di Rino Fisichella
«La Parola del Signore corra e sia glorificata». Più volte l’apostolo Paolo nelle sue lettere fa riferimento alla corsa per esprimere l’urgenza dell’evangelizzazione e la vitalità propria della Parola di Dio. La corsa per sua natura richiama a un cammino veloce dettato dall’esigenza di raggiungere lo scopo, che richiede il massimo impegno della persona. Già l’Antico Testamento faceva ricorso a questa immagine, quando soprattutto nel salmo affermava «manda sulla terra il suo messaggio; la sua parola corre veloce» (Salmo 147, 15). L’immagine della corsa quasi frenetica della Parola riporta immediatamente a quanto sia impellente la missione che deve essere compiuta. Negli scritti del Nuovo Testamento la personalizzazione della Parola non ha più bisogno di ricorrere all’artificio retorico perché viene espressa la realtà stessa della novità cristiana. La Parola si è fatta carne e ha preso la sua dimora in mezzo agli uomini.
È questo l’annuncio che nelle settimane scorse è risuonato nel mondo per celebrare il mistero del Natale con l’incarnazione del Figlio di Dio. La parola, non lo scritto è la peculiarità della fede. Eppure, la parola si incarna anche in un testo quasi imprigionata in una sorta di kenosi che fa emergere in maniera ancora più profonda la paradossalità dell’evento. Non esiste contraddizione tra “parola” e “scritto”, perché questo raccoglie in sé non solo la parola che viene trascritta ma anche il suo silenzio. È questa ricchezza che permane nel corso dei secoli come la forma più dinamica per rendere la Parola di Dio sempre attuale nella vita della comunità cristiana. Il silenzio come linguaggio reale e insostituibile che consente a quanto viene messo per iscritto di dare ancora eco alla parola che lo ha generato. Dinanzi alla Parola di Dio il silenzio permane come l’espressione più coerente per coglierne la profondità inespressa.
Non saremo mai troppo grati ai padri del concilio Vaticano ii che con la Dei Verbum hanno riportato in auge dopo secoli questa impressionante verità della fede. Come si sa, la costituzione dogmatica utilizza la stessa espressione «verbum» per descrivere la sacra Scrittura e la sacra Tradizione. La prima contiene la Parola di Dio ispirata, la seconda raccoglie la stessa Parola di Dio che nel corso dei secoli tende a esprimere tutta la verità. L’una e l’altra scaturiscono da un’unica fonte; sono come uno specchio in cui è possibile contemplare il volto di Dio; costituiscono insieme un solo “deposito” affidato a tutta la Chiesa perché nel corso della sua storia sappia da dove attingere, per offrire la sua veritiera testimonianza di fede fino al compimento di tutta la verità rivelata. Esiste insomma una così intrinseca unità tra la sacra Scrittura e la Tradizione orale che una loro separazione comprometterebbe la sussistenza di entrambe.
Con la lettera Aperuit illis, Papa Francesco ha istituito lo scorso anno la domenica della Parola di Dio. Come si evince dalla lettura del motu proprio alla base si trova la sua concezione di questa unità fondamentale che caratterizza la Sacra Scrittura e la Tradizione viva della Chiesa. Sarà celebrata anche quest’anno in tutte le Chiese del mondo per imprimere sempre più un radicamento nella vita delle nostre comunità, così da creare una tradizione che intende restituire la dovuta centralità al cuore della fede cristiana. La sua collocazione nel contesto della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani e della Giornata per l’amicizia e il dialogo con gli ebrei rende questo appuntamento ancora più significativo per la sua portata ecumenica. Nessuno può arrogarsi il diritto di possedere quella Parola che corre libera perché animata dallo Spirito di verità che non si lascia condizionare dagli uomini. Emerge, piuttosto, la consapevolezza che solo nella complementarità delle interpretazioni è possibile ritrovare la strada da percorrere perché l’unità realizzata dal Signore diventi di nuovo una realtà e non un sogno utopico.
Il motto scelto per la celebrazione di questa seconda Giornata dice: «Tenete alta la parola di vita». L’espressione mediata dalla lettera ai Filippesi non fa che provocare tutti i credenti al loro impegno di coerente testimonianza. Essi sanno che hanno la responsabilità di portare al mondo ciò che posseggono di più prezioso: la Parola che offre il senso compiuto all’esistenza personale. La domenica della Parola di Dio non rinchiude i cristiani all’interno delle loro chiese per una celebrazione solenne. A partire dalla celebrazione domenicale sono inviati nel mondo per offrire la ricchezza della Parola che hanno ascoltato e celebrato. La domenica quindi diventa feconda nella misura in cui si trasforma in evangelizzazione.
Per riprendere il tema della «corsa» come spirito che anima i cristiani può essere utile riferire il bell’esempio offerto da Filippo nel libro degli Atti. Il diacono era seduto in casa sua ma lo Spirito gli intimò di alzarsi per raggiungere l’etiope che da Gerusalemme ritornava nella sua città. Quando stava per raggiungerlo, lo Spirito gli suggerì di accostarsi al carro del funzionario, ma Filippo «corse» verso l’etiope. È commovente notare lo spirito che anima i veri evangelizzatori. L’entusiasmo che li muove trasforma il cammino in una corsa pur di raggiungere l’obiettivo. La domenica della Parola di Dio non a caso riproduce come suo logo la scena dei discepoli di Emmaus che camminano con passo veloce, ignari di avere come compagno di viaggio il Risorto. È questa icona che dovrebbe caratterizzare i cristiani quando si accostano alla Parola di Dio. Dovremmo fare da eco alle parole antiche: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?».