Fondazione Ente dello Spettacolo: da 75 anni il “ponte” tra cinema e Chiesa in Italia

Vatican News

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

Un compleanno giubilare, i 75 anni, che sarà occasione per riflettere sulla missione di Fondazione Ente dello Spettacolo ma anche “sullo scenario della fruizione culturale del mondo del cinema, che è indubbiamente cambiato”. Così monsignor Davide Milani, presidente della Fondazione, promossa dalla Conferenza Episcopale Italiana, guarda all’importante anniversario di questo 2021, per un organismo che nel 1946, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, ha ereditato i compiti del Consorzio Utenti Cinematografici Educativi (Cuce) trasformatosi in Centro Cattolico Cinematografico (Ccc) nel 1935. Una storia che nasce nel 1928, quando il Cuce pubblica il primo numero del suo organo ufficiale, quella Rivista del Cinematografo che è la più antica pubblicazione italiana del settore.

Creare comunità attraverso il linguaggio del cinema

Incontriamo monsignor Milani a Castiglione del Lago, nella verde Umbria che ha fatto da splendido scenario a tanti film non solo italiani, dove nel 2018 la Rivista ha festeggiato i suoi 90 anni, al termine della quarta edizione di Castiglione Cinema, il festival che è la penultima “creatura” della Feds in ordine di tempo, prima del Lecco Film Fest, inaugurato nel 2020 e che tornerà dal 29 luglio. A Castiglione, sulle sponde del Lago Trasimeno, dal 17 al 19 giugno, la Fondazione, ricorda il presidente, ha proseguito la sua missione, “ricomporre le comunità attraverso il linguaggio del cinema” ed “essere Chiesa tramite la cultura, far incontrare le persone e mostrare la via alla bellezza che è la via di Cristo”.

Fare memoria e riflettere su come cambia la fruizione dei film

Ma la lunga chiacchierata con monsignor Milani, 53 enne sacerdote lombardo di Valgreghetino, in provincia di Lecco, dove è tornato dal 2018 come prevosto del capoluogo sul lago di Como (ancora un lago!), presidente della Fondazione dal 2015, e per 12 anni portavoce dell’arcivescovo di Milano, ci permette di toccare molti temi. Dalla difficoltà di organizzare un evento “in presenza” quando ancora la pandemia non è alle spalle (ed è stato così anche nel 2020, per Castiglione Cinema), ai prossimi impegni del Lecco Film Fest e dello spazio Feds alla Mostra del Cinema di Venezia, con la consegna del Premio Bresson. Con lo sguardo alla celebrazione dei 75 anni della Fondazione, in programma alla fine di questo 2021, che sarà occasione per analizzare uno scenario che l’avvento delle piattaforme on demand come Netflix, Amazon Prime e Disney+ hanno sconvolto, con una nuova modalità di fruizione “privatistica” del cinema che la pandemia ha solo accelerato.

Ascolta l’intervista a monsignor Davide Milani

Monsignor Davide Milani, cosa è stata a questa quarta edizione di Castiglione Cinema? Sul palco hai parlato di un festival della Resistenza…

Sì resistenza, perché abbiamo incontrato una città, un territorio che resiste, che è stato duramente provato dalla pandemia, non tanto in termini di malati gravi, di morti, ma perché ha bloccato le attività economiche, ha disgregato le comunità, che già vivono in un territorio molto vasto, perché Castiglione del Lago è uno dei territori più estesi dal punto di vista dei confini comunali. Abbiamo trovato la voglia di scommettere sulla comunità. Fondazione Ente dello Spettacolo, una realtà della Chiesa italiana, vive la sua missione proprio in questo: nel ricomporre le comunità attraverso il linguaggio del cinema, attraverso il linguaggio della cultura. Questo fine settimana che abbiamo passato qui, iniziato a Perugia e concluso a Castiglione del Lago, esalta la missione di Fondazione Ente dello Spettacolo e ci permette di essere Chiesa tramite la cultura, di incontrare le persone e di mostrare quella via alla bellezza che l’antropologia cristiana descrive: la Via Christi, la Via alla verità, partendo dalla realtà, dalle condizioni in cui la gente vive.

E’ stata comunque un’edizione difficile ad organizzare. Non siete usciti, ad esempio fare il seminario per i critici cinematografici. La speranza, per il prossimo anno, è quella di avere un Castiglione Cinema finalmente completo?

Si, volendo guardare tutti i dati, sarebbe stata un’edizione da non organizzare. Due mesi fa, non sapevamo ancora le condizioni che avremmo trovato a proposito del coprifuoco, della possibilità di fare gli eventi in presenza, di poter stare insieme anche nelle piazze, e quindi prudenza avrebbe detto: “Bene, non ci sono le condizioni per fare l’evento”. Però il cristiano è colui che vive nella realtà e cerca i segni di speranza nella realtà che gli è data. Cercare le condizioni migliori per vivere questa iniziativa sarebbe stato altro tradire la nostra missione. E’ vero, è mancato il seminario, che è uno degli eventi più importanti a livello della critica, degli operatori di settore. Ma qualche esperto è venuto, e insieme abbiamo ribadito l’importanza di farlo. Però resta la testimonianza di questa presenza, di questo territorio che si è lasciato radunare dal cinema e dalla Fondazione Ente dello Spettacolo e da tutti i partner della Chiesa italiana che l’hanno sostenuta. Questa testimonianza è un segno, che contribuisce a rimettere in moto le persone.

