Etiopia: la vita arriva dai pozzi d’acqua

Vatican News

Don Filippo Perin, 52 anni, è un missionario nella regione di Gambella che si trova al confine col Sud Sudan. Una terra bellissima dove però manca l’acqua, la gente muore di fame e il clima è insopportabile. Il suo progetto, sostenuto dai salesiani e dalla Onlus Cuore Amico è quello di aprire quanti più pozzi possibile per garantire sopravvivenza in un Paese dove l’aspettativa media di vita è al di sotto dei 50 anni

Cecilia Seppia – Città del Vaticano

In alcune parti del mondo, segnate da lunghi periodi di siccità e carestie, la gente arriva ad uccidersi per una tanica d’acqua potabile o per aver accesso a un ruscello. Fratello contro fratello: è la guerra della fame e della sete che spesso si combatte a mani nude. Succede anche in Etiopia, nella regione di Gambella, una delle più remote e povere del Paese africano, dove dal 2008 vive e opera il missionario, don Filippo Perin, parroco di Lare, insieme alla grande famiglia dei Salesiani, arrivata qui dopo il Giubileo del 2000.  Gambella riunisce molte etnie differenti e da circa dieci anni ospita anche numerosi rifugiati sud sudanesi in 8 campi profughi. “Solo il 14 per cento della popolazione ha accesso all’acqua potabile – ci racconta don Filippo – perciò non è raro che per il suo utilizzo scoppino sanguinosi scontri tra i villaggi. Ecco perché una delle prime cose che abbiamo sentito l’urgenza di fare è stata quella di raccogliere fondi per scavare dei pozzi. I costi però sono elevati. Solo per portare la macchina escavatrice in questa zona impervia e isolata occorrono tremila euro e anche il costo per il lavoro di scavo è oneroso, ma salva le vite delle persone”. Con il supporto della Chiesa, della fondazione Cuore Amico Fraternità Onlus e di molti privati, oggi a Gambella sono stati realizzati 100 pozzi e l’intenzione è quella di andare avanti per consentire a un numero sempre maggiore di persone di vivere, perché senza acqua, non c’è vita.

Don Filippo Perin, parroco di Lare con i bambini e i ragazzi del villaggio

Il sogno (disilluso) dell’Africa

“Quando sono stato ordinato sacerdote, ho sentito subito la spinta a voler partire in missione. Per un po’ ho lavorato in una scuola a Mogliano Veneto, vicino Treviso e con i ragazzi abbiamo fatto esperienze di viaggi e campi estivi in Paesi poveri. Sentivo che il mio posto era lì, dove lasciavo il cuore e il pensiero, così dopo un periodo di trattativa con i miei superiori, ho ricevuto il permesso di partire alla volta dell’Africa. L’Africa a prima vista era esattamente come me la ero sempre immaginata. Le foreste, la savana, gli animali bellissimi, il leone, le gazzelle, le giraffe, i coccodrilli e questi villaggi di capanne, con le strade polverose, il caldo torrido, asfissiante e i sorrisi dei bambini che non hanno nulla ma si emozionano per tutto, mi sembrava un sogno… Poi vivendo qui ho toccato con mano anche la sofferenza, i risvolti critici di questa terra bellissima. Pensate che qui l’aspettativa di vita è sotto la soglia dei 50 anni. Manca il cibo, le persone fanno un solo pasto al giorno, non esistono gli ospedali e gli ambulatori locali distribuiscono soltanto due medicinali: il paracetamolo e l’amoxicillina, un antibiotico ad ampio spettro per vari tipi di infezioni, nient’altro. Giovani e bambini si ammalano e muoiono per malattie che in altre parti del mondo sono curabili. Non ci sono scuole, l’istruzione non è nemmeno una priorità per i governi, perciò spesso è affidata alla Chiesa o a Ong che assolvono a questo importante compito come possono. I bimbi non hanno libri o quaderni su cui scrivere ma tanta voglia di imparare. Per non parlare della situazione climatica: da dicembre a giugno le temperature sono oltre i 40-45 gradi e non ci sono piogge quindi anche l’agricoltura ne risente tantissimo”.  

