Francesco alle università pontificie: lavorate insieme con slancio e lungimiranza

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Il Papa riceve rettori, docenti, studenti e personale delle istituzioni accademiche vaticane e chiede di aprirsi a sviluppi coraggiosi e inediti per favorire la missione universale della Chiesa: l’università non è la scuola dell’uniformità, ma l’accordo tra voci

Paolo Ondarza – Città del Vaticano

Quella delle istituzioni accademiche pontificie romane è “un eredità ricchissima, che può promuovere vita nuova, ma che può anche inibirla se diventa troppo autoreferenziale” o “un pezzo di museo”. Ricevendo in Aula Paolo VI circa 3.000 persone, tra rettori, docenti, studenti e personale delle Università e Istituzioni pontificie romane, Francesco esorta a “fare coro” per affrontare le sfide inedite del presente:

Specie dopo la pandemia del Covid 19, urge avviare un processo che porti a una sinergia effettiva, stabile e organica tra le istituzioni accademiche, per meglio onorare gli scopi specifici di ciascuna e per favorire la missione universale della Chiesa. E non andare litigando fra noi per prendere un alunno, un’ora in più. .Vi invito, pertanto, a non accontentarvi di soluzioni dal fiato corto, e a non pensare a questo processo di crescita semplicemente come a un’azione “di difesa”, volta a fronteggiare il calo delle risorse economiche e umane. Va visto, piuttosto, come uno slancio verso il futuro, come un invito ad accogliere le sfide di un’epoca nuova della storia.

Papa Francesco pronuncia il discorso durante l’udienza

No a soluzioni dal fiato corto

Il pensiero del Papa va alla diminuzione del numero di allievi e insegnanti: “fare coro” tra le diverse componenti delle comunità e fra le varie istituzioni accademiche si impone come necessario. “A fronte del minor numero di allievi e di insegnanti, questa molteplicità di poli di studio rischia di disperdere energie preziose. Così, anziché favorire la trasmissione della gioia evangelica dello studio, dell’insegnamento e della ricerca, minaccia a volte di rallentarla e affaticarla. Dobbiamo prenderne atto”.

Il Papa saluta i bambini presenti all’udienza

La realtà è più importante dell’idea

L’eredità secolare di facoltà e università pontificie sorta a Roma grazie alla “generosità e lungimiranza di molti ordini religiosi” va sviluppata, avviando “al più presto un fiducioso processo” in una “direzione corale”, “con intelligenza, prudenza e audacia, tenendo sempre presente che – precisa il Vescovo di Roma – la realtà è più importante dell’idea”.

Se volete che abbia un futuro fecondo, la sua custodia non può limitarsi al mantenimento di quanto ricevuto: deve invece aprirsi a sviluppi coraggiosi e, se necessario, anche inediti.

A questo proposito il Papa indica nel Dicastero per la Cultura e l’Educazione il referente per accompagnare le istituzioni accademiche in questo cammino.

Il Papa saluta i partecipanti all’udienza

Cristo dirige il coro

“Corale” è la realtà della speranza, constata il Pontefice che, contemplando il Cristo Risorto, opera di Pericle Fazzini, dominante il palco dell’Aula Paolo VI, riflette su come le mani di questa scultura assomiglino a quelle di un maestro di coro: la destra aperta sembra dirigere l’insieme dei coristi; la sinistra con l’indice puntato invece suggerisce l’idea che stia convocando un solista, dicendo: “Tocca a te”.

Le mani del Cristo coinvolgono al tempo stesso il coro e il solista, perché nel concerto il ruolo dell’uno si accordi con quello dell’altro, in una costruttiva complementarità. Per favore: mai solisti senza coro. “Tocca a tutti voi!” e al tempo stesso: “Tocca a te!”. Questo dicono le mani del Risorto. Mentre ne contempliamo i gesti, rinnoviamo allora il nostro impegno a “fare coro”, nella sintonia e nell’accordo delle voci, docili all’azione viva dello Spirito.

Un’immagine dell’udienza alle Università e Istituzioni Pontificie Romane

Scuola di accordo e consonanza di voci

L’università d’altronde è la scuola dell’accordo e della consonanza tra voci e strumenti diverse: “il luogo”, dice Francesco citando san John Henry Newman, “dove diversi saperi e prospettive si esprimono in sintonia, si completano, si correggono e si bilanciano l’un l’altro”. Un’armonia che va coltivata innanzitutto a partire da sé stessi, accordando le tre intelligenze che vibrano nell’anima: mente, cuore e mani. Queste ultime, paragonate da Aristotele e Kant rispettivamente all’anima e al cervello esterno dell’uomo, esorta il Pontefice, siano “eucaristiche come quelle di Cristo”: capaci di rendere grazie, di misericordia, di generosità e di “stringere altre mani”.

La prima volta che sono uscito in Piazza, da Papa, mi sono avvicinato ad un gruppo di ragazzi ciechi. E uno mi disse: “Posso vederla? Posso guardarla?” Io non capii. “Sì”, gli ho detto. E con le mani cercava…e mi… “Ah grazie”: mi ha visto con le mani. Questo mi ha toccato tanto.

Il Papa saluta i partecipanti all’udienza

L’intelligenza di mani sensibili

Se “il verbo prendere indica un’azione tipicamente manuale”, prosegue il Vescovo di Roma, esso “è anche radice di parole come comprendere, apprendere e sorprendere: mentre le mani prendono, la mente comprende, apprende e non si lascia sorprendere”:

Perché questo avvenga, ci vogliono mani sensibili. La mente non potrà comprendere nulla se le mani sono chiuse dall’avarizia, o se sono “mani bucate”, che sprecano tempo, salute e talenti, o ancora se si rifiutano di dare la pace, di salutare e di stringere altre mani. Non potrà apprendere nulla se le mani hanno dita puntate senza misericordia contro i fratelli e le sorelle che sbagliano. E non potrà sorprendersi di nulla, se le stesse mani non sanno congiungersi e levarsi al Cielo in preghiera.