Quali momenti vissuti porterete a casa perché più importanti?

L’incontro straordinario con Pupi Avati al Teatro Morlacchi, uno dei più belli d’Italia, a Perugia, all’inizio del festival, e poi le parole che il cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, ci ha rivolto incoraggiandoci e realizzando quel connubio tra Chiesa e cinema, tra arte, cultura e fede. Questo è stato sicuramente uno dei momenti più belli. C’è un tema poi che è emerso: quello dei legami, del matrimonio. Ne ha parlato Pupi Avati, con questa testimonianza straordinaria del suo film, “Lei mi parla ancora”, ma anche la presenza della coppia, bella e originale, formata da Ricky Tognazzi e Simona Izzo, che ha abitato il festival, trattenendosi anche oltre i tempi che erano riusciti a ritagliarsi. E porteremo nel cuore, poi, questi momenti belli di comunità con gli artisti, i giornalisti, i critici e gli operatori del settore presenti, che non sono venuto solo per fare il loro lavoro. Sono venuti anche per vivere una compagnia: perché una delle dimensioni dei nostri incontri è proprio quella di godere della bellezza dell’incontro, non solamente col pubblico, ma con tutti i protagonisti. Non per tattica o per strategia, ma perché è la dimensione più bella dell’essere uomini, quella di vivere l’incontro, la relazione.

Una dimensione che cercherete di vivere anche, ad esempio, al Lido di Venezia, per far incontrare anche lì il pubblico con i protagonisti del cinema?

È una delle nostre chiavi distintive. Abbiamo diverse tappe davanti: il Lecco Film Fest, è che sia aprirà il 29 di luglio a Lecco, sul lago di Como e che continuerà fino al 1 agosto, e poi la Mostra del Cinema di Venezia dove saremo presenti, in forze dal primo al 11 settembre. Non ci limiteremo a portare il grande cinema, a portare i grandi volti e le grandi firme del cinema nel nostro spazio, ma cercheremo di vivere esperienze di comunità con il pubblico e con questi protagonisti. Per meno di questo non vale la pena che la Chiesa italiana si impegni, attraverso la Fondazione Ente dello Spettacolo. Ma non vale la pena neanche che un sacerdote si metta in questa iniziativa, che i miei collaboratori lavorino temi così impegnativi, facendo anche una fatica maggiore rispetto all’organizzazione di un festival secondo criteri più legati alle logiche dello spettacolo o del divismo. E’ il senso di una presenza a questo incontro e cerchiamo di viverlo sempre.

Come pensate di celebrare i vostri 75 anni come Fondazione Ente dello Spettacolo, che cadono quest’anno?

E’ un anniversario molto importante, ma purtroppo anche qui la pandemia non ce lo ha fatto celebrare come avremmo voluto. Lo vogliamo fare in presenza, con le persone che amano e stimano il nostro lavoro, quelle con cui abbiamo lavorato, stiamo lavorando, e con chi si è preso cura della Fondazione lungo la sua storia. Lo faremo verso la fine dell’anno, prima in occasione del Tertio Millennio Film Fest, una delle iniziative storiche della nostra fondazione. Lo faremo riflettendo sulla nostra missione, sullo scenario della fruizione culturale del mondo del cinema che è indubbiamente mutato. Non tanto per la pandemia, ma che in occasione della pandemia ha trovato un’accelerazione di processo. Non è stato semplicemente un momento di crisi in senso negativo, perché quando si parla di crisi, si parla di un crinale da attraversare, di un’opportunità. Quindi questa occasione di celebrazione non sarà semplicemente un momento autoreferenziale, ma sarà uno strumento per leggere, con la storia che abbiamo attraversato, con la tradizione che è stata costruita in questi 75 anni, questo tempo che ci è dato e che è ricco di opportunità.

Guardando indietro, di cosa siete più orgogliosi?

Siamo orgogliosi delle donne e degli uomini che si sono impegnate, che sono stati profetiche e profetici nel loro impegno nel cinema, per le modalità sempre nuove che hanno trovato per rispettare l’arte cinematografica nella sua originalità e nel suo statuto artistico, ma anche nel saperla interrogare sul modo con cui ha guardato la realtà, ha raccontato gli uomini e le donne, ha trovato quelle storie, quelle vicende originali, quegli spiragli che hanno permesso di vedere la verità , l’eternità, la dimensione reale dell’uomo che non è finita in se stessa ma che si apre al trascendente. La Fondazione Ente dello Spettacolo, in maniera unica al mondo, nei suoi 75 anni, con le sue tante iniziative, ha saputo fare questo e di questo siamo orgogliosi. E il grazie va a tutti coloro che hanno lavorato prima di noi in questa direzione e che hanno reso grande Fondazione Ente dello Spettacolo.

