Il sacerdote è stato nel Paese 22 volte per portare aiuti: “Questa è anche la nostra guerra, non si può smettere di occuparcene”
Beata Zajączkowska – Città del Vaticano
“La gratitudine che riceviamo in Ucraina mi motiva ad aiutare ancora di più e meglio”. Dallo scoppio della guerra su vasta scala in Ucraina, Don Leszek Kryża, sacerdote polacco, si è recato nel Paese “martoriato” per ben 22 volte. L’equipe di Aiuto alla Chiesa dell’Est della Conferenza Episcopale polacca da lui diretta, ha stanziato oltre 3 milioni di złoty ed ha organizzato 53 trasporti di aiuti umanitari. Si stima che gli alimenti, i farmaci, i generatori di corrente e le stufette in questo periodo abbiano aiutato a sopravvivere diverse migliaia di persone. “I residenti stanno lentamente tornando nelle aree liberate dall’invasione russa. In uno dei villaggi c’è un sacerdote ma la chiesa è stata distrutta. Stiamo aiutando a comprare un container che serva come luogo di preghiera, cosa che chiedono con insistenza”, racconta don Kryża a Radio Vaticana – Vatican News. E confessa che in precedenza aveva conosciuto la guerra solo dai racconti di suo padre e dei suoi zii sopravvissuti alla Seconda Guerra mondiale. Ora si trova di fronte ad una realtà molto concreta.
“Sono stato in posti dove esplodevano proiettili, cadevano razzi, dove le persone vivevano nelle rovine, negli scantinati, dove scappavano da una casa in fiamme. Io stesso ho dovuto ritirarmi dal fuoco più di una volta. Queste situazioni cambiano le persone e dimostrano che la guerra non è una teoria o ‘guerre stellari’, ma una realtà devastante”, confessa il sacerdote. Ricorda i villaggi fantasma intorno a Kherson dove vagavano solo cani randagi: “Vedere questo è stato assolutamente deprimente”, dice. Ricorda pure un viaggio in un villaggio sulle rive del fiume Dnipro, i cui abitanti non avevano avuto nulla da mangiare da diversi mesi e mancava l’acqua potabile: “Nonostante le nostre migliori intenzioni, non abbiamo potuto aiutarli perché i russi hanno intensificato i loro bombardamenti ed è diventato impossibile raggiungerli”.
In trincea non ci sono persone non credenti
Don Leszek con gli aiuti ha raggiunto anche la linea del fronte: “Eravamo nel bunker con padre Luca Bovio, segretario delle Pontificie Opere Missionarie in Polonia. Entrambi avevamo dei Rosari in tasca e uno dei soldati ce ne ha chiesto uno. Anche il secondo l’ha voluto e l’ha avuto. Vedendo ciò, il suo compagno gli ha detto: ‘Ma tu sei un non credente’. E quello ha risposto: ‘Non ci sono non credenti in guerra’. Poi ha mostrato al suo amico il rosario e gli ha chiesto: ‘Ora insegnami a pregare'”. Proprio questi tipi di incontri, secondo il sacerdote, permettono di sperimentare la guerra da un lato diverso, fanno sì che in tutto ciò si inizi a vedere la singola persona con tutta la tragedia della guerra: “Questa è forse per me la cosa più preziosa”.
Il prete missionario sottolinea che l’enorme gratitudine che riceve in Ucraina lo motiva ad aiutare ancora di più e meglio: “Aiutando, mi sento grato di poter aiutare”. Ovunque è andato insieme al suo gruppo, ha sempre sentito parole come: “Per favore, ringraziate i polacchi. Com’è bello che siate qui e vi ricordate ancora di noi”. Alla mente gli torna in particolare l’incontro con una donna anziana in un villaggio sperduto dove non arrivava quasi nessuno: “Quando le abbiamo consegnato un pacco con lo stemma polacco, ci ha chiesto stupita: da dove viene questo pacco? Quando le ho risposto che veniva dalla Polonia, mi ha sussurrato commossa: ‘La Polonia si ricorda di me'”.
