Chiesa Cattolica – Italiana

Dialogo in moschea: “Il Paradiso è sotto i piedi delle madri”

Il ruolo delle donne nella costruzione della pace e nel dialogo interreligioso, in un incontro nel Centro Islamico Culturale della Grande Moschea di Roma. Con testimonianze di attiviste congolesi sulle violenze in Rd Congo, e di una rifugiata afghana sul dramma delle donne sotto i talebani, e le voci di don Savina dell’Ufficio CEI per il Dialogo Interreligioso e del rabbino Piperno. L’Imam Akkad: i leader islamici intervengano, le violenze sulle donne in Afghanistan sono un abuso

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

Le voci di donne, di rappresentanti religiosi, di volontarie e volontari, della società civile e delle istituzioni, e il silenzio della preghiera per la pace al Dio delle tre fedi abramitiche. C’è stato tutto questo nell’incontro nella Grande Moschea di Roma, domenica pomeriggio, sul tema “Liputa: costruire un mosaico di pace e dialogo interreligioso. Il ruolo delle donne”. Ospitato dal Centro Islamico Culturale d’Italia della Grande Moschea e organizzato insieme ad Itria, Itinerari turistico religiosi interculturali accessibili e alle attiviste congolesi in Italia, l’evento si è aperto con una visita alla sala di preghiera della Grande Moschea. Sotto la guida dell’Imam Nader Akkad, che è anche co-presidente della Commissione internazionale mariana cristiano-islamica del Vaticano.

Preghiera silenziosa per la pace in Ucraina e nel mondo

Nell’auditorium del Centro Islamico Culturale, prima delle molte testimonianze, l’invocazione silenziosa a Dio di musulmani, cristiani ed ebrei presenti. Per la pace in Ucraina ma anche negli altri 56 Paesi del mondo dove oggi si combatte, la maggior parte dei quali a maggioranza musulmana, come ha ricordato il segretario generale del centro, Abdellah Redouane. Paesi dove la guerra arriva da ribelli finanziati da Stati confinanti, come nel Nord-est della Repubblica Democratica del Congo e Paesi dove la violenza è di Stato, come l’Afghanistan dei Talebani.

L’ Imam Akkad (a destra in piedi) e don Savina (alla sua destra) con alcuni partecipanti all’incontro al termine della visita nella Moschea

I drammi delle donne in Congo e Afghanistan

Accanto ad alcune attiviste che indossavano la coloratissima stoffa Liputa, tipica dell’Africa subsahariana, il biologo congolese migrante a Milano Pierre Kabeza di Goma ha ricordato che la guerra nella sua regione, il Nord Kivu, “è contro le donne e contro i bambini” e ha chiesto che il Consiglio di Sicurezza dell’Onu istituisca il Tribunale penale internazionale per i crimini in Congo. Richiesta che viene anche dal Premio Nobel per la pace 2018, il medico e pastore congolese Denis Mukwege, che ha inviato un videomessaggio dal suo ospedale Panzi di Bukawu, dove cura donne e bambine vittime degli stupri di guerra. Mukwege ha ricordato che nell’intimità familiare l’uomo, nella grande maggioranza dei casi, rispetta mogli, figlie, madri e sorelle, “ma nella sfera pubblica il loro diritto a volte viene calpestato”. Attraverso pratiche “contro le donne giustificate spesso da traduzioni errate di testi sacri” e nelle situazioni di guerra “le donne e i bambini sono le prime vittime di stupro e non solo”. Le religioni possono contribuire alla coesione sociale e alla pace, ha concluso, “ma la fede è stata spesso strumentalizzata per dividere i popoli”.

Don Savina (Cei): l’uomo e la donna sono la via di tutte le fedi

Dopo il pastore evangelico Mukwege è intervenuto don Giuliano Savina, direttore dell’Ufficio Nazionale per l’Ecumenismo e il Dialogo Interreligioso della Cei, che si è detto profondamente toccato dalle testimonianze delle donne del Congo. E questo, ha ricordato, è successo anche a Gesù, come raccontano gli evangelisti Marco e Matteo, quando “viene toccato da un’esperienza femminile”, l’incontro con una donna che urla per la salvezza della sua figlia, e che al suo rifiuto di un intervento, perché è venuto “per le pecore perdute della casa d’Israele”, risponde che “anche i cagnolini si cibano delle briciole che scendono dalla tavola del padrone”. E la forza di questa donna, insieme al suo grido che chiede giustizia, “convertono” Gesù. E in conclusione, don Savina ha ricordato le parole di Papa Francesco dopo il congresso interreligioso di Kazakhstan, a settembre 2022, che riprendevano quelle di 20 anni prima di san Giovanni Paolo II: “L’uomo è la via della Chiesa, ma è anche la via di tutte le religioni”. Concetti chiariti poi al nostro microfono:

