana.

Ben più antica è la vicenda di Anna di Gesù, carmelitana scalza spagnola nata nel 1545, che nel 1570 entra nel monastero di Ávila dove ha come maestra la stessa Santa Teresa di Gesù. Con lei si trasferisce poco tempo dopo a Salamanca e nel 1570 conosce San Giovanni della Croce, che le dedica il commento al Cantico Spirituale. Più avanti fonda nuovi monasteri sia in Spagna che Francia e Belgio: Nel monastero di Bruxelles, guidato per 14 anni, si spegne nel 1621, a 75 anni. Il miracolo attribuito alla sua intercessione, riguarda una consorella carmelitana più giovane, suor Giovanna dello Spirito Santo, conosciuta nel monastero di Bruxelles. Il 24 aprile 1613, Suor Giovanna fu colpita da febbre alta per una decina di giorni e manifestò i primi sintomi di paralisi agli arti inferiori. La malattia peggiorò e alla fine del 1619 la suora rimase del tutto paralizzata alle gambe e fu costretta a letto, privata dai medici di terapie perché giudicata ormai inguaribile. Il 4 marzo 1621, quattro ore dopo la morte di Anna di Gesù, suor Giovanna chiese alle consorelle di essere condotta davanti alla sua salma. Nel tentativo di baciarle il corpo aiutata da due consorelle, Suor Giovanna fu assalita da un tremore improvviso. Le consorelle, credendo che avesse avuto un malore, la posero sulla carrozzina con cui l’avevano trasportata, ma Suor Giovanna disse subito che si sentiva guarita. Iniziò a camminare e si inginocchiò dinanzi alla salma della Venerabile Serva di Dio e quel giorno riprese a camminare e a svolgere normalmente le attività della vita quotidiana e di quella comunitaria. Dalle testimonianze risulta che la Venerabile Serva di Dio Anna di Gesù era molto dispiaciuta per la malattia di Suor Giovanna dello Spirito Santo e, pochi giorni prima di morire, espresse il proposito di intercedere, dopo morta, per la sua guarigione.

I nuovi Venerabili

Nei decreti approvati dal Papa sono state riconosciute le virtù eroiche del religioso cappuccino padre Alberto Beretta (al secolo Enrico), nato il 28 agosto 1916 a Milano e morto il 10 agosto 2001 a Bergamo, fratello di santa Gianna Beretta Molla. Divenuto medico avverte il desiderio di diventare sacerdote cappuccino e partire missionario per il Brasile, dove opera per 33 anni. Un’emorragia cerebrale lo riporta in Italia nell’82 e per quasi 20 anni vive tra l’infermeria dei Cappuccini di Bergamo, gli ospedali in cui è ricoverato per l’aggravarsi della situazione clinica e la casa del fratello don Giuseppe. Partecipa nel ‘94 alla beatificazione della sorella da parte di Giovanni Paolo II. Si spegne a Bergamo il 10 agosto 2001.

Una vita fu costellata di carismi e doni mistici, vissuti in una totale umiltà e un profondo senso di povertà, è quella che caratterizza Francesca Lancellotti, originaria della Basilicata dove nasce nel 1917. Fin da bambina lavora nei campi, studia fino alla seconda elementare, si dedica sin da giovanissima a un’intensa vita di preghiera, venerando in particolare la Madonna della Purità del Santuario del Belvedere di Oppido. Vorrebbe farsi religiosa ma il padre vuole che si sposi e nel ’38 celebra le nozze con Faustino Zotta, sellaio e agricoltore, dal quale ha due figli. Apre una rivendita di tabacchi, liquori e generi alimentari e intanto continua a coltivare la vita spirituale. A seguito di una presunta rivelazione privata nel luglio 1956, dopo aver venduto l’attività e le proprietà, nel 1960 si trasferisce con la famiglia a Roma, dapprima nel quartiere di Primavalle, poi vicino al Pantheon e infine in via del Seminario, dove frequentò regolarmente la chiesa di Sant’Agostino. La sua casa divenne un punto di riferimento per bisognosi e per quanti chiedevano aiuto spirituale e materiale. Muore nel 2008 presso l’ospedale San Giovanni Addolorata di Roma.

Una vicenda simile per valori evangelici vissuti con intensità di fede è quella di un laico e padre di famiglia, il guatemalteco Ernesto Guglielmo Cofiño Ubico, classe 1899. Divenuto medico crea e dirige per 24 anni la cattedra di Pediatria nella Facoltà di Medicina dell’Università di San Carlo. Nel ‘33 sposa Clemencia Samayoa Rubio, con cui avrà cinque figli. Collabora con diverse organizzazioni per l’educazione e l’istruzione dei contadini, degli operai, delle donne con scarsi mezzi finanziari e nella formazione dei giovani universitari, diventando anche tenace difensore del diritto alla vita dei bambini non ancora nati. Nel 1956 entra nell’Opus Dei e da quel momento intensifica il rapporto con Dio, attraverso una profonda vita sacramentale e di devozione mariana. L’8 dicembre 1961 Papa Giovanni XXIII lo nominò Cavaliere dell’Ordine di San Silvestro. Rimasto vedovo nel ‘63, intensifica con il suo impegno nell’Opera. Un tumore alla mascella lo porta alla morte nel 1991.

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