Rifugiati per i rifugiati
Già prima dell’occupazione del Donbass da parte dei russi nel 2014, don Kryża aveva visitato la città dove lavoravano i padri della Società di Cristo, congregazione a cui appartiene. Si erano strette delle conoscenze che col tempo si sono rivelate provvidenziali. “Quando hanno cominciato ad arrivare i primi profughi in Polonia, ho iniziato a organizzare gli aiuti per loro. La loro nostalgia di casa era evidente nel fatto che partecipavano alla preghiera online guidata dal loro parroco a Donetsk. Quando è scoppiata la guerra su vasta scala, si sono immediatamente uniti per aiutare i loro compatrioti”, spiega. Tutti hanno aiutato con il cuore aperto, perché loro stessi sapevano com’è la situazione all’interno. Sapevano cosa sono le esplosioni, cosa succede nel cuore quando si deve fuggire, quando si è in un rifugio e non si sa cosa ci attende. “Abbiamo iniziato a pregare insieme, e questo ha portato a ulteriori iniziative di sostegno che continuano ancora oggi”, sottolinea il sacerdote.
La solidarietà dei bambini italiani per i coetanei ucraini
Ancora, racconta che dall’inizio della guerra le attività dell’équipe si sono concentrate sull’aiuto ai bambini e agli anziani. Di recente è riuscito a portare ai più piccoli di Kherson, i pacchi preparati dai loro coetanei italiani. Ciò è stato possibile grazie all’impegno di don Luca Bovio, fin dall’inizio impegnato attivamente nell’aiuto all’Ucraina dilaniata dalla guerra: “Abbiamo vissuto momenti belli, i bambini erano commossi”. I pacchi contenevano caramelle, quaderni, matite, pastelli e altri piccoli doni. Ogni pacco era accompagnato da una lettera del bambino che offriva il regalo. “I bambini ucraini ne erano entusiasti. In queste lettere c’era scritto prima di tutto che i bambini italiani si ricordano dei bambini ucraini che stanno attraversando un periodo difficile in questo momento, che sono dispiaciuti che non possono andare in una scuola normale, che non possono giocare come i bambini in Italia. Hanno anche scritto che speravano che questo piccolo dono dall’Italia fosse un segno per loro, che non sono soli, che c’è qualcuno che si ricorda di loro e prega per loro, li sostiene”, riferisce don Kryża. Racconta con emozione anche l’incredibile reazione spontanea dei bambini ucraini: “Non solo hanno deciso di prendere i pacchi e goderseli, ma lo stesso giorno si sono seduti e ognuno ha scritto una letterina alla persona da cui avevano ricevuto il pacco. È stato molto piacevole e bello”.
Questa è anche la nostra guerra
“Non possiamo ‘mettere da parte’ la guerra in Ucraina e dire che la situazione del popolo di questo Paese non ci interessa. Questa è anche la nostra guerra e deve continuamente preoccuparci”, afferma ancora il sacerdote polacco. “Abbiamo il diritto di essere stanchi, ma questo non ci libera dall’obbligo di portare aiuto. Il sostegno offerto è spesso come gli spiccioli della vedova evangelica, che trasforma la disperazione in speranza. Una volta una donna anziana chiamò il nostro ufficio, dicendo che aveva una pensione molto bassa, che era gravemente malata, costretta a letto, e che non era davvero in grado di aiutarci materialmente perché aveva a malapena abbastanza soldi per le medicine. Tuttavia, ha assicurato: prego il Rosario per voi ogni giorno, prego che non vi succeda nulla quando andate a portare gli aiuti. E ringrazio Dio per quello che fate. Per me è stato qualcosa di incredibile”. Questa preghiera, secondo il missionario, sostiene il mondo.
Infine don Leszek evidenzia che per gli ucraini che sperimentano la guerra, la presenza di persone che vanno da loro è di grande importanza. Questo fa nascere la speranza, permette loro di sperimentare che non sono soli: “Penso che quelli che portano più speranza sono quelli rimasti con loro. Penso ai preti e alle suore. Per queste persone è un grande punto interrogativo: perché sono rimasti con noi, quali sono le loro motivazioni? E giungono alla profonda conclusione che ci deve essere qualcosa di più in tutto questo. O meglio, Qualcuno in più. Questo genera domande su Dio e sul senso della vita in questi tempi bui”. In questo senso, il religioso vede un segno di speranza nella richiesta degli abitanti di uno dei villaggi vicino a Mykolaiv di aiutarli a creare un luogo di preghiera e di celebrazione quotidiana dell’Eucaristia, visto che nella chiesa distrutta dai russi è attualmente impossibile anche solo entrarci.