Ascolta l’Intervista a don Giuliano Savina (Uff. Dialogo Cei)

https://media.vaticannews.va/media/audio/s1/2023/03/20/17/136985740_F136985740.mp3

Possiamo dire allora, anche sulla scia delle parole del Papa in Kazakhstan, che l’auspicio è che i diritti dell’uomo e della donna siano davvero la via per tutte le religioni?

Ma certo, perché questa espressione riprende quella del Documento sulla Fratellanza Umana di Abu Dhabi. La pluralità delle varie espressioni religiose è un gioco di Dio e quindi dobbiamo capirlo ed entrare dentro questo mistero, perché solo così capiamo chi siamo e capiamo, il perché anche delle diverse religioni, il perché delle diverse ricerche verso Dio. Questa è una ricchezza straordinaria!

L’ imam Akkad (a destra) insieme a don Savina (secondo da sinistra), nell’auditorium del Centro Culturale Islamico

Concretamente, tutte le religioni dovrebbero comunque battersi per i diritti dell’uomo e della donna, e per la difesa dei diritti umani?

Perché “non esistono” le religioni, ma esistono gli uomini e le donne che credono. Religione viene da “religere” ma anche da “rileggere”. Quindi la possibilità di una dimensione aperta, non chiusa. Non solo di comprendere, ma di apprendere. Quindi l’uomo religioso per sua natura non può che essere aperto all’altro, perché nell’altro da sé conosce la propria identità.

Tornando al suo intervento, noi, come cattolici, dovremmo farci sempre interrogare dal grido che ci viene dalle donne sofferenti, dalle donne violate, dalle donne colpite, come ha fatto Gesù con la donna che invoca il suo aiuto per guarire la figlia indemoniata…

Sono felice di avere richiamato qui, nel Centro Islamico culturale della Moschea di Roma, il brano evangelico dell’incontro tra Gesù e la siro-fenicia, perché è un incontro veramente eccezionale, sul quale oggi noi siamo chiamati a lasciarci interrogare. Perché se lo stesso Gesù dall’incontro con quella donna ha cambiato atteggiamento, si è lasciato toccare, chi siamo noi per non lasciarci toccare.

Il rabbino Piperno: ogni violenza sulla donna è contraria allo spirito di Dio

Per l’ebraismo è intervenuto, con un video registrato, il rabbino emerito di Napoli Umberto Piperno, che ha sottolineato come “la dimensione della benevolenza, dell’intelligenza deduttiva rappresenta la parte femminile dell’universo”. Nel capitolo 31 dei Proverbi, che viene recitato nelle case ebraiche ogni venerdì sera, il marito loda la donna dicendo: “Chi può trovare una donna valorosa? Vale più delle perle”. E’ una donna imprenditrice, che vende al mercato ciò che produce, ma soprattutto tende la mano al povero e apre la bocca con saggezza. Nei mesi della gestazione, infine, “la donna è paragonata ad un’arca santa, e Il bambino o la bambina in questi mesi di gestazione hanno un contatto diretto con la sacralità. E appartiene al popolo ebraico chi nasce da madre ebrea e non da padre”. C’è però un percorso doloroso per l’umanità, ha concluso il rabbino Piperno, “nel quale la donna viene sopraffatta, subisce violenze, nel suo lavoro non viene valorizzata. Questo è contrario allo spirito del favore divino, ma sta agli uomini e alle donne creare le condizioni per evitare ogni violenza e sopraffazione”. Solamente se saremo capaci di aprire i nostri cuori alla dimensione del favore e della benevolenza, “capiremo ancora di più la dimensione della femminilità e sapremo costruire un mondo con maggiore amore, intelligenza e conoscenza dei misteri divini”.