E guardando avanti, ci puoi anticipare cosa avete in mente, cosa state progettando per essere sempre più un ponte che unisce Chiesa e cinema?

Stiamo lavorando sulla modalità con cui comunichiamo. La comunicazione, per Fondazione Ente dello Spettacolo, non è solo l’ufficio stampa, la media relation o alcune delle nostre pubblicazioni. Noi stessi siamo un evento di comunicazione: la Feds fa comunicazione, così come Chiesa è con altre proporzioni, un evento di comunicazione. Quindi vorremmo interrogarci su come comunichiamo, su quali linguaggi usiamo, che immagine diamo di noi, come mediamo i nostri contenuti, come li organizziamo anche dal punto di vista tecnico, architettonico. E’ un lavoro che ci sta impegnando da ormai più di un anno: contiamo a breve di cominciare a mostrare il frutto di questo lavoro.

Come e se dovranno cambiare le vostre priorità, con l’avvento sempre più invasivo delle piattaforme come Netflix e Amazon Prime e il calo del pubblico in sala?

Se affrontiamo questo tema a partire dalla storia dei suoi effetti, cioè dal fatto che le piattaforme consentono, permettono  e prevedono una fruizione domestica, privatistica, legata ai propri schermi e quindi uno svuotamento delle sale, se poniamo così la questione è chiaro che siamo davanti a contrasti che appaiono insanabili e ad un futuro che sembra portare alla morte delle sale e alla nascita di altre piattaforme. Ma la questione non sta così: è vero che gli effetti sono già traumatici sulle sale. La Fondazione Ente dello Spettacolo ama la fruizione in sala, perché il modo di vedere il cinema in sala è unico. In questi mesi ho avuto modo più volte di vedere, ad esempio, il film di Pupi Avati sui miei schermi personali, che non sono nemmeno piccolissimi, ma l’altra sera e per la prima volta, l’ho visto sul grande schermo. E ho visto un altro film, per i dettagli, per le scene, per il modo nel quale il grande maestro Avati ha girato, ha fotografato. E ho sentito il pubblico emozionarsi con me, ne ho parlato dopo, quindi è chiaro che è un’altra cosa. Al tempo stesso non si può negare che l’avvento delle piattaforme ha adeguato la produzione e la distribuzione a modi nuovi. E’ vero, gli effetti sono dirompenti e gli  intenti di queste piattaforme, a proposito delle sale, non sono molto chiari e non sono certo favorevoli alle sale. Ma proviamo a ragionare insieme, proviamo a cogliere questa novità e proviamo a vedere come fare nuova sintesi. La sala non morirà mai, non potrà morire, così come i nuovi media non ho mai ucciso i vecchi. Anzi li hanno spinti a trasformarsi, a specializzarsi. Anche la sala si sta specializzando, pensiamo alla grande tradizione delle sale della comunità, delle sale d’ essai laiche. Questa nuova concorrenza, che porta delle opportunità ad esempio nella produzione, spinge un presidio storico come le sale a fare sempre meglio il proprio lavoro. Certo con innegabile fatica e con un trasformazione che ha una difficoltà economica non di poco conto, ma secondo me è un’opportunità, che non esclude la fatica.

In conclusione, parliamo di quello che sembra un gesto profetico, in questa situazione delle sale, ma un sogno anche un po’ folle, come direbbe Pupi Avati. La sala cinematografica di comunità che state ristrutturando a Lecco: sarà pronta per il Lecco Film Fest?

Sì, qui metto un’altra giacca, quella da parroco, dato che sono prevosto di Lecco, parroco delle parrocchie centrali di Lecco e vicario foraneo del Lecchese. In parrocchia abbiamo intrapreso questo sogno folle, più di un anno fa, con i collaboratori, con il consiglio pastorale, il consiglio per gli affari economici e le persone del territorio, di riaprire una sala cinematografica parrocchiale chiusa da 40 anni in un contesto, come quello di Lecco e provincia, povero di queste di queste opportunità,  quella di un centro culturale legato al cinema. Abbiamo intrapreso quest’avventura, e inaugureremo la sala verso la fine di luglio, con la presenza di grandi nomi del cinema, ma soprattutto con i 110 volontari che ormai da sei mesi si stanno formando, e con tutti coloro che hanno sostenuto questo progetto oneroso. Un progetto bellissimo dal punto di vista architettonico: ristrutturiamo una sala costruita alla fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento con un impianto neoliberty bellissimo, ma soprattutto creiamo un’occasione per pensare, per ragionare, per incontrarci. Un ponte, anche lì, tra la parrocchia e la città. La collocazione della sala è interessante: sul confine di un grande spazio parrocchiale che apre su una delle vie di maggior comunicazione della città. Anche plasticamente questa sala dirà questo intento.