Benedetta Capelli – Città del Vaticano
“Il suicidio medicalmente assistito e l’eutanasia non sono forme di solidarietà sociale né di carità cristiana e la loro promozione non costituisce una diffusione della cultura della cura sanitaria o della pietà umana”. L’area Famiglia e Vita del Dicastero propone sul sito vaticano una riflessione dopo che la Consulta ha giudicato inammissibile il referendum sulla depenalizzazione dell’omicidio del consenziente, proposta dall’Associazione Luca Coscioni.
Accompagnare con amore
“Altre – si legge ancora – sono le strade della medicina degli inguaribili e del farsi prossimo ai sofferenti e ai morenti”. Si ricorda quanto fece il buon samaritano stando accanto a chi era ferito “lenendo il dolore”. “Si può sempre accompagnare qualcuno verso la méta ultima della sua vita, con discrezione e amore, come tante famiglie, amici, medici e infermieri hanno saputo fare in passato e continuano a fare oggi. Senza strumenti di morte, ma – si spiega – con la scienza e la sapienza della vita”.
Una famiglia sociale
Il Dicastero ricorda che “la vita di ognuno di noi è una questione che riguarda tutti”; “prendersi cura, avere a cuore la vita di chi ci sta accanto non è una scelta di pochi, ma il compito di ciascuno, la responsabilità comune con la quale dobbiamo fare i conti nella società degli uomini e, alla fin fine, di fronte al Mistero da cui proveniamo e a cui siamo destinati”. Si tratta di ricordare che nasciamo in una famiglia ma facciamo parte nel mondo di una “famiglia sociale”, “senza cura della vita nostra e degli altri resta solo l’estraneità: la misera condizione di essere reciprocamente stranieri”. “Stranieri della vita” nel nascere e nel morire “è ciò che di più triste l’uomo possa sperimentare sulla terra”.
Non una norma morale ma un’evidenza etica
“La morte – è un passaggio della riflessione – è parte della vita terrena e porta della vita eterna. Prenderci cura dell’ultimo tratto di strada sulla terra, quello che ci avvicina all’ingresso nell’altra vita, è un dovere verso di noi e verso gli altri”. Nella nota si ricorda il pronunciamento recente di Papa Francesco all’udienza generale del 9 febbraio scorso quando ha ribadito che “la vita è un diritto, non la morte, la quale va accolta, non somministrata. E questo principio etico riguarda tutti, non solo i cristiani o i credenti”. Pertanto non si tratta di “rivendicare nella società e tra gli ordinamenti giuridici lo spazio di una norma morale che ha il suo fondamento nella Parola di Dio ed è stata incessantemente affermata nella storia della Chiesa, ma di riconoscere una evidenza etica accessibile alla ragione pratica, che percepisce il bene della vita della persona come un bene comune, sempre”.
La via delle cure palliative
Anche San Giovanni Paolo II si soffermava in particolare nell’Evangelium vitae sul fatto che “la questione della vita e della sua difesa e promozione non è prerogativa dei soli cristiani”. “Anche se dalla fede riceve luce e forza straordinarie, essa appartiene ad ogni coscienza umana che aspira alla verità ed è attenta e pensosa per le sorti dell’umanità”. Da percorrere dunque la strada delle “cure palliative”, via per sollevare dal dolore la vita dei malati che non possono essere guariti ma, si legge, “occorre sciogliere un equivoco, che rischia di veicolare attraverso l’aiuto a morire serenamente uno scivolamento verso la somministrazione della morte”. Il Papa a proposito ricorda che nella saggezza di quel “lascialo morire in pace” non è nascosto alcun aiuto ad accelerare verso “derive inaccettabili che portano a uccidere”. “Dobbiamo accompagnare alla morte, ma – ha sottolineato Francesco – non provocare la morte o aiutare qualsiasi forma di suicidio”.