Il primo turno delle presidenziali turche vede il presidente uscente oltre il 49% dei consensi e con quattro punti di vantaggio sullo sfidante social-democratico Kilicdaroglu. Ci sarà quindi bisogno del ballottaggio del 28 maggio per decidere il nuovo capo dello Stato della Turchia. L’inflazione record e la crisi economica non hanno scalfito tutto il consenso di Erdoğan. Germano Dottori (Limes): “Un risultato oltre le attese”
Marco Guerra – Città del Vaticano
Dopo venti anni di Receip Tayyip Erdoğan al potere la sfida per la presidenza della Turchia è di nuovo aperta ma non si è avverata la vittoria del leader dell’opposizione Kemal Kilicdaroglu, pronosticata dai sondaggi della vigilia. Così i principali analisti riassumono i risultati delle elezioni presidenziali e politiche tenutesi domenica 14 maggio in Turchia. Con il 99,3% dei voti scrutinati, quando mancano praticamente solo i dati del voto all’estero, il presidente uscente Erdoğan si attesta al 49,42% dei consensi e 26.8 milioni di voti. Lo sfidante social-democratico e leader dell’opposizione Kemal Kilicdaroglu è al 44,95% con 24.4 milioni di preferenze. Mentre l’Alleanza popolare, la coalizione che sostiene Erdoğan, si è assicurata la maggioranza dei seggi. Domenica infatti Turchia ha votato anche per il rinnovo del parlamento, qui la colazioni dei partiti islamisti e nazionalisti che sostiene Erdoğan, primo fra tutti l’Akp, ha ottenuto una discreta maggioranza, conquistando 324 dei 600 seggi. La coalizione repubblicana di Kiliçdaroglu si è fermata a 211 parlamentari. Molto alto il dato dell’affluenza alle urne che ha sfiorato il 90% degli aventi diritto.
Sinan Ogan ago della bilancia
Alla luce dei risultati, Erdoğan rivendica il vantaggio di oltre quattro punti sull’avversario e afferma che riconoscerà l’esito del ballottaggio del 28 maggio. Dal canto suo, il Kiliçdaroglu si dice certo della vittoria al secondo turno e promette di “portare la democrazia”, forte di una variegata coalizione senza precedenti di sei partiti dell’opposizione, compresa la lista filo-curda dell’Hdp. I riflettori ora sono puntati anche sul nazionalista indipendente di destra Sinan Ogan, che si è piazzato in terza posizione con il 5,2% dei voti, un bottino di consenso che potrebbe rappresentare l’ago della bilancia in occasione del ballottaggio.
L’inflazione fuori controllo
Erdoğan ha pagato un calo della popolarità, già emerso nelle amministrative del 2019, quando Akp aveva perso il governo delle due città più importanti del Paese, Ankara e Istanbul. Il terremoto del 6 febbraio e l’inflazione fuori controllo hanno peggiorato il giudizio sul governo di Erdoğan, al punto che la cipolla è diventato uno dei simboli del malcontento popolare, che protesta contro un aumento esponenziale dei beni di base come i prodotti ortofrutticoli. Nel tentativo di recuperare terreno, il presidente turco ha giocato la carta di alzare del 45% lo stipendio dei dipendenti statali a soli 5 giorni dal voto ed ha posto un tetto al costo degli affitti.
Dottori (Limes): Il risultato di Erdogan oltre le attese
“Il primo turno dice che Erdoğan è molto più forte di quello che si pensava ed è ancora lui il personaggio da battere, non solo perché ha mancato la maggioranza assoluta per un pugno di voti ma perché il suo partito è andato bene alle parlamentari, per questo penso sia favorito al ballottaggio”, spiega a Vatican News Germano Dottori, consigliere scientifico della rivista Limes. “C’è poi da osservare la consueta ripartizione del voto con i Kemalisti più forti nelle coste e nell’ovest mentre i conservatori islamisti si affermano nelle aree interne e centrali – prosegue – bisogna aggiungere che i curdi in questa tornata hanno fatto convergere il loro voto sul candidato kemalista, direi quindi che la crisi economica ha cambiato poco lo scenario”.
L’influenza di Erdogan sulla politica estera
Dottori ritiene che il terzo candidato, il nazionalista Sinan Ogan, potrà fare da ago della bilancia è che probabilmente il suo elettorato sarà più propenso a votare per Erdogan. L’esperto di geopolitica evidenzia che la cifra saliente del ventennio di potere di Erdoğan sia l’aver dato sostanza alle aspirazioni di un ritorno della Turchia a potenza internazionale. Erdogan ha fatto una politica estera da protagonista e anche “una vittoria di Kiliçdaroglu non riporterebbe il Paese ad essere semplicemente allineato all’Alleanza Atlantica come prima degli anni 2000”. Sul piano regionale la Turchia è diventata “un attore importante in tutto quello che viene chiamato il Mediterraneo allargato” e ha grande influenza anche in Africa: “Basti guardare Paesi come la Libia e la Somalia”. Riguardo alle sfide interne, Dottori ribadisce la necessità di stabilizzare l’economia e l’inflazione; inoltre “l’eventuale vittoria di Erdoğan dovrà essere caratterizzata da un rapporto meno problematico tra reislamizzazione del Paese e sopravvivenza della tradizione laica della Turchia”, mantenendo quel modello unico che la Turchia è stata per decenni.