Fisichella: “Non stanchiamoci di fare del bene ai poveri”

Vatican News

Benedetta Capelli – Città del Vaticano

Non stancarsi di aiutare, di esprimere solidarietà e vicinanza ai poveri, di incrociare il loro sguardo che interroga e che mette a nudo. L’arcivescovo Rino Fisichella lancia un messaggio chiaro alla vigila della Giornata Mondiale dei poveri che Papa Francesco ha istituito nel Giubileo straordinario della Misericordia del 2016, affidandone l’organizzazione prima al Pontificio Consiglio per la Promozione della nuova Evangelizzazione, oggi Dicastero per l’Evangelizzazione presieduto proprio dal Papa.

L’evento centrale è la Messa celebrata dal Pontefice nella Basilica Vaticana alle 10, a seguire il pranzo in Aula Paolo VI al quale parteciperanno circa 1300 persone. Intanto da lunedì, dopo due anni di pandemia, è tornata l’iniziativa del Presidio sanitario in Piazza San Pietro, per assicurare la possibilità di visite mediche e farmaci anche alle fasce di popolazione più svantaggiate. Cliniche mobili che hanno offerto gratuitamente visite di medicina generale, elettrocardiogrammi, analisi del sangue, vaccini antinfluenzali e tamponi Covid. Possibili anche test in grado di valutare la presenza di virus come l’HCV (epatite C), l’HIV e la tubercolosi.

Una povertà che arricchisce

Monsignor Rino Fisichella guarda alle tante situazioni di fragilità che gravitano anche intorno a San Pietro, spesso frutto di ingiustizie e di conflitti come quello ucraino. Esorta a incrociare gli occhi di chi soffre perché è nell’incontro che si evangelizza.

Ascolta l’intervista a monsignor Rino Fisichella

Da giugno, quando è stato presentato il Messaggio per la Giornata Mondiale dei poveri, c’è una costante: la guerra in Ucraina che Papa Francesco aveva menzionato nel testo, indicando proprio nella guerra una delle principali cause della povertà. Il conflitto in Ucraina è un riferimento per le iniziative messe in campo per la Giornata?

Assolutamente sì! Non dimentichiamo che i poveri non hanno confini, i poveri hanno un volto che è determinato dai segni della povertà, non della nazionalità. Non dimentichiamo che l’Italia, nel caso dell’Ucraina, è stata in grado di spalancare le porte per accogliere tutti i profughi e noi abbiamo a Roma, nelle città che gravitano intorno a Roma, colonie di profughi ucraini che attendono ulteriormente la nostra solidarietà. Nel messaggio del Papa, c’è una espressione che è coerente con la situazione che si sta verificando, perché il Papa dice che non dobbiamo stancarci. Tante volte si nota la stanchezza, un po’ anche per quella forma di sottile egoismo che tocca ognuno di noi nel momento in cui vediamo che le conseguenze della guerra vengono vissute anche sulla nostra pelle, quindi c’è la tentazione di stancarsi nel dover compiere gesti di solidarietà, di attenzione e di accoglienza. Tutto questo ci deve coinvolgere in maniera ancora più diretta, più forte, perché là dove c’è la grande solidarietà nell’accoglienza, che è stata posta in essere dallo Stato o dalle parrocchie e dalle associazioni e anche dalle singole famiglie possa essere sostenuta.

Dal 2016 ad oggi, con le tante iniziative messe in campo, è cambiato in qualche modo lo sguardo dell’uomo sulla povertà?

Io direi che l’intuizione di Papa Francesco di istituire la Giornata Mondiale dei poveri trova sempre più radicamento nella Chiesa. Lo vediamo dai rapporti che ci danno i vescovi che vengono in visita ad limina, ma lo vediamo anche dalle esperienze che ci fanno conoscere. Soltanto l’anno scorso, per fare uno degli esempi che abbiamo più a portata di mano, il vescovo a Berlino ha aperto il duomo che era chiuso per restauro, lo ha aperto per accogliere i poveri e fare il pranzo con loro. In vari Paesi dalle Chiese vengono invitati nei ristoranti, c’è un’attenzione speciale durante la celebrazione eucaristica, con segni particolari; le famiglie spalancano le porte delle loro case per accogliere; c’è un crescendo di iniziative anche le più piccole, le più immediate, quelle che potrebbero passare per ovvie ma che invece sono il segno dell’accoglienza. Il segno per cui c’è una consapevolezza sempre più grande che questa Giornata ormai è un punto di riferimento per la comunità cristiana.

Nel Messaggio del Papa c’è una sottolineatura particolare, si parla di una povertà che arricchisce. Come declinare oggi questo passaggio in una società che invece guarda alla ricchezza e all’apparenza?

Questo è un grosso problema culturale che richiede un grande impegno nella formazione. Noi dedichiamo la formazione a tanti ambiti ma non facciamo crescere l’attenzione alla solidarietà e alle forme di accoglienza che caratterizzano invece la civiltà e la cultura di un popolo. Solo per rimanere a Roma, noi non possiamo dimenticare che Roma fin dai tempi degli antichi romani è stata chiamata patria communis, Roma ha sempre avuto la vocazione di essere patria di tutti i popoli. Chi viene qui si sente a casa sua, la povertà è una di quelle dimensioni che il Signore ci ha chiesto di tenere il più possibile in primo luogo davanti agli occhi, e non solo, ci ha chiesto anche di essere i primi a dover corrisponde alle loro esigenze. Quando Papa Francesco insiste dicendo che i poveri ci evangelizzano, non fa altro che richiamare a quel grande e fondamentale passo del Vangelo dove Gesù dice: “I poveri li avete sempre con voi”, usa il tempo al presente, non usa il futuro né il passato, usa il presente perché i poveri fanno parte del nostro presente e quindi questo implica un’assunzione di responsabilità ancora più grande. Vorrei fare un augurio ai poveri che incontriamo ogni giorno ed è l’augurio che possano incontrare sempre di più delle persone che si fermino, che le ascoltino e che se c’è bisogno siano segno di solidarietà. E poi c’è l’augurio per tutti noi perché il nostro sguardo non sia indifferente, ma guardi negli occhi le persone che incontriamo. La trasmissione della fede si è sempre verificata in questo modo, la trasmissione della fede non è avvenuta attraverso una strumentazione tecnologica, che è importante ed è anche essenziale a volte nella comunicazione di oggi, è avvenuta perché due persone si sono incontrate e si sono guardate negli occhi. Uno ha dato l’annuncio con la sua vita, l’annuncio dell’amore di Cristo, l’altro che ascoltava lo ha guardato negli occhi e ha capito che quegli occhi erano credibili.