Debora Donnini – Città del Vaticano
Una vita spesa al servizio della Chiesa fin dalla giovinezza quella di padre Joseph Shih, nato nel 1926 a Ningbo, nella provincia di Zhejiang, in Cina. Cresce in una famiglia con dieci figli e a 18 anni, nel 1944, entra nel noviziato dei gesuiti a Xujiahui, Shanghai. Nel 1957 viene ordinato sacerdote nella cattedrale di Baguio, nelle Filippine. Poi si reca a Roma, dove insegna alla Pontificia Università Gregoriana per 35 anni e per 30 anni lavora presso la Sezione Cinese della Radio Vaticana. Negli anni collabora con la Santa Sede per molte questioni riguardanti la Cina. Era poi tornato in Cina e veniva per alcuni periodi in Italia ma da quando era arrivato il Covid, non era tornato nel suo Paese natale.
Il 28 agosto scorso aveva compiuto 95 anni: 77 ne ha vissuti come gesuita. La sua morte è avvenuta stamani presso l’Infermeria “San Pietro Canisio”. Nell’intervista a Vatican News, ricorda la sua figura padre Federico Lombardi, che nel 1991 è diventato direttore dei programmi della Radio Vaticana, della quale è stato poi direttore generale dal 2005 fino al 2016. Attualmente è presidente della Fondazione vaticana «Joseph Ratzinger-Benedetto XVI».
Sono molto affezionato a padre Shih, in particolare perché ho vissuto con lui nella stessa comunità e ho lavorato con lui alla Radio Vaticana per moltissimo tempo. Lui aveva già incominciato prima che io arrivassi alla Radio Vaticana. Lui era un uomo estremamente cortese, gentile, amabile, laborioso. Lo ricordo bene, tutti i giorni alla Sezione Cinese della Radio per quasi tutta la giornata, per lavorare lui stesso e accompagnare il lavoro dei suoi collaboratori, che è stato – e continua ad essere – un lavoro ciclopico, perché la trasmissione in cinese della Radio Vaticana in tutti gli anni del servizio del padre Shih era una trasmissione che durava 42 minuti completi di audio. Quindi c’era una quantità di testo, che veniva preparato e letto al microfono ogni giorno, estremamente ampia. Il padre Shih fu poi uno dei primi alla Radio Vaticana che ebbe la piena consapevolezza dell’importanza di Internet e quindi si impegnò per pubblicare sul sito della Radio, la pagina in cinese, i testi delle trasmissioni, testi che erano non solo di informazione ma, più ancora, di formazione religiosa e culturale, e pubblicò – penso – nei suoi anni, decine di migliaia di pagine in cinese sul sito Internet della Radio Vaticana, con materiali interessantissimi. In particolare vorrei ricordare l’intera traduzione di un bel libro del padre Vanhoye, il cardinale gesuita biblista che è morto da poco, che era di omelie e commenti sulla Sacra Scrittura molto utili per la pastorale. Il padre Shih si impegnò per tradurlo completamente. Questo era uno solo dei contributi pubblicati sul sito cinese della Radio Vaticana. Quindi, il suo è stato un lavoro veramente enorme compiuto con fedeltà ogni giorno per decine di anni, insieme ai suoi collaboratori, per il bene degli ascoltatori cinesi e della Chiesa in Cina.
Quindi ha avuto un peso importante all’interno della Radio Vaticana e anche come professore e insegnante alla Pontificia Università Gregoriana?
Sì. Noi abbiamo sempre considerato che alcuni dei programmi della Radio, in particolare per Paesi che avevano anche difficoltà per la vita della Chiesa, come la Cina o il Vietnam, fossero programmi fondamentali. Padre Shih, che però appunto aveva vissuto la sua vita a Roma perché durante la sua formazione era cambiata la situazione in Cina e quindi lui aveva dovuto rimanere a studiare e a lavorare fuori dalla Cina, è stato professore all’Università Gregoriana non solo di Storia e Cultura cinese, ma anche di Catechesi missionaria. Quindi, ha svolto un importante servizio nel campo della missiologia e dei rapporti con le culture dell’Oriente. Quindi è anche uno studioso, il padre Shih. Dopo aver terminato – nel 2008 – il suo servizio “a tempo pieno” per la Radio Vaticana, fu molto contento di poter tornare in Cina. Tornò a Shangai, doveva aveva anche dei parenti, e passò la maggior parte del suo tempo – dal 2008 in poi – in Cina, a Shangai, abitando presso la diocesi, prestando servizio nella parrocchia, confessando, essendo uomo di consiglio per molte persone, e quindi svolse gli ultimi anni del suo ministero principalmente in Cina. Tornava però a Roma ogni anno, per un mese o due: quindi fu un ponte reale con la Cina dei nostri tempi in cui lui viveva con grande equilibrio, saggezza e impegno sacerdotale. La sua visione della situazione della Cina in questi anni è sempre stata molto equilibrata e fondamentalmente costruttiva e ottimistica, conservando quindi sempre un atteggiamento di serenità, equilibrio e di giudizio che ci aiutava molto a guardare con fiducia e con costruttività a quello che si poteva fare e si può fare tuttora per la Chiesa in Cina.