Roberta Barbi – Città del Vaticano
Il dialogo sincero come strumento per avere un impatto positivo sul mondo: l’Osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a Ginevra, monsignor Ivan Jurkovič ha inaugurato così il suo intervento presso la Sesta riunione annuale sul Dialogo interreligioso dal tema “Il ruolo della fede ai tempi del Coronavirus” che si è svolta ieri nella città svizzera.
Il presule ha esordito ringraziando le altre illustri personalità presenti alla riunione, sottolineando la convinzione comune che li ha portati a partecipare: “Ognuno di noi conosce, per esperienza personale, il valore e l’importanza che riveste la propria religione nella nostra vita. Questa conferenza annuale ci permette di condividere ciò che è più importante per noi, in uno spirito di fiducia e fraternità, in modo da poter imparare gli uni dagli altri, aiutarci a vicenda e crescere insieme nel rispetto reciproco”.
La pandemia e gli effetti sulla vita quotidiana
L’arcivescovo è poi andato dritto al tema dell’incontro: “Tutti sappiamo quanto sia stata devastante la pandemia di Coronavirus – ha evidenziato – è scioccante riflettere sul fatto che poco più di un anno fa nessuno conosceva questa malattia né tantomeno poteva immaginare che avrebbe sconvolto il mondo. Ogni aspetto della nostra vita è stato sconvolto: centinaia di migliaia di persone sono morte; innumerevoli altre stanno soffrendo gravi crisi di salute; molte imprese sono state chiuse in tutto il mondo, alcune delle quali non saranno mai più in grado di riaprire; le economie nazionali sono state devastate; la produzione è stata bloccata; in molti luoghi, l’istruzione è stata ridotta all’apprendimento virtuale o è cessata del tutto e le situazioni di povertà sono state spinte al punto di rottura”.
L’analisi dell’arcivescovo si concentra, poi, sulle persone che hanno subito le conseguenze peggiori della pandemia, e cioè “i migranti, i rifugiati, le popolazioni indigene, i bambini, le madri”, i soggetti più vulnerabili. Le persone che già prima si trovavano in uno stato di severa indigenza e che, con la pandemia, si sono ulteriormente impoverite e morte di stenti, secondo monsignor Jurkovič, “devono essere annoverate tra le vittime di questo amaro flagello come coloro che hanno contratto il virus”.
La crisi interiore e l’impatto psicologico
Il presule non dimentica neppure le “altre” conseguenze della pandemia, quelle meno palpabili ma ugualmente dannose: “Gli effetti più inquietanti del virus sono le crisi interiori più sottili – spiega – le restrizioni sanitarie che sono state attuate in tutto il mondo sono effettivamente necessarie per assicurare un ambiente sicuro per tutti, tuttavia l’isolamento nelle case, così come indossare una mascherina, soffrire la perdita del lavoro sommata all’impossibilità di interagire fisicamente con la famiglia e gli amici hanno avuto e continuano ad avere un profondo impatto psicologico, emotivo e spirituale su ognuno di noi”.
Dalla prospettiva cristiana, l’antico principio aristotelico che vuole l’uomo come essere sociale, assume un significato ancora più profondo, secondo l’Osservatore permanente: “Dio desidera la comunione. L’Onnipotente ha creato noi esseri umani affinché potessimo entrare in una relazione profonda e significativa con il nostro Creatore e l’uno con l’altro. Solo attraverso questa mutua e aperta condivisione di noi stessi troveremo il vero appagamento e la vera pace”.
La pandemia da Covid-19, però, secondo la riflessione dell’arcivescovo, ha esacerbato le tensioni già esistenti e incrementato le minacce all’unità tra individui, popoli, culture e nazioni, aumentato le disuguaglianze. “Quando le risorse e le cure mediche sono limitate, è comprensibile che ogni persona e ogni nazione cerchi di assicurarsi e accumulare ciò che può per i propri cari – ha affermato – tuttavia, questo approccio miope ed egoista è in diretta contrapposizione con l’unità e la comunione che portano veramente appagamento al cuore umano. L’accumulo di vaccini, l’insistenza gelosa sui diritti di brevetto, la chiusura delle frontiere e il ripiegamento generale su se stessi sono reazioni comprensibili alla crisi universale che stiamo affrontando, ma queste risposte, lungi dall’aiutarci a sopravvivere alla tempesta della pandemia, ci infliggeranno una piaga molto più profonda del Coronavirus stesso: potrebbero separarci da ciò che ci rende veramente umani e cioè la nostra capacità e il nostro desiderio di vivere in comunione fraterna”.
La reazione della fede e la risposta della Santa Sede
La fede ci insegna a guardare oltre noi stessi e i nostri bisogni immediati, secondo monsignor Jurkovič: “Non è una coincidenza che la maggior parte delle principali tradizioni di fede pongano una forte enfasi sull’amore disinteressato, ponendo una responsabilità incombente su ognuno di noi di prendersi cura dei nostri fratelli e sorelle”.
Papa Francesco e la Santa Sede sono molto interessati ad assicurare che la pandemia del coronavirus non porti alla conseguenza ancora più tragica del deterioramento dell’autentica interazione umana. Perciò è stata istituita una Commissione ad hoc in seno al Dicastero per la Promozione dello Sviluppo umano integrale, con l’obiettivo di promuovere una cura autentica e olistica per tutte le persone colpite dall’attuale pandemia, ed è stato firmato – in realtà prima della pandemia – il documento sulla Fraternità Umana per la Pace e la Vita da Papa Francesco e dallo sceicco Ahmed el-Tayeb, Grande Imam di AlAzhar, il 4 febbraio 2019.
E poi c’è l’importanza della fraternità umana e il ruolo delle tradizioni religiose nella sua promozione, che sono al centro della più recente Lettera Enciclica del Papa, Fratelli tutti. In questo documento, il Papa sottolinea che “le diverse religioni, sulla base del loro rispetto per ogni persona umana come creatura chiamata ad essere figlia di Dio, contribuiscono significativamente a costruire la fraternità e difendere la giustizia nella società”.
Avviandosi alla conclusione, l’Osservatore permanente ha citato il discorso che Papa Francesco ha rivolto al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede all’inizio di quest’anno: “La pandemia, che ci ha costretti a sopportare lunghi mesi di isolamento e spesso solitudine, ha fatto emergere il bisogno di ogni individuo di relazioni umane – ha detto – forti delle nostre tradizioni e credenze religiose, possiamo tutti testimoniare il valore e l’importanza di coltivare la salute spirituale, radicata nella fraternità e nella speranza, come il modo più efficace per guarire il mondo che ci circonda”.