Sul numero di maggio del mensile de L’Osservatore Romano, che esce sabato 6 aprile, la storia di sei detenute che lavorano e pregano come una comunità monastica in un carcere texano
di Karen Clifton*
I seguaci di Gesù della Chiesa dei primordi hanno dato l’esempio di come vivere in relazione, con una sola mente e un solo cuore. La prima comunità cristiana era dedita a seguire e a diffondere gli insegnamenti di Gesù, e ciò implicava vivere in una costruzione in cui pregavano e vivevano in comunità – condividendo tutto, dalla routine al cibo – ma anche in relazione. Non era facile. Oggi è difficile trovare questo modello al di fuori delle comunità monastiche, eppure prospera nel luogo più inaspettato tra sei delle donne che vivono nel braccio della morte del Texas. Sei donne prigioniere.
Queste donne si sono formalmente impegnate come oblate delle suore cattoliche di Maria Stella Mattutina. Vivono secondo un ritmo monastico fatto di preghiera personale, lavoro, riposo e preghiera comunitaria. Il loro lavoro è fatto di attività carcerarie individuali e di gruppo. Vivono in una serie di celle di appena 4,3 x 1,8 metri, una accanto all’altra, senza riservatezza e in costante vicinanza. Queste condizioni, la confusione del carcere e il fatto di essere costrette a rimanere insieme 24 ore al giorno e 7 giorni su 7 metterebbero alla prova anche la persona più paziente. Tuttavia, queste donne accolgono tali sfide con un impegno quotidiano per la riconciliazione e espressioni di gratitudine reciproche. Approfittano della vicinanza cui sono costrette per unire le voci in preghiera e in canti pieni di sentimento che riempiono i corridoi del carcere mentre loro sono sedute nelle loro celle. Il loro modello di vita è ispirato a quello delle suore di Maria Stella Mattutina. E queste religiose, che le visitano regolarmente e pregano con loro, si rifiutano di chiamare questo luogo braccio della morte, indicandolo invece come “braccio della luce”.
Sebbene statisticamente le donne costituiscano solo il 7-10 percento dei 2,1 milioni di persone carcerate negli Stati Uniti, la loro detenzione ha un impatto enorme sulle nostre comunità. Le donne sono in genere più anziane quando vengono incarcerate, e per il 60-80 per cento sono madri che ancora contribuiscono attivamente al sostentamento delle loro famiglie. E ciò vale per tutte le donne che attualmente si trovano nel braccio della morte del Texas.
Il 70-98 percento delle donne detenute nelle carceri statunitensi sono state vittima di aggressioni sessuali o violenza domestica. Di solito sono state aggredite sessualmente e ripetutamente sin da giovani, e molte sono state vittime di qualcuno a loro vicino. Poiché tali reati sono difficili da dimostrare o le vittime non vengono credute, spesso non c’è via d’uscita. Molte donne si “automedicano” con alcol, droghe o altre dipendenze per intorpidire il dolore. Entrano spesso in una spirale che conduce al carcere.
«Come fai a stare seduta qui per vent’anni e svegliarti ogni mattina con gioia?», ha chiesto un ufficiale penitenziario a una delle donne nel braccio della morte. La sua risposta: «è Dio!». L’unicità delle donne texane nel braccio della morte è frutto di una cura pastorale trasformativa. Ma il cammino verso la loro fede è iniziato con l’ascolto e avendo l’immagine di Dio rispecchiata in loro. Attraverso la cura pastorale sono state amate incondizionatamente e non sono mai state abbandonate. È stato insegnato loro come essere comunità: pregare le une per le altre, dare speranza e sostegno e perdonarsi reciprocamente nella vita quotidiana. Il gruppo, nel suo insieme, crede fermamente che Dio ha un disegno per ognuna di loro e che tutto avverrà secondo i tempi di Dio.