Il villaggio che esplode in festa

In 16 anni, don Filippo ha aperto parrocchie nuove, ormai Gambella è una diocesi ci spiega, e soprattutto è riuscito a raccogliere soldi per scavare 30 pozzi. “Da qualche anno – prosegue – siamo riusciti a trovare una ditta che fornisce i mezzi per scavare. La macchina escavatrice viene proprio durante i mesi di siccità in cui non piove e può raggiungere i villaggi comodamente, altrimenti durante la stagione delle piogge è tutto allagato, le strade non sono percorribili. I tecnici fanno un sopralluogo, individuano la falda e vedono a che profondità si trova l’acqua, calano un tubo e se è un buon punto si procede a realizzare la base di cemento e la pompa per portare l’acqua in superficie. Quando esce la prima acqua tutto il villaggio esplode in una festa. Arrivano le donne a riempire le taniche, c’è chi beve, chi fa la doccia, chi si mette a giocare con l’acqua come un pazzo, chi danza di gioia, stanno tutti intorno al pozzo per ore e capiscono il grande dono che hanno ricevuto!”. Purtroppo però gli approvvigionamenti sono limitati, c’è sempre il rischio che l’acqua si consumi e poi – spiega don Filippo – “è importante garantire una buona manutenzione del pozzo. Gli abitanti vengono istruiti sull’uso corretto della manovella ma spesso si rompe e allora bisogna di nuovo chiamare la ditta per cercare di ripararla ma questo comporta altre spese, altri soldi”.

Spesso sono le donne, in Etiopia, incaricate di raccogliere l’acqua in taniche che poi trasportano per chilometri

Evangelizzare con opere concrete

La principale fonte di sostentamento nel villaggio di Lare, come anche in altre zone dell’Etiopia, è l’agricoltura, per lo più si coltiva granoturco e dalle pannocchie si ricava la farina per fare la polenta che è l’alimento principale; altra attività economica è l’allevamento del bestiame, soprattutto mucche e pecore, per il latte e la carne, ma senza acqua è difficile tenere in vita gli allevamenti; infine ci sono piccole attività commerciali con manufatti locali e abiti cuciti dalle donne del posto ma di certo non garantiscono una grande fonte di guadagno. Inoltre si capisce perché in questo contesto di povertà estrema l’educazione non sia incentivata: i giovani spesso aiutano le famiglie nella coltivazione, devono lavorare per vivere e non possono permettersi di studiare. “In questa terra – prosegue don Filippo – sentiamo costantemente il richiamo del Papa alla cura della Casa comune e dei suoi abitanti. Come salesiani la nostra missione non può e non deve essere solo quella di portare le persone in chiesa. Certo evangelizzare è fondamentale, spezzare il Pane insieme a tutto il villaggio, ma qui si evangelizza con le opere e Gesù ci dice di dare da bere agli assetati e da mangiare agli affamati. La gente prima di fare catechismo mi chiede di aprire un pozzo, perché l’acqua aumenta la prospettiva di vita. Per questo facciamo di tutto, anche con il progetto dei pozzi, per garantire un minimo di benessere. Sopravvivere! E’ questa la parola chiave a Lare e in tutta l’Etiopia, non possiamo voltare la faccia dall’altra parte e scadere nell’indifferenza! E se non possiamo regalare vita, possiamo almeno assicurare sopravvivenza, facendo ogni cosa in nostro potere: bere acqua pulita o lavarsi le mani per prima cosa poi anche adoperarci per la pace e il rispetto della enorme biodiversità”.

Ogni volta che l’acqua sgorga da un pozzo è una festa per tutto il villaggio

Vivere, non solo sopravvivere

Don Filippo Perin chiude la sua intervista con un racconto doloroso: “Nel mese di febbraio che è stato uno dei più caldi mai vissuti da quando sono qui abbiamo passato le giornate a contare i morti e nessun giornale parla di questo; la gente di varie etnie si scontra e si uccide a vicenda per avere il controllo dell’acqua, dei pozzi; spesso si mettono in atto vendette familiari e io ai fedeli dico sempre: non si può lottare per la sopravvivenza, riuscire a sopravvivere al clima torrido, alla fame e poi ‘ammazzarsi’ per odio o vendetta. Perciò la Laudato si’ e ancor più la Laudate Deum ci esorta a lavorare per la concordia e la fraternità in questo luogo sperduto, dove manca tutto ma c’è anche un desiderio profondo di cambiare le cose e di poter vivere non solo sopravvivere”.

I bambini non possono andare a scuola, spesso sono costretti a lavorare nei campi