Adriana Masotti – Città del Vaticano
Alla vigilia, ieri, del giorno in cui la