Il messaggio del Vangelo e dei nostri insegnamenti cattolici è di praticare il ministero dell’accompagnamento; per offrire un ascolto attivo, uno spazio sicuro per la guarigione e la crescita e un sostegno alle emozioni. Questachiamata a offrire un’esperienza di amore incondizionato vale per tutti i nostri fratelli e sorelle. Il bisogno di questo ministero è grande, e i ministri sono pochi.
Come potrebbe la Chiesa cattolica negli Stati Uniti riacquisire il suo zelo missionario per diffondere il Vangelo agli emarginati, come ci ha invitato a fare Papa Francesco? Ci sono milioni di detenuti che attendono di sperimentare il volto di Cristo. Il Texas ha una popolazione carceraria molto numerosa, così come tanti altri Stati. In Texas, la sola diocesi di Galveston-Houston ha 26 carceri statali, 10 prigioni di contea, 1 carcere federale, 10 strutture per minori e un centro di detenzione per immigrati. Alcune carceri ospitano più di 20.000 persone. I vescovi e i ministri stanno cercando di far celebrare una messa al mese in queste strutture, ma non ci sono abbastanza sacerdoti né ministri laici per la cura pastorale di questa enorme popolazione. Le 122 strutture del Federal Bureau of Prisons hanno solo 15 cappellani cattolici. Come si suol dire: «Houston, abbiamo un problema».
«Prendersi cura dei detenuti fa bene a tutti, come comunità umana, perché è da come si trattano gli ultimi che si misura la dignità e la speranza di una società» (Papa Francesco, 6 novembre 2022).
Come Chiesa siamo chiamati a camminare con i nostri fratelli e sorelle. Dobbiamo essere attenti a non giudicare, demonizzare o catalogare le persone come vittime o colpevoli. Finire incarcerati è un percorso complesso, e per molti ha radici in sistemi familiari e comunitari che non lasciano scelta. Come cattolici siamo chiamati a sostenere un cambiamento del sistema al fine di prevenire e interrompere i circoli di abusi e offrire altre opzioni concrete. E i cattolici statunitensi devono promuovere con coerenza la dignità di ogni vita, abolendo la pena di morte, ponendo fine all’ergastolo senza possibilità di libertà condizionale per i minorenni e mettendo fine all’isolamento a lungo termine. Sono pratiche disumane, in contrasto con il rispetto della dignità della vita.
Le carceri umiliano e spogliano chi vi entra. I detenuti vengono costantemente trattati come se non fossero “umani”. «Il trattamento che ricevi all’interno determina chi sarai quando lascerai questo sistema», ha detto una delle donne del braccio della morte. Dovremmo riflettere su che cosa significa il trattamento in carcere per il 95 percento delle persone che dopo la detenzione tornano nella società. Come abbiamo visto nel braccio della morte del Texas, ci sono delle opzioni riguardo a come vogliamo rimodellare anche la persona più indurita. La cura pastorale paziente e compassionevole delle donne nel braccio della morte del Texas ha dato buoni frutti, tra cui tra cui il battesimo (cattolico) in carcere di una di loro. È il risultato di decenni di preghiera, amore incondizionato e pazienza da parte delle sue sorelle nel braccio della morte. Non c’è nessuno che non possa redimersi.
Qual è il messaggio che le donne vogliono dare al mondo libero? «”Gesù è la via, la verità e la vita”. Siamo state distratte dai bambini, dal lavoro e dalla vita e non abbiamo avuto Dio come priorità. Abbiamo scelto di allontanarci da Dio. Non siamo mostri. Abbiamo fatto alcune scelte sbagliate e non lasceremo mai più che Dio non sia al primo posto nelle nostre vite. Conosciamo la sua voce tenue e quieta e ci dà pace e gioia. Non siamo condannate, siamo amate».
*Master of Divinity, Coordinatrice esecutiva e fondatrice della Catholic Prison Ministries Coalition (CPMC), Washington