Benedetta Capelli e Andrea De Angelis – Città del Vaticano
Uno specchio o una lente d’ingrandimento per guardare e comprendere l’economia di oggi. Il fenomeno della tratta di esseri umani potrebbe anche essere letto così, perché attraverso le analisi e i dati si comprende il senso di “questa vergognosa piaga”, come l’aveva definita Papa Francesco all’Angelus dell’8 febbraio 2015, nella memoria di santa Giuseppina Bakhita, la suora sudanese che venne rapita e fatta schiava a soli 9 anni, poi liberata è diventata una religiosa canossiana che è stata canonizzata nel 2000.
Nella sua festa, Talitha Kum, la Rete internazionale della Vita Consacrata contro la tratta di persone, ha promosso una Maratona di preghiera di 7 ore in 5 lingue diverse, con testimonianze di varie realtà che cercano di contrastare il fenomeno. Un’iniziativa, alla quale partecipa Papa Francesco con un videomessaggio, per onorare al meglio la settima Giornata internazionale di preghiera e riflessione contro la tratta di persone ed incentrata sul tema: “Economia senza tratta di persone”.
La preghiera insegna
Un evento ecclesiale molto importante, come sottolinea nella nostra intervista suor Gabriella Bottani, coordinatrice di Talitha Kum – Rete Mondiale della Vita ed Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana per il suo impegno contro la tratta. “Pregare è fondamentale, dà speranza e contemplando la realtà ci permette di avvicinarci al dolore ed alla sofferenza di milioni di persone che nel mondo subiscono la violenza della tratta”. Pregare è anche una scuola di vita. “Ci insegna a collaborare, ad unire le forze, a riflettere partendo dalla Parola e da quello che contempliamo. Pregare – prosegue la religiosa comboniana – è rinnovare la nostra capacità di impegnarci contro questo grave crimine”. Suor Gabriella Bottani si sofferma poi su santa Bakhita. “Lei è un’amica nel nostro cammino di liberazione, che intercede per noi e soprattutto per tutte le persone che – conclude – in ogni tempo vivono e soffrono la violenza della schiavitù”.
Le vittime invisibili
Per dare il senso della misura del fenomeno bastano i numeri. Sono più di 40 milioni le vittime di tratta nel mondo, il 72% sono donne, mentre il 23% sono minori. Chi vive sulla propria pelle la “piaga indegna di una società civile”, per riprendere le parole di Francesco, solitamente è destinato allo sfruttamento sessuale, quasi 60%, e il lavoro forzato per il 34%. Negli ultimi anni, riferiscono le organizzazioni impegnata nella lotta alla tratta, il fenomeno è cambiato. In Italia, ad esempio, è calato il numero delle giovani nigeriane che si prostituiscono, a pesare il calo degli sbarchi ma anche la detenzione in Libia. In aumento invece le donne di nazionalità diverse e i transessuali. Inoltre la pandemia ha cambiato il volto dello sfruttamento sessuale che è diventato sempre più online e pertanto ancora più nascosto con le vittime sempre più vulnerabili e invisibili.
Le catene dell’economia
E’ il Covid ad aver aumentato la diseguaglianza economica e le vittime della tratta purtroppo sono inserite negli ingranaggi di un’economia governata da alcune “catene” come la speculazione finanziaria e la concorrenza “sottocosto”. Nel 2014 l’Ilo, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, rendeva noto che i profitti annuali derivanti dalla tratta di esseri umani nel mondo erano pari a 150,2 miliardi di dollari, di cui due terzi dello sfruttamento sessuale. Altro dato importante: il 50% dei lavoratori sfruttati svolge un lavoro forzato a risarcimento di un debito. La Commissione Europea in uno studio del 2016 è di 337.462 euro il costo economico, sociale ed umano di ogni vittima di tratta in Europa. Infine nel 2018, secondo un report sul traffico di persone realizzato dalle Nazioni Unite, è di 200mila dollari il ritorno economico di un trapianto di organi nell’Europa occidentale a fronte di un pagamento di 10mils dollari ad un “donatore” che vive in povertà estrema in America centrale.
Il metro per leggere l’economia
Il professor Giulio Guarini, docente associato di economia politica all’Università della Tuscia di Viterbo, ha anche partecipato a Economy of Francesco, è suo il pensiero sulle catene dell’economia che richiamano quelle alle mani e ai piedi di tante vittime della tratta. Nella sua analisi emerge chiaramente che il fenomeno della tratta “è il metro con cui misurare l’economia e per leggere il sistema economia”. “Finchè la tratta – afferma – resta un aspetto particolare, estremo, non si riesce a coglierne la portata negativa. Un’economia senza tratta è possibile solo se si vanno a colpire “i fattori di rischio che sono strutturali, il processo – sottolinea Guarini – è grande ma bisogna ragionarci”. Le tre catene che indica il professore sono quella del “sottocosto” per cui il sistema produttivo si basa sul “tutto e subito” mentre “investire nella qualità è un atto di coraggio”. “La seconda è quella del mercato del lavoro che spinge verso la flessibilità, che dovrebbe invece coinvolgere le competenze ma diventa precarietà”. Proprio in questa situazione, “il confine tra lecito e illecito diventa labile, si assiste ad un indebolimento generale delle condizioni dei lavoratori e così si integra l’attività di tratta con l’economia”. L’ultima catena riguarda l’austerità, ancora più aumentata in un contesto di pandemia, che implica i tagli indiscriminati alla spesa sociale che rendono difficile il reperimento di mezzi e strumenti per combattere la tratta o aiutare le vittime.