De Palo: la natalità riguarda tutti, la famiglia è un investimento

Vatican News

Marco Guerra – Città del Vaticano

Secondo e ultimo giorno per gli Stati generali della natalità, in programma all’Auditorium della Conciliazione a Roma. Dopo il messaggio di ieri di Papa Francesco e del presidente della Repubblica Mattarella, oggi è chiamata in causa la politica, il mondo del lavoro e quello della comunicazione. “L’intento – afferma Gigi De Palo, presidente della Fondazione per la natalità e del Forum nazionale delle associazioni familiari – è di cambiare il modo di narrare la famiglia: da problema a soluzione”.

Presidente De Palo, secondo appuntamento degli Stati Generali della natalità, quali passi sono stati fatti? Si può già fare un primo bilancio?

Il primo bilancio è che finalmente si parla della natalità, non semplicemente commentando i dati Istat, ma cercando di fare qualcosa, però questo non basta. Si può fare di più. Il titolo di questa seconda edizione: “Si può fare” è stato scelto proprio perché non basta commentare i dati Istat ma serve innanzitutto un impegno maggiore sul PNRR (Piano nazionale di Ripresa e Resilienza). Il convitato di pietra del PNRR è proprio la natalità, si parla di innovazione ma non c’è altra innovazione che avere un figlio. Che sostenibilità ci può essere se la piramide tra morti e nati è sempre in difetto per quanto riguarda il numero dei morti e se perdiamo ogni anno una città come Firenze? Il primo risultato è che se ne parla, il secondo risultato adesso è di cercare politicamente di creare una grande rete, tant’è che abbiamo coinvolto tutte le forze politiche per un Patto per la natalità, che metta al centro questo tema nell’agenda del Paese. Voglio ricordare che se crolla la natalità crolla il welfare, crollano le pensioni, crolla il PIL, crolla il sistema sanitario, crollano le scuole.

L’assegno unico familiare è stato chiesto da voi a gran voce, è un primo risultato. Avete altre proposte? Quali altri passi chiedete alla politica?

Abbiamo chiesto da sempre il quoziente familiare alla francese, l’assegno unico è la mediazione possibile in questo momento storico in Italia. Qual è la cosa positiva dell’assegno unico? Che è una struttura, le fondamenta sulle quali si può costruire altro. Quindi il cambio epocale è il passaggio dal bonus ad una riforma strutturale, però anche questo non basta. Bisogna migliorare l’assegno unico, bisogna fare un family act che tenga conto di tanti altri aspetti e soprattutto fare un piano serio per la natalità perché è impensabile che nel PNRR sia solo accennata.

La pandemia e ora la guerra: sono stati due anni durissimi per le famiglie, c’è voglia di ripartire? C’è voglia di figli, secondo le percezioni che lei ha con la vostra rete in tutta Italia?

Ora bisogna capire cosa accadrà con questa guerra che ha messo a dura prova la speranza che stava ripartendo dopo la pandemia. I dati del professor Blangiardo mostrano che alla fine del 2021 c’è stata una ripresa. Quello che posso dire è che in Paesi come la Germania c’è stata effettivamente una ripresa perché hanno fatto delle politiche molto forti, molto chiare, hanno investito sulla natalità, hanno investito sui figli, hanno investito sulle famiglie e c’è una ripresa notevole della natalità. In Italia questa ripresa forte non c’è. Se applicassimo le politiche francesi e le politiche tedesche avremmo dei risultati maggiori perché qui c’è un desiderio di famiglia molto grande. Allora io credo che sia giunto il momento di lavorare tutti insieme perché si può fare.  

Quindi la Germania e altri sistemi di welfare dimostrano che si può invertire la rotta?

Questo è quello che dicono i numeri. E’ chiaro che lì c’è stato un investimento diverso, lì c’è stato un assegno unico che non tiene conto dell’Isee, che è un grande problema in Italia perché non è una fotografia reale. Lì ci sono tutta una serie di tutele maggiori nei confronti delle famiglie e c’è una visione diversa dove il figlio non viene visto come un problema, la famiglia non viene vista come la situazione da aiutare, ma tutte le risorse che vengono messe per le famiglie non sono un costo ma un investimento.

In questa due giorni voi avete invitato esperti a 360 gradi, anche i Seo di grandi aziende. Perché avete voluto portare questa pluralità di voci e soprattutto anche quelle del privato?

Perché la questione non può restare confinata nell’associazionismo, nell’associazionismo cattolico, il tema potrebbe rimanere nelle parrocchie, rimanere nelle nostre associazioni, così non si fa un salto di qualità in questa sfida che va vinta insieme. Servono le grandi aziende, servono le banche, servono le imprese, servono i sindacati, serve il mondo dello spettacolo, serve il mondo dei media, serve il mondo dello sport, tanti tavoli avranno rappresentanti di tutti questi mondi. Non possiamo pensare di raccontarcela tra di noi, non possiamo pensare che la natalità riguardi solamente le famiglie e in particolare le famiglie cattoliche. Riguarda tutti, è anche una questione economica, sicuramente ha a che fare con la speranza e per questo siamo qui a raccontare, a provare a ragionare su una nuova narrazione, ma ha anche a che fare con le questioni economiche perché altrimenti crolla tutto e quindi, diciamo, è la nuova emergenza del Paese, la nuova emergenza sociale, dobbiamo prenderne atto.

Cercate quindi una narrazione che si basi su fondamenta economiche forti, per questo le aziende, ma anche il mondo dell’arte, il mondo della comunicazione, cercate una narrazione diversa sulla famiglia e la natalità?

Fondamentalmente cerchiamo alleati. Cerchiamo persone che si rendano conto che è bello raccontare la loro scelta familiare, che è bello comunicare ai ragazzi che vale la pena fare un figlio, nonostante i tanti sacrifici. Cerchiamo persone che riescano, anche dal punto di vista culturale, mediatico, sportivo, a fare una narrazione sul fatto che la famiglia non è il peso da sopportare per tutta la vita. Noi abbiamo raccontato la famiglia molto male in tutti questi anni, adesso è giunto il momento di provare a rompere gli schemi, non possiamo parlarne solamente con un atteggiamento difensivo perché evidentemente ha fallito, dobbiamo provare a passare all’attacco. Il Papa dice primerear, ecco questo è l’approccio, provare a giocare la partita.