La religiosa di una comunità delle Sore Serve dello Spirito Santo nella regione di Khmelnytsky racconta il lavoro con i rifugiati con le consorelle, i dubbi e le paure, ma anche le lezioni imparate in questi anni di sofferenza
Svitlana Dukhovych – Città del Vaticano
“Ospedali, cliniche, famiglie in cui è morto qualcuno, dove ci sono feriti, mutilati… Questo è un invito concreto di Dio ad andare lì dove Lui soffre. A noi spetta la risposta”. Suor Svitlana Matsyuk della Congregazione delle missionarie Serve dello Spirito Santo fino ad un anno fa svolgeva il suo servizio in una delle comunità nella regione di Khmelnytsky, nell’Ucraina centrale, dove le suore hanno aiutato tanta gente in fuga dalla guerra. Ora la religiosa si trova a Roma, dove è responsabile della formazione delle novizie nella sua Congregazione. Con Radio Vaticana – Vatican News parla della percezione degli eventi attuali in Ucraina dalla prospettiva di una persona consacrata, e parla pure del nuovo sguardo sulla fede e della necessità di assumersi la responsabilità di ciò che accade intorno.
Una corsa faticosa di lunga durata
“Probabilmente nessuno di noi si aspettava che la guerra sarebbe durata così a lungo, che sarebbe stata una corsa di lunga durata”, dice la missionaria. “Come consacrata, capisco che questa è una lotta che richiede resistenza, preghiera continua, costante fiducia in Dio e massimo impegno affinché venga preservato lo Stato ucraino e il popolo ucraino, in modo che la nostra libertà, la nostra dignità e la nostra scelta come popolo siano salvaguardate”. “Penso – aggiunge – che per molte persone credenti la guerra abbia sollevato la domanda: ‘Chi è Dio? Può il Dio in cui credo, permettere che ci succeda un male del genere?”. Però per chi conosce almeno un po’ la nostra storia, capisce che questo male ci è stato fatto regolarmente, per secoli. Per me – prosegue la suora – questo momento di guerra è un momento di ripensamento del mio rapporto con Dio, il momento di rinuncia all’infantilismo della fede. È facile credere quando Dio ci appare come un mago che soddisfa tutti i nostri desideri. È chiaro che ognuno di noi vuole essere felice e tranquillo, ma quello che è successo quasi due anni fa, ha sollevato le domande molto importanti ed è positivo che queste domande siano venute fuori”.
Rispondere all’invito di Dio di andare dove sanguinano le Sue ferite
Nonostante la lontananza dall’Ucraina, suor Svitlana continua ad aiutare il suo popolo che soffre. “È assolutamente impossibile rimanere indifferenti, come se nulla stesse accadendo, – sottolinea. – Ricordo che qualche anno fa, quando lavoravo in Germania, c’era un’ondata di rifugiati. Se ne parlava molto anche negli ambienti ecclesiastici. Durante uno dei ritiri, il sacerdote ha detto che la tenda in cui stanno i rifugiati è un invito di Dio ad andare verso coloro che hanno più bisogno. E ora, in questo momento, tornando alla realtà dell’Ucraina, gli ospedali, le famiglie, dove ci sono morti, feriti, mutilati… questo è un invito concreto di Dio ad andare dove sanguinano le Sue ferite. Spetta a noi a dare la risposta”.
“Senza la fede non potrei sopravvivere”
In tempi di grande crisi sentiamo spesso parlare dell’importanza di non perdere la speranza. Ma cosa significa sperare in tempo di guerra? “Parlerò di me stessa, – risponde ancora suor Matsiuk. – La fede, la speranza e poi l’amore mi hanno dato la forza mentale per sopravvivere a questo periodo. Ricordo il primo funerale di un soldato. Era un amico della nostra famiglia, morto l’anno scorso a marzo. Quando ho partecipato a quel funerale, è stato un momento molto difficile. E, in effetti, attraverso la fede stavo consegnando questa persona nelle mani di Dio, che amo così tanto, e amavo tanto pure questa persona: avevo sentito parlare di lui, sapevo molto di lui, ma soprattutto, questa era una persona che ha dato la sua vita per me… Mi attacco alla fede, mi aggrappo ad essa pregando per quelle migliaia di persone che sono già cadute. E solo la consapevolezza che Dio li ha accolti e che hanno trovato in Lui la pace e la vita vera mi dà la forza di andare avanti e di lottare per la vita, per aiutare questa vita a sopravvivere, laddove possibile. Quindi, senza la fede, non riesco a immaginare come potrei sopravvivere”.
