Elvira Ragosta – Città del Vaticano
Sono 37 milioni gli elettori registrati, su un totale di 109 milioni di abitanti, che domani si recheranno alle urne per eleggere i deputati che poi designeranno il primo ministro. Inizialmente previste per agosto 2020, le elezioni sono state rimandate due volte, la prima a causa della pandemia di Covid-19 poi per ritardi logistici. Quest’appuntamento elettorale si svolgerà mentre il Paese è alle prese con forti tensioni interne, soprattutto nel Tigray, la regione settentrionale colpita da violenze e dall’allarme alimentare e in cui, secondo l’Onu, più di 350mila persone vivono in condizioni di carestia e due milioni sono sfollate.
Per l’africanista Enrico Casale, l’Etiopia è un Paese al bivio, perché dopo l’ascesa nel 2018 del premier Abiy Ahmed si sono aperte da un lato grandi prospettive di riforma economica e dall’altro delle fratture. “Fratture di carattere soprattutto etnico – afferma a Vatican News – con tensioni non solo nella regione del Tigray, dove c’è stata una guerra nel novembre dello scorso anno, ma anche all’interno dell’Oromia, la regione in cui vive il popolo oromo, che è l’etnia più numerosa del Paese. A questo si uniscono anche tensioni internazionali, pensiamo a tutta la questione legata alla grande diga del Rinascimento etiope, questo grande sbarramento costruito dall’Etiopia sul Nilo, che sta creando tensioni con i Paesi a valle, cioè l’Egitto e Sudan”.
Candidati e collegi
Per le elezioni di domani si prospetta una conferma del premier Abiy Ahmed e del suo Partito della prosperità, l’unico che si candida in tutti i collegi ed è dato come favorito. Il principale concorrente è l’Etiopia citizen for social justice, il principale partito d’opposizione, che però non correrà in molte aree, così come tutti gli altri partiti di opposizione che, essendo su base etnica, difficilmente schierano candidati in tutti i collegi. Non tutti i collegi, inoltre, potranno ospitare le elezioni: in un quinto di essi, infatti, il voto è stato rinviato, ufficialmente per questioni organizzative. Non si vota nemmeno nel Tigray e in queste elezioni non si presenterà il Fronte popolare di liberazione del Tigray (Tplf), il partito che per 27 anni ha governato l’Etiopia. “In questa regione – aggiunge l’africanista – le tensioni continuano. Nel senso che, dopo la fine delle ostilità, comunque c’è un uno stato di latente tensione derivata dal fatto che le milizie del Fronte Popolare di liberazione del Tigray continuano a portare attacchi all’esercito etiope e alle milizie Amara e ai reparti eritrei che ci sono nella regione attraverso azioni di guerriglia”.
Le sfide future dell’Etiopia
Più di una le sfide che attendono l’Etiopia, sia dal punto di vista interno che esterno. “C’è una grande necessità di riforme economiche che permettano all’Etiopia di superare questo stato di povertà diffusa che la caratterizza” afferma ancora Casale, che sottolinea anche la necessità che ha il Paese di aprire maggiormente l’economia al libero Mercato e di procurarsi fonti energetiche. Dal punto di vista esterno “le sfide più grosse – conclude l’africanista – sono certamente quella legata alla diga del Rinascimento etiope e la sfida della Somalia, Paese vicino, tuttora instabile, che sta cercando una propria via d’uscita e nel quale l’Etiopia ha, come d’altra parte il Kenia, una forte influenza”.