La piccola sorella di Gesù, che da 56 anni vive in una roulotte con i giostrai del Luna Park di Ostia Lido, come quasi ogni mercoledì era oggi all’udienza generale in Piazza San Pietro per salutare il Pontefice e fargli incontrare un gruppo di persone con cui svolge la sua pastorale: “Finalmente hanno trovato una Chiesa che è andata incontro a loro”
Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano
“Eccola qua, la enfant terrible…”. Papa Francesco sta finendo il giro del sagrato della Basilica di San Pietro dopo l’udienza generale del mercoledì; tra i saluti a bimbi malati, gruppi di sacerdoti e giovani sposi, incrocia con lo sguardo il guizzo azzurro degli occhi di suor Geneviève Jeanningros, piccola sorella di Gesù, quasi un’icona del “Vangelo vissuto terra terra”, cioè di una pastorale svolta da 56 anni in mezzo alle comunità Lgbtq+ e ai giostrai del Luna Park di Ostia Lido, con i quali condivide la vita abitando in una roulotte insieme alla consorella Anna Amelia. Giacchetto a coprire dal sole cocente le spalle minute e il velo blu, retto da due forcine, ad incorniciare un volto dai tratti quasi botticelliani nonostante le rughe degli 81 anni, la suora è seduta in prima fila. È l’ultima dopo un “gruppo mischiato”: persone omosessuali, transessuali, una coppia di catechisti, una ragazza impegnata nella pastorale carceraria tra i transgender di Rebibbia. Lei in realtà non li conosce personalmente, né domanda chi sono o quale sia il loro orientamento sessuale: “No, non chiedo”. A suor Geneviève quello che importa è “andare dove la Chiesa fa più fatica ad andare”, come desiderio di Charles de Foucauld da cui le Piccole Sorelle hanno ereditato il carisma.
Tanti tipi di umanità
Francesco si ferma per qualche minuto a salutare, consegna un rosario ad Ada, che oggi festeggia il compleanno: “Questo è un regalo dal Papa”, poi stringe le mani, fa una battuta, dà una benedizione. Con suor Geneviève poche parole e un sorriso veloce; è lo scambio con un’amica che si vede spesso. D’altronde la religiosa di origine francese ogni mercoledì è all’appuntamento in Piazza San Pietro per salutare il Pontefice e fargli incontrare gruppi di gente.
Tanti quelli passati in questi ultimi anni: nomadi, zingari, circensi, transgender, omosessuali, coppie di vario tipo. “In questi mondi noi vediamo passare gente di tutti i tipi e il tuo cuore si apre, siamo tutte persone umane, non puoi avere un giudizio stretto”, racconta suor Geneviève, ricordando pure l’incontro con i familiari (mamma, papà, sorelle, compagno) di un medico statunitense gay, morto di Covid per il suo impegno ‘in trincea’ durante la pandemia a cui però sono stati rifiutati i funerali in Chiesa perché omosessuale. “Il papà ha detto: ‘Io a questa Chiesa non credo più’. Tramite una sorella degli Usa li abbiamo fatti venire a Roma e hanno salutato il Papa che li ha benedetti… E loro sono ripartiti, in tutti i sensi”.
I contatti durante il Covid
La suora al Papa lo ha conosciuto già tempo fa; gli aveva scritto sin dopo l’elezione ricordando la storia di una zia missionaria in Argentina desaparecida durante la “Guerra sporca”. Il rapporto epistolare non si è mai interrotto e Francesco in un’udienza ad artisti di strada le aveva fatto anche intonare gli auguri di buon compleanno. “Sì, ci vogliamo bene…”, sorride.
In mezzo alla pandemia di coronavirus, mentre la gente viveva “il dramma” del ritrovarsi senza lavoro, senza nulla da mangiare e con un bel carico di bollette, insieme al parroco della Beata Vergine Immacolata di Tor Vaianica, don Andrea Conocchia, ha pensato di bussare alla porta di quella “Chiesa ospedale da campo” da sempre predicata da Jorge Mario Bergoglio. Il primo contatto è stato “don Corrado”, il cardinale elemosiniere Konrad Krajewski: “Abbiamo chiesto aiuto e lui è venuto con un furgoncino pieno di roba. Se avete bisogno anche per bollette portatecele, ci ha detto. Io l’ho fatto per gli amici del Luna Park, don Andrea per la comunità di trans: circa 40/50, molte sudamericane, più di una argentina”.
Dopo questa prima emergenza, i medici “quelli del colonnato” sono andati a Tor Vaianica e Ostia e hanno curato queste persone che stavano male. “Li hanno portati pure a fare il vaccino”. “Le donne – racconta suor Geneviève – allora hanno detto: vogliamo ringraziare Papa Francesco! Noi ci siamo detti: ma come saranno accolti? Dal Papa non avevo dubbi, ma in generale… Sa, ci sono un po’ di pregiudizi. Io li capisco, eh. Pure io da giovane li avevo ma poi incontri la gente, vedi la loro sensibilità. Piangi e ridi con loro”.
I primi incontri
Insomma suor Geneviève, districandosi tra messaggi WhatsApp ed e-mail (“Sì, le so usare ma a volte mi dimentico le cose… Ho 81 anni”), è riuscita a scrivere direttamente al Papa. Nessuna risposta ma direttamente dei “buoni biglietti” per l’udienza. Un mercoledì ha accompagnato Claudia, che è stata una delle prime, poi Marcella, e tante altre: “Anche una ammazzata poco dopo. Il Papa l’aveva incontrata, si erano fatti una foto, gliel’ho portata e lui ha pregato per lei”.
Un rapporto sincero
“Il Papa ci ha accolto… Non so neanche come descriverlo!”, ricorda la religiosa. Da lì è stato tutto un flusso di biglietti, lettere, pure delle empanadas preparate dalle argentine e molto apprezzate da Francesco. “Gli vogliono tanto bene perché è la prima volta che trans e gay sono stati accolti da un Papa. Lo hanno ringraziato perché finalmente hanno trovato una Chiesa che è andata incontro a loro”. Il rapporto che ormai si è stabilito è sincero, senza alcun opportunismo ma fatto di benevolenza e gratitudine. Ed è un rapporto che non è stato scalfito nemmeno dalle recenti polemiche sulle espressioni che il Papa avrebbe pronunciato in un incontro a porte chiuse: “Forse all’inizio c’è stata un po’ di sofferenza, ma ripensando si sono fatte una risata e hanno detto: nella realtà non è così. Il Papa ama i piccoli, non li butta certo via”.
Il prossimo mercoledì Geneviève Jeanningros sarà di nuovo all’udienza generale: “Accompagno dieci persone, sette omosessuali. Vengono da Milano e altre parti per ribadire al Papa il loro affetto”.