Paolo Ondarza – Città del Vaticano
E’ la scoperta archeologica di rotoli biblici più emozionante e clamorosa degli ultimi 60 anni. Nel Deserto di Giuda, il territorio che si estende tra lo Stato di Israele e la Cisgiordania, grazie ad una complessa operazione di scavo condotta dalla Israel Antiquities Authority, sono stati portati alla luce nuovi frammenti di rotoli biblici risalenti a 2mila anni fa. I reperti rinvenuti sono principalmente scritti in greco e contengono porzioni dei dodici profeti minori, in particolare Zaccaria e Naum. L’operazione ha svelato anche un nascondiglio di monete rare dei tempi di Bar-Kokhba, il condottiero ebraico che tra il 132 e il 135 d.C. guidò la rivolta contro i romani; uno scheletro di bambino di 6.000 anni fa, probabilmente femminile, avvolto in un panno e mummificato; e un grande cesto integro risalente a 10.500 anni fa, probabilmente il più antico del mondo.
Si tratta di una parte del patrimonio depositato nelle grotte del Deserto di Giuda durante le grandi rivolte antiromane del popolo ebraico. Sulla portata di questa clamorosa scoperta Vatican News ha sentito l’opinione di Marcello Fidanzio, professore di Ambiente Biblico alla Facoltà di Teologia di Lugano e Direttore dell’Istituto di Archeologia e Cultura delle Terre Bibliche.
“Nel corso delle due rivolte – racconta Fidanzio – alcuni profughi trovarono rifugio nelle grotte perché inseguiti dai romani. Nel caso specifico ci riferiamo ad una grotta dal nome drammatico, si chiama Grotta degli Orrori”. Perché questo nome? “Qui morirono di fame e sete circa 40, tra uomini, donne e bambini. In questo luogo durante la loro fuga avevano portato alcuni dei loro oggetti più preziosi: averi, utensili di vita quotidiana e testi scritti: documenti e testi biblici”. La recente missione archeologica della Israel Antiquities Authority, iniziata nel 2017, ha svelato 20 piccoli frammenti di rotoli biblici.
Il valore della scoperta
E’ una scoperta importante perché, spiega il Direttore dell’Istituto di Archeologia e Cultura delle Terre Bibliche di Lugano, “dopo le grandi scoperte degli anni 40 e 50, soprattutto a Qumran e nel Deserto di Giuda, non era più accaduto nulla di simile in relazione ai testi biblici. Rinvenimenti di una tale rilevanza riaccendono l’emozione dei pionieri”. E’ un patrimonio che non si immaginava potesse esistere, “una nuova pagina nella storia degli scavi archeologici”. Ora gli addetti ai lavori si chiedono se si tratti dell’ultima di tappa di una serie di scoperte o, al contrario, sia rivelatrice di nuove ricerche possibilità da indagare.
“E’ qualcosa che appassiona molto noi studiosi della Bibbia”, confida Fidanzio, “ma interessa molto anche gli israeliani che sottolineano come queste ricerche siano legate alla loro identità, alla storia della loro presenza in terra di Israele. Non a torto dunque la Israel Antiquities Authority ha dato particolare enfasi alla campagna di scavi. “Finora – aggiunge lo studioso di Lugano – le grandi scoperte sono state fatte da scavi clandestini”. In questo caso invece si è giunti a questo risultato “con una filiera tracciata condotta da una Autorità per le Antichità che ha lavorato con metodo e ha permesso di mettere in salvo antichità come testi biblici, un cesto con coperchio risalente a 10500 anni fa, forse il più antico fino ad ora ritrovato, o il commovente scheletro di una bambina deposto lì, avvolto in un panno di lino oltre seimila anni fa”.
Un periodo storico affascinante
Ma cosa aggiunge questa scoperta alla conoscenza della Bibbia? “Siamo di fronte a piccoli frammenti, quindi ad un limitato numero di righe di testo scritte in greco riguardanti l’Antico Testamento. Sono la testimonianza di quella che gli studiosi chiamano la fluidità testuale, il tempo in cui il testo della Bibbia non era ancora stabile e unico. Solo in seguito infatti le Scritture sono state canonizzate, fissate e poi con grandissima fedeltà tramandate fino ai nostri giorni”. I frammenti della Grotta degli Orrori rappresentano invece un momento ancora costitutivo e grazie ad essi possiamo cogliere una tappa che ha condotto al testo definitivo.
“Queste scoperte ci introducono in un momento storico estremamente affascinante: quello in cui la Bibbia trova la sua forma, si costituisce”. Tra le tante caratteristiche emerse dallo studio dei frammenti emerge un dettaglio: nel testo greco le quattro lettere impronunciabili del nome di Dio sono scritte nel linguaggio paleo-ebraico, l’antica scrittura che si usava ai tempi del Primo Tempio (fino al 586 aC). “C’era già in quel tempo, come nei rotoli usati all’epoca di Gesù, un grande rispetto per il Nome di Dio che non si pronunciava. Scriverlo ricorrendo ad un altro alfabeto – conclude Fidanzio – è una strategia scribale finalizzata a indurre il lettore a focalizzare l’attenzione su quelle lettere. E’ cioè un punto del testo che richiede grande rispetto e sacralità”