Benedetta Capelli – Città del Vaticano
Raccontare la vita di un uomo è come intrecciare i fili di una tela. Una trama che si disegna grazie alle scelte, ai sogni e a quello che si lascia in chi gli cammina accanto. Raccontare la storia di Don Raffaele Falco significa legarla a quella della sua terra, Ercolano, ricca di bellezza ma spesso oltraggiata dalla malavita e dai suoi affari. Per lui la definizione di “prete anti – camorra” è calzante ma anche stretta perché, come ha spiegato il parroco della Chiesa del Sacro Cuore di Ercolano, don Marco Ricci, don Raffaele è stato “il sacerdote dell’annuncio del Vangelo e della denuncia del male”.
“Fate venire l’esercito”
Il male per il sacerdote, scomparso a 77 anni a causa del Covid domenica scorsa, ha un nome, un’identità, pesanti conseguenze nella vita della città degli scavi, spesso sembra non avere fine perché alimentato dal sangue delle faide dei clan. Quel nome è camorra.
Nella vita di questo prete c’è una linea di demarcazione. E’ l’estate del 1993, Ercolano è teatro della lotta tra gli Iacoomino-Birra da una parte e gli Ascione-Papale dall’altra. La gente assiste annichilita ad omicidi cruenti, alla spartizione dei rioni in città, alle divisioni tra famiglie, allo spaccio della droga venduta all’ingrosso e al dettaglio per i vicoli del centro e sulla litoranea. Don Raffaele, parroco della Chiesa del Santissimo Redentore, sceglie di alzarsi in piedi, prendere la parola, raccontare quel male e fare una richiesta precisa ma anche un grido di aiuto. “Fate venire l’esercito”: scrive in una lettera alla Commissione Straordinaria che amministrava la città e al presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. Non pensava, confessò don Raffaele, che quella lettera potesse fare scalpore o avere una risonanza nazionale.
La fiaccolata della legalità
L’esercito arrivò, le forze dell’ordine setacciarono la città, le case dei camorristi vennero perquisite. Quella voce di prete venne raccolta, la gente capì che si poteva non avere paura e il 14 settembre 1993 ad una fiaccolata della legalità parteciparono oltre diecimila persone. Il sindaco di Ercolano, Ciro Buonaiuto, per ricordare don Raffaele, ha scritto che “si fece portavoce della voglia di riscatto e di giustizia di un’intera comunità. Furono le sue parole, i suoi messaggi, il suo grido di aiuto a smuovere le coscienze di tutti. Iniziò, grazie alle parole di quel parroco, quella lunga onda di anticamorra che ha permesso alla nostra Ercolano di trovare il coraggio di denunciare, di combattere e di vincere la sua battaglia contro l’illegalità”.
Don Raffaele, poeta e profeta
Ieri sera, nella Chiesa del Santissimo Redentore, ha celebrato una messa in suffragio di don Raffaele il vescovo di Acerra, monsignor Antonio Di Donna, che proprio oggi è stato nominato presidente della Conferenza episcopale campana. Forte e vera la loro amicizia cresciuta tra le periferie di Ercolano, come “fratelli” e nel solco di una Chiesa povera per i poveri:
R. – Don Raffaele era un mio intimo amico, siamo entrambi sacerdoti di Ercolano, quasi coetanei ma lui è stato il prete che si è impegnato per la città soprattutto per l’annuncio del Vangelo. È stato un prete del dopo Concilio quindi espressione di una Chiesa dei poveri, per i poveri, anticipando così Papa Francesco. Una scelta preferenziale per i poveri non teorica ma vissuta, diventata stile di vita. Bisogna partire da qui. Poi è stato un pastore generoso, ha costruito una comunità dal nulla, un prete di periferia di una città che negli anni ’70 –’80 non vedeva la presenza dello Stato ma era preda di bande. Fu un prete tessitore di comunione degli altri preti nel suo ruolo di vicario foraneo. E infine un prete anti-camorra, ma io vado cauto in queste definizioni, un prete che certamente ha lavorato per il riscatto della città dal dominio della camorra. Ercolano ha avuto momenti difficili dopo il terremoto dell’80 con tutti i soldi che erano piovuti sulla città. La camorra la faceva da padrona con morti ammazzati ogni giorno, le faide tra i clan, lui è stato molto coraggioso, annunciando il Vangelo e lavorando per il riscatto della città. Oggi Ercolano è di fatto quasi libera dal dominio della camorra ma ci è voluto molto, la Chiesa ha dato il suo contributo e certamente don Raffaele come prete che ha alzato la voce. È stato un profeta perché quando ci voleva denunciava, alzava la voce per il bene del suo popolo. Molto molto amato dalla gente. Quando alle persone molto povere che vivevano in periferia si chiedeva a che parrocchia appartenevano, loro non sapevano il titolo della chiesa ma dicevano “noi simm d’a chiesa di padre Raffaè” (noi siamo della chiesa di padre Raffaele)
Quale immagine le rimane dell’amicizia fraterna con don Raffaele?
R. – L’immagine è quella di una persona molto intelligente, lucida. Lo chiamavo la testa pensante e lucida di tutto il territorio, con l’animo però di un poeta. Nel suo giornalino parrocchiale che ha fatto per trenta anni, c’era un inserto con le poesie che poi, si è saputo, erano le sue. Il mio ricordo personale, di amico che collaborava con lui è legato ad una nostra leggera somiglianza fisica. Quando la gente del quartiere mi vedeva mi diceva: “voi site u’ frate di padre Raffaele?” (voi siete il fratello di padre Raffaele?). A me faceva piacere. Quando sono stato nominato vescovo, era presente all’ordinazione episcopale e sul giornalino della parrocchia scrisse un editoriale che diceva così: “fino ad oggi hanno chiesto a te se eri mio fratello, adesso chiederanno a me se sono il fratello del vescovo. E io avrò piacere di dire di sì”.