Svitlana Dukhovych e Gabriella Ceraso – Città del Vaticano
Cappellano militare dal 2014, insegnante e salesiano don Oleh Ladnyuk si racconta dal fronte da dove da anni condivide proprio con i militari la dura esperienza della guerra. Ci racconta cosa lo spinge e cosa lo aiuta della sua esperienza passata e dei “miracoli” di cui è testimone ogni qual volta è riuscito a scampare dalla morte sotto gli spari e i bombardamenti.
È l’amore che spinge un sacerdote a stare in questa situazione: avere esperienza anche militare certo non guasta perchè – dice – il pericolo è ovunque e serve comprendere la psicologia di chi ti sta accanto per aiutare i soldati e non essere anzi di intralcio. E poi serve uno stato mentale pronto a vedere morte e sofferenze, vincendo su se stessi senza sprofondare nel dolore, anzi cercando di stabilire un buon rapporto con tutti. I salesiani in questo sono facilitati ci spiega don Oleh attingendo alla sua esperienza negli Oratori anche italiani. È qui infatti che ci si abitua a incontrare tutti senza distinzioni:
La sfida di affrontare le sofferenze
Buona abitudine dei salesiani è anche la fatica fisica, che in guerra non guasta e anche la formazione psicologica cui siamo abituati. Questa è la nostra preparazione – ci spiega – ma le sfide non mancano prima fra tutti quella di come superare la sofferenza. Me lo chiedono – ci confessa- “Come non prede la fede?” E mi dicono che vedono Dio in me. “Per me – aggiunge- questa è la sfida”.
Un grande sostegno per chi come don Oleh è in guerra, è il sapere che non è solo e c’è una comunità che prega, che spera, che lo aiuta. “Mi chiamano, mi scrivono anche dall’Italia” e i miracoli della preghiera si vedono, almeno nelle tante volte in cui si è salvato sotto il fuoco e il fragore delle bombe grazie proprio alla protezione di Maria.
Portare il Vangelo in terra di guerra
Quale oggi l’impegno più importante? Il servizio chiama don Oleh in questi giorni a dire Messa, confessare, distribuire la Comunione, più nelle retrovie che sulla linea del fronte. Poi c’è l’attività richiesta negli ospedali e nei villaggi laddove ancora molti civili sono rimasti e si prova a farli evacuare. In tutta la sua attività ci confessa di aver fatto evacuare almeno 500 persone, ma potrebbero essere molte di più, anche perchè – ricorda- nei primi mesi “caricavo il mio pulmino di tanta tanta gente e non li ho contati”. L’esperienza più toccante e difficili quella di aver portato via bambini senza i genitori: “Me li affidavano perchè si fidavano di me e volevano che li portassi in luoghi sicuri”. Per fortuna oggi si sono tutti ritrovato.
Poi l’esperienza con i giovani – ci racconta – è quella più difficile ma anche la più vicina alla spiritualità salesiana. Quando vengono via non hanno voglia di parlare e io rispetto il loro silenzio, poi quando entrano nella nostra casa salesiana, le barriere cadono e piangono con me.