Mentre il primo ministro iracheno dichiara che l’attacco nel Kurdistan è una chiara aggressione all’Iraq, sale ulteriormente la tensione nell’area mediorientale. La comunità religiosa che vive nella regione autonoma accoglie con gratitudine le parole di vicinanza spirituale di Papa Francesco: preghiamo perché chi governa agisca con sapienza
Antonella Palermo – Città del Vaticano
La tensione mediorientale sta diventando sempre più incandescente con Teheran che ha attaccato ieri, 16 gennaio, prima nel Kurdistan iracheno e poi oltre confine a sudest, in territorio pakistano. Tra le cinque vittime dell’attacco missilistico a Erbil, anche un noto imprenditore cristiano di Mosul e una bambina. Focolai che si sommano ai ripetuti raid in atto da tempo della Turchia nella regione autonoma curda. Secondo una nota ufficiale iraniana, l’operazione sarebbe stata scatenata contro “una base segreta del Mossad israeliano”.
Dialogo e collaborazione, via di unità
“Sono attacchi – afferma l’ex parlamentare cristiano Yonadam Kanna, leader e fondatore dell’Assyrian Democratic Movement – che violano la sovranità irachena. Le forze turche stanno combattendo il Pkk su montagne lontane dalle città”, ma la minaccia è “reale” per gli abitanti dei villaggi, “costretti ad abbandonarli e fuggire”. Padre Samir Youssef, parroco della diocesi di Amadya, informa i media vaticani di continui, quotidiani bombardamenti turchi. Una settimana fa proprio vicino al suo villaggio. Il superiore della comunità dei monaci caldei a Erbil, padre Yohanna Samer Soreshow parla della situazione partendo dalle parole arrivate stamattina dall’Aula Paolo VI:
Come commenta la vicinanza spirituale di Papa Francesco, espressa oggi all’udienza generale, alle vittime dell’attacco missilistico a Erbil?
Il nostro Santo Padre ci prende sempre nel cuore e prega per noi sempre e questo ci tocca tantissimo. La sua preghiera rafforza la fede e la nostra testimonianza in questi momenti turbolenti e giorni pesanti. Così possiamo andare avanti con una felicità che nasce dal cuore.
Papa Francesco ha detto che le relazioni con i propri vicini si costruiscono con il dialogo e la collaborazione…
Sì, certo, sono essenziali per andare avanti, specialmente quando si vive in una società, in una comunità multicolore, non di una sola fede o una sola lingua. Un giardino di fiori avrà una sintonia, un’armonia ma se non c’è dialogo verrà tutto distrutto.
Come si presenta la città?
Oggi la gente ha un po’ di paura però la situazione è calma e speriamo che il Signore dia sapienza nei cuori e nelle menti dei governanti per elaborare con molta cautela tutti gli elementi e anche per la sicurezza di tutti i cittadini.
Come state vivendo la tensione del conflitto in Medio Oriente che si paventa si possa allargare a conflitto regionale?
Quale è la condizione oggi degli esuli iracheni nel Kurdistan?
Noi, come comunità religiosa siamo scappati da Mosul, da Baghdad e viviamo a Erbil. Qui si vive molto bene. Il governo ci vuol bene e ci tratta benissimo e cerchiamo anche noi di dare del nostro per il bene del Paese insegnando nelle scuole, nelle università, stando con la gente. È un cammino che stiamo riprendendo qui dove eravamo prima di scendere a Mosul, a Baghdad e altri luoghi.
Secondo lei come andrà a finire il conflitto mediorientale?
Di una cosa sono certo: noi ci siamo, amiamo la nostra terra, amiamo il nostro prossimo. Sempre cerchiamo di dare un senso a quello che vediamo vivendolo nella speranza che le cose migliorino.
Siamo alla vigilia della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Il Papa si è augurato che si realizzi una piena comunione…
Da noi ci sono molte denominazioni cristiane. Le divisioni si ripercuotono anche al livello ecclesiale. L’unità vera è di non aver una Chiesa monocromatica ma una Chiesa che può dialogare e vivere la fede in Cristo risorto.
È vero che gli sforzi di dialogo interreligioso sono molto minati dal conflitto?
Sì, c’è un peso, diciamo…
Sono passati quasi tre anni dal Viaggio apostolico di Papa Francesco in Iraq: quali frutti sono maturati in questo tempo?
Tra i cristiani iracheni e nella società quella visita ha dato importanza alla cittadinanza. Loro sono felicissimi di questo. Ma frutti concreti ancora non sono maturati, ci vuole un po’ di tempo che le cose migliorino. Adesso ci rispettano di più anche se negli ultimi mesi ci sono state incomprensioni, ma speriamo.