Un altro momento della visita nella sala di preghiera della Grande Moschea di Roma

L’Imam Akkad: quello dei talebani è un abuso, non è Islam

Infine l’Imam della Grande Moschea di Roma, Nader Akkad ha ricordato le nostre madri e sorelle che soffrono in tutto il mondo” e le sue origini siriane, di Aleppo, da dove ha visto tanti fratelli partire per cercare la speranza con i barconi, dove tanti sono morti. E a Vatican News ha ricordato quanto detto ai suoi ospiti nella sala di preghiera della Moschea:

Ascolta l’intervista all’Imam Nader Akkad (Grande Moschea di Roma)

https://media.vaticannews.va/media/audio/s1/2023/03/20/17/136985739_F136985739.mp3

Ci può ricordare i versetti del Corano e i motti della tradizione islamica che esprimono l’esaltazione del ruolo femminile?

Sono tantissimi, perché ricordiamo che la donna nell’Islam rappresenta anche un luogo di misericordia. Dio quando ha scelto un nome da unire a quello del creatore, Allah, ha scelto il Misericordioso, in arabo Al-Rahma, deriva da Rahim, che è l’utero della donna. Questo ci fa capire che la donna, con la sua custodia della vita, la protezione e la tenerezza che dà al bambino che deve nascere, è come la misericordia di Dio. Non sa questo figlio se sarà un figlio di pace o un figlio di guerra, perché è come la casa di Dio, la sua misericordia copre tutti. Copre coloro che sono buoni e coloro che sono cattivi. Quindi la misericordia è universale e anche il ruolo della donna nell’Islam è un ruolo di universalità, di umanizzazione incredibilmente improntata alla misericordia.

Ha colpito molto il detto che ha ricordato in Moschea: sotto i piedi delle madri c’è la porta del Paradiso…

È un detto profetico molto profondo: che il Paradiso è sotto i piedi delle madri. Quindi la donna, nel suo status di donatrice di vita, tiene il Paradiso stesso sotto i suoi piedi. Vuol dire che l’uomo non può sperare di entrare nel Paradiso senza passare dalla misericordia, dai piedi della donna. E un altro detto del profeta dell’Islam che ho ricordato è quello di onorare Dio e onorare i genitori, ma onorare fra i genitori la madre tre volte di più e prima rispetto al padre. Si racconta che Adamo nel Paradiso quando era da solo era disperato, e quando ha avuto Eva ha trovato cosa vuol dire la vita e cosa vuol dire la felicità. Noi senza donne non siamo felici e il mondo non sarà felice.

L’iman Nader Akkad descrive la sala di preghiera della Moschea di Roma ai suoi ospiti

Proprio partendo da questi principi coranici, possiamo dire che gli Stati islamici in cui la donna invece è schiacciata, le impediscono di lavorare, di studiare, come succede in Afghanistan, non rispettano l’Islam, seguono una sua interpretazione sbagliata?

Non è una interpretazione, è un abuso. Sappiamo che qualche volta certe tradizioni locali, che le persone chiamano cultura (ma questa è discultura), prendono più visibilità rispetto alla religione stessa. Quindi si abusa della religione, in nome delle tradizioni e tanti pensano che esse siano un’interpretazione della religione. Ma non è così: tante volte alcune tradizioni sono pagane, in contrasto con gli insegnamenti della religione. Quindi attenzione, che qualche volta si abusa della religione per affermare concetti che non appartengono alla religione, ma alle tradizioni  e qualche volta anche barbariche.

Paesi di grande cultura islamica come l’Egitto, è stato detto, potrebbero cercare di portare alla ragione i talebani dell’Afganistan…

Io penso che il mondo musulmano deve intervenire su questo fatto. C’è un ruolo importante degli Imam, dei Muftì, che devono intervenire, far sentire la loro voce e soprattutto i centri di ricerca e di insegnamento dell’Islam i centri di insegnamenti e le case delle fatwa. Devono dialogare e ricordare che la religione deve essere frutto di una scelta libera, lo dice il Sacro Corano. Anche il velo deve essere una scelta libera. Quindi attenzione qualche volta all’abuso della religione in nome di certe tradizioni.

Quant’è stato importante un incontro come questo, anche per diffondere una cultura di pace, di dialogo e rispetto nei confronti della donna?

Penso che sia cruciale, perché oggi abbiamo sentito diverse voci meravigliose di donne, veramente di grande ispirazione. Dare spazio alle donne vuol dire dar spazio al mondo, all’umanità e alla misericordia. Il Centro islamico culturale d’Italia della Grande Moschea di Roma ha un ruolo molto importante, perchè è l’unica associazione di culto islamico riconosciuta dallo Stato italiano. Accogliere un evento come questo, dare voce alle donne, rientra fra gli scopi dell’attività del centro.

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