La speranza è fiducia in Lui
La missionaria ucraina sottolinea che dalla fede nasce la speranza. “È la consapevolezza che io non sono Dio, ma solo Dio è Colui che è al di sopra di tutto e che, permettendo tutto questo, ha comunque potere su di esso – dice – e arriverà il momento in cui la guerra si fermerà e il male non avrà più questo potere. È come una batteria che sostiene e permette di guardare sempre in alto, in avanti. Ecco, la morte spesso mi fa arrabbiare, provoca senso di rifiuto il fatto che ce n’è così tanta. Ma, in realtà, la domanda ‘Che cos’è la morte?’ è una di quelle domande molto concrete che sono sorte con l’inizio di questa guerra. Ricordo che intorno alla seconda o terza settimana di guerra stavamo decidendo con le consorelle cosa fare: se rimanere in Ucraina o partire. E poi ho detto: ‘Sentite, forse è il momento di rispondere onestamente a noi stesse se crediamo nella vita eterna o no. Perché anche se dovessimo morire domani o oggi o adesso, e se abbiamo fede, sappiamo che questa non è la fine’. Certo, la vita deve essere apprezzata, ma questa vita non è la fine. Perciò dobbiamo entrare nella realtà così come è. Questo ci costerà molto, ma in caso contrario perderemo noi stessi e la possibilità che abbiamo”.
Raccontare all’altro il proprio dolore
All’inizio della guerra, le suore Serve dello Spirito Santo hanno aiutato i rifugiati nella regione di Khmelnytskyi. Ricordando quel periodo, i rifugiati che arrivavano quasi sempre di notte dopo un viaggio lungo, suor Svitlana condivide una delle tante lezioni preziose imparata negli ultimi due anni: “Nonostante la terribile stanchezza, era importante per loro che ci sedessimo con loro mentre loro mangiavano e li ascoltassimo. Parlavano tutto il tempo, raccontavano tutto quello che avevano passato. Questa è la cosa che li ha aiutati di più”.
Una persona che ispira
E a lei chi l’ha aiutata di più in questo periodo? La risposta di suor Svitlana è una sorpresa: “La persona che mi spinge alla continua converzione e che mi apre molte cosa nuove, è mia madre”, dice. La mamma è una volontaria che ha aiutato i militari ucraini e la popolazione sin dall’inizio della guerra nell’est dell’Ucraina nel 2014. È stata proprio lei ha spingere le suore a cominciare ad accogliere i profughi. “In questo periodo – condivide la giovane religiosa – ho capito che se stai accanto alle persone che si impegnano e subito si mettono a dare una mano, anche tu vorrai farne parte, rimarrai ‘contagiato’ da questo desiderio di aiutare. Ora mia madre lavora con l’ospedale militare della nostra città e conosciamo molte storie di feriti, cerchiamo di aiutarli. Per me lei è un esempio del coraggio, perché so che entrare in un ospedale dove ci sono questi feriti è un passo molto difficile, però lei ci riesce e va da questi soldati. E queste storie che sento da lei, alle quali, anche senza essere effettivamente in Ucraina, partecipo anch’io, mi danno molto coraggio, forza, speranza di cui ho bisogno per andare avanti, per pregare. Per me, questo è un invito ad andare lì, perché Dio è lì, ad andare da quelle persone, Dio ci aspetta in loro”.