Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano
La cautela è d’obbligo, dal 90 per cento dei seggi israeliani scrutinati finora, per ora l’unica notizia sicura che arriva è l’incertezza sulle alleanze. La situazione è di stallo, con l’intero bocco della destra fermo a 59 seggi contri i 61 necessari ad avere la maggioranza alla Knesset, nonostante il Likud del premier Netanyahu sia il primo partito, così come primo partito nel campo anti Netanyahu, sia Yesh Atid del centrista laico Yair Lapid, che mira a spodestare il premier. Occhi in parte puntati su Naftali Bennet e sul suo partito Yamina, che non ha ancora sciolto le riserve circa il suo possibile appoggio al premier, e su Ra’am, nuovo partito arabo israeliano di Mansour Abbas, espressione del movimento islamista con 5 seggi, con Abbas fuoriuscito dalla Lista araba unita, ora in calo.
Evitare di tornare alle urne
Il premier non ha pronunciato un discorso della vittoria, pur dicendosi pronto a parlare con i deputati che potranno aiutarlo a formare un governo per evitare una quinta tornata elettorale, dopo aver già votato quattro volte in due anni. Netanyahu ha quindi prospettato un governo di destra che “si occuperà di tutti i cittadini”, purché condividano determinati punti fondamentali come l’impegno per i vaccini, gli accordi di normalizzazione con i Paesi arabi, la fermezza contro l’Iran, la “salvaguardia della terra d’Israele” e l’opposizione ad un eventuale giudizio di fronte alla Corte internazionale dell’Aja per crimini di guerra.