Colloquio privato e preghiera comune oggi, 11 maggio, tra Francesco e il Papa della Chiesa ortodossa copta di Alessandria nel Palazzo apostolico, a 50 anni dal primo storico incontro tra Paolo VI e Shenouda: “Da quell’evento tanti frutti per i rapporti con le Chiese orientali”. Il Pontefice ringrazia Dio per “i passi compiuti” e annuncia che i 21 cristiani decapitati nel 2015 saranno inseriti nel Martirologio Romano come segno di comunione spirituale: “Avanti verso l’unità”
Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano
La speranza della comunione eucaristica, la certezza del dialogo, la testimonianza commossa dei martiri copti, decapitati otto anni fa su una spiaggia della Libia, che da oggi saranno inseriti nel Martirologio Romano come “segno della comunione spirituale” che unisce la Chiesa cattolica e la Chiesa copto-ortodossa. Dopo l’udienza generale di ieri in piazza San Pietro, seduti l’uno a fianco all’altro a benedire insieme la folla, Papa Francesco e Sua Santità Tawadros, papa di Alessandria e capo della Chiesa ortodossa copta d’Egitto, sono di nuovo insieme questa mattina, 11 maggio, nel Palazzo Apostolico vaticano. Francesco riceve colui che oggi – ma anche ieri e già in altre occasioni – ha definito “caro fratello” per un colloquio privato, al quale segue la preghiera comune nella Cappella Redemptoris Mater.
L’incontro tra Paolo VI e Tawadros II
All’udienza di oggi e all’intero viaggio di Sua Santità Tawadros a Roma, fino a domenica 14 maggio, fa da sfondo la storia, cioè l’incontro nel 1973 tra Shenouda III e Paolo VI, il primo “tra un Papa della Chiesa copta ortodossa e un Vescovo di Roma”, che segnò anche la fine di una controversia teologica risalente al Concilio di Calcedonia, grazie alla firma, il 10 maggio, di una “memorabile” dichiarazione cristologica comune. Documento che in seguito fu di “ispirazione per simili accordi con le altre Chiese ortodosse orientali”.
I copti uccisi in Libia nel Martirologio Romano
Quella udienza di cinquant’anni fa iniziò con un abbraccio e con il saluto di Papa Montini nella Basilica di San Pietro: “Questo è il giorno che ha fatto il Signore: rallegriamoci ed esultiamo in esso!”. Parole che Francesco ripete questa mattina al patriarca, ringraziandolo con commozione (“Non ho parole…”, dice) per il dono prezioso di una reliquia dei martiri copti sgozzati e decapitati dai jihadisti in Libia il 15 febbraio 2015. Il Papa li aveva ricordati già ieri nel saluto all’udienza generale: “Sono i nostri martiri”, ha affermato, ripetendo quanto già detto nel videomessaggio del 15 febbraio 2021 in occasione di una commemorazione dei copti canonizzati dalla Chiesa ortodossa Copta. “Sono i nostri Santi, Santi di tutti i cristiani, Santi di tutte le confessioni e tradizioni”, aveva dichiarato in quell’occasione.
Questi martiri sono stati battezzati non solo nell’acqua e nello Spirito, ma anche nel sangue, con un sangue che è seme di unità per tutti i seguaci di Cristo.
Papa Francesco si dice “lieto di annunciare” che, “con il consenso di Vostra Santità, questi 21 martiri saranno inseriti nel Martirologio Romano come segno della comunione spirituale che unisce le nostre due Chiese”. Un evento, in nome di quell'”ecumenismo del sangue”, tra i temi più frequenti del pontificato, che registra un precedente già nel 2001 quando la Chiesa cattolica aveva inserito nel Martirologio Romano Generale alcuni santi delle Chiese ortodosse e ortodosse orientali vissuti dopo la separazione tra le Chiese.
Fare memoria dei passi compiuti
Un nuovo capitolo del cammino ecumenico, dunque, per il quale – sottolinea Francesco – “è importante guardare sempre avanti”, “coltivando nel cuore una sana impazienza e un ardente desiderio di unità”. Soprattutto l’unità, ribadisce, domandando: “Quanta est nobis via? Quanta strada ci resta da fare?”.
Papa Francesco non guarda però solo ai passi ancora da compiere ma anche a quelli già compiuti: “Occorre fare memoria, soprattutto nei momenti di scoraggiamento, per rallegrarci del cammino già percorso e attingere al fervore dei pionieri che ci hanno preceduto”.
Eppure, è senza dubbio ancora più doveroso guardare in alto, per ringraziare il Signore per i passi compiuti e supplicarlo di farci il dono della sospirata unità
I frutti del dialogo
“Ringraziare e supplicare” è perciò lo scopo dell’odierna commemorazione, sottolinea il Papa, ricordando ancora l’incontro dei predecessori, “tappa storica nei rapporti tra la Sede di San Pietro e la Sede di San Marco” che ha portato alla creazione della Commissione mista internazionale tra Chiesa cattolica e Chiesa copta ortodossa. Nel 1979 l’organismo ha adottato i “pionieristici” Principi per guidare la ricerca dell’unità tra la Chiesa cattolica e la Chiesa copta ortodossa, firmati da San Giovanni Paolo II e dallo stesso Shenouda III, e ha aperto la strada alla nascita di “un fecondo dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e l’intera famiglia delle Chiese ortodosse orientali”, che ha tenuto il suo primo incontro nel 2004 al Cairo. E sempre in Egitto è più recente, invece, la creazione del Consiglio Nazionale delle Chiese Cristiane.
L’amicizia tra la Chiesa cattolica e la Chiesa copta ortodossa
Insomma, l’incontro tra Paolo VI e Shenouda “non ha mai smesso di portare frutti nel cammino delle nostre Chiese verso la piena comunione”. Frutti ne ha portati anche il primo incontro tra Francesco e Tawadros il 10 maggio 2013, “pochi mesi dopo la sua intronizzazione e poche settimane dopo l’inizio del mio pontificato”. In quella occasione il papa di Alessandria propose di celebrare ogni 10 maggio la “Giornata dell’amicizia tra copti e cattolici”, da allora celebrata puntualmente in entrambe le Chiese. Questa amicizia, il Pontefice la identifica in un’icona copta dell’VIII secolo raffigurante il Signore che appoggia la mano sulla spalla del suo amico, il santo monaco Mena d’Egitto.
Questa icona è talvolta chiamata “icona dell’amicizia”, perché il Signore sembra voler accompagnare il suo amico e camminare con lui
La preghiera del Papa
In conclusione, prima dello scambio dei doni e la presentazione delle due delegazioni, Papa Francesco esprime l’accorato auspicio che possa “crescere nell’amicizia le nostre Chiese, fino al giorno benedetto in cui potremo celebrare insieme allo stesso altare e comunicare allo stesso Corpo e Sangue del Salvatore”.