Le parole di Francesco alle autorità ungheresi interpellano i leader delle nazioni coinvolte insieme ai capi dei governi europei e a quelli di tutto il mondo. E interpellano la coscienza di ciascuno di noi
Andrea Tornielli
È una domanda drammatica quella che Francesco rivolge dal cuore dell’Europa, da quell’Ungheria i cui confini lambiscono l’Ucraina vittima della guerra di aggressione russa. È una domanda che interpella innanzitutto i leader delle nazioni coinvolte insieme ai capi dei governi europei e a quelli di tutto il mondo. Interpella anche la coscienza di ciascuno di noi.
Il Papa ha fatto sue le parole pronunciate nel 1950 da un padre fondatore dell’Europa, Robert Schuman: “Il contributo che un’Europa organizzata e vitale può apportare alla civiltà è indispensabile per il mantenimento di relazioni pacifiche”, in quanto “la pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano”. Parole “memorabili” le definisce Francesco, che si è quindi chiesto: “In questa fase storica i pericoli sono tanti; ma, mi chiedo, anche pensando alla martoriata Ucraina, dove sono gli sforzi creativi di pace?”.
È significativo notare che già il Presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella, un anno fa, intervenendo al Consiglio d’Europa, aveva citato questa frase di Schuman. Già, dove sono questi sforzi creativi? Dov’è la diplomazia con la sua capacità di intraprendere vie nuove e coraggiose per un negoziato che ponga fine al confitto? Dove sono gli “schemi di pace” da mettere in gioco per superare gli incombenti “schemi di guerra”?
La domanda di Francesco è drammatica e realistica. Drammatica, perché ci mette di fronte all’assenza di iniziativa da parte di un’Europa che sembra arrendersi alla logica del riarmo e della guerra mentre appare piuttosto afona sulla pace. Realista, perché ci mette in guardia dall’assuefarci all’“infantilismo bellico”, a un tragico conflitto che può in ogni istante degenerare, con esiti catastrofici per l’umanità intera.
Eppure le parole del Pontefice, il suo riferimento al cammino unitario europeo, “grande speranza” insieme alle Nazioni Unite per prevenire ulteriori guerre dopo quella devastante conclusa nel 1945, contengono già una risposta. Sta nell’invito a ritrovare “l’anima europea”, l’entusiasmo e il sogno dei padri fondatori, statisti che hanno saputo guardare oltre i loro confini, che non hanno ceduto alle sirene del nazionalismo e sono stati capaci di ricucire invece di strappare. Milioni di persone che oggi vedono infrangersi le grandi speranze suscitate dalla fine della Guerra Fredda e vedono ritornare gli incubi della minaccia atomica, attendono una risposta: dove sono gli sforzi creativi di pace?