Formazione tecnica favorisce inserimento di migranti in Colombia

Vatican News

Felipe Herrera-Espaliat, inviato speciale in Colombia

Cleiry Solózano prova ancora profonda nostalgia ogni volta che vede giovani studenti di medicina con indosso il camice bianco. Anche lei un tempo ne ha indossato uno, quando studiava medicina nel suo paese natale, il Venezuela; ma si è vista costretta a interrompere la formazione universitaria quando le mancava soltanto un semestre per conseguire la laurea e diventare medico. La precaria situazione economica in cui versava con il marito e i loro tre figli li ha costretti a lasciarsi tutto alle spalle e varcare il confine con la Colombia alla ricerca di nuove opportunità. Non chiedevano tanto, ma solo di garantirsi il sostentamento quotidiano, cosa che, in quel triste 2018, non riuscivano a fare a Guárico, uno dei 23 stati del Paese, noto anche come il Cuore del Venezuela.

La loro prima odissea li ha portati a camminare per circa 1500 km fino alla regione di Pasto, nel sud della Colombia, ma lì non hanno trovato le opportunità sperate né di lavoro né di accoglienza. Come tantissimi degli oltre sei milioni di venezuelani che hanno lasciato il Paese nell’ultimo lustro, Cleiry e la sua famiglia hanno continuano a spostarsi nella patria del caffe, di paese in paese, fino a stabilirsi a Bogotà. Lì è nato il loro quarto figlio.

Una mano tesa dagli Scalabriniani

La capitale colombiana ha più di sette milioni di abitanti, di cui dai 400 ai 500 mila sono venezuelani giunti lì dal 2017. La cifra non è precisa perché molti di loro non hanno ancora la residenza e continuano a essere privi di documenti, nonostante il governo locale abbia offerto agevolazioni per la regolarizzazione del loro status di immigranti o rifugiati politici. Ciononostante, la mancanza di reti di sostegno e di assistenza rende le pratiche più complesse per i venezuelani. Quelli che sì prestano aiuto per legalizzare la loro permanenza in Colombia sono i funzionari dei Centros Integrados de Atención al Migrante (CIAMI), che dipendono dalla congregazione religiosa degli Scalabriniani.

“Ci sono molte persone con malattie croniche che hanno bisogno di trattamenti o medicinali essenziali per la loro vita, ma, non essendo regolarizzati nel territorio, difficilmente possono ottenerli. Allo stesso modo, per accedere al lavoro formale viene loro richiesto un permesso di soggiorno. Se non lo hanno, sono costretti a svolgere lavori informali che non garantiscono loro alcun guadagno, perché lavorano per i bisogni quotidiani e la loro vita ne risulta lesa”, spiega Camila Motta, consulente legale del Centro Scalabriniano di Bogotà.

Ma la mano tesa di questi religiosi e dei loro collaboratori laici va molto al di là delle questioni legali, visto che si preoccupano anche di formare tecnicamente i migranti affinché possano trovare un impiego o si lancino ad aprire un’attività in proprio. È stata questa l’esperienza di Cleiry Solórzano in uno dei centri CIAMI dove, insieme al marito, ha ricevuto una formazione nel campo della pasticceria e della panificazione. Così, sebbene informalmente, hanno potuto lavorare e generare reddito per mantenere la propria famiglia. Ci sono stati però momenti in cui le vendite sono state scarse, e quella che un tempo stava per diventare medico si è vista costretta, come migliaia di persone a Bogotà, a passare ore a rovistare nei sacchi dell’immondizia in strada per raccogliere materiale da riciclare per poi venderlo a un prezzo più basso.

Dalla formazione al lavoro stabile

Nonostante siano sempre più le possibilità per i venezuelani che giungono in Colombia di imparare mestieri apprezzati dal mercato del lavoro, per loro continua a essere difficile ottenere un impiego stabile. E questo non solo per l’aspetto legale, ma anche perché finora non c’è stato un vincolo organico tra le congregazioni religiose che offrono la formazione tecnica e le imprese che possono offrire impiego. È stata proprio questa la situazione ravvisata dall’organizzazione benefica Global Solidarity Fund (GSF), che attualmente sta investendo risorse in Colombia affinché si colmi il divario occupazionale che separa i migranti da un lavoro stabile. Ciò consentirà loro non solo di sopravvivere, ma anche di ottenere una maggiore autonomia per la propria vita e per quella della loro famiglia.

IL GSF promuove questa iniziativa per mezzo di un Hub per l’innovazione sociale, ossia una rete di collaborazione che accelera e facilita il contatto tra i progetti formativi e le imprese. Queste compagnie valorizzano la qualità della formazione ottenuta dai venezuelani dopo essere passati per i centri di formazione delle congregazioni religiose, e assicurano che, date le circostanze della loro vita, i migranti mostrano un alto grado di motivazione nel lavoro.

I religiosi scalabriniani sono stati inseriti nell’Hub per l’innovazione sociale, il che li aiuta a gestire tre grandi centri di formazione a Bogotà, Cúcuta e Villa del Rosario. Esperti in accompagnamento di migranti, sanno che le possibilità di trovare un lavoro aumentano quando le persone hanno ricevuto un diploma ufficiale da qualche ente di formazione. “La nostra missione è promuovere l’imprenditorialità e l’occupabilità attraverso corsi di base, a partire dalla prospettiva delle competenze lavorative, il che significa ampliare le possibilità di avventurarsi nell’ambito lavorativo sulla base di una certificazione rilasciata da alcune istituzioni di educazione superiore”, spiega Alejandro Torres, coordinatore della formazione dei centri di formazione CIAMI.

Proprio in uno di questi centri si è formata Cleiry Solórzano, che oggi, nonostante le difficoltà della vita, guarda con speranza al suo futuro. “Questo tipo di progetti aiuta a formarsi, a ottenere un’occupazione, perché non tutti possiamo pensare sempre di restare lavoratori informali. Dobbiamo cercare di ottenere una maggiore stabilità per il futuro. Questi progetti mi hanno aiutato a sbrigarmela, ad aprire nuovi orizzonti, e a sviluppare l’idea che, al di là dell’essere medico, potevo aprire una panetteria e una pasticceria. Sono sfaccettature nuove che non sapevo di avere e che questa migrazione mi ha aiutato a esplorare e a sfruttare”, conclude con entusiasmo Cleiry, che ora sta anche frequentando un corso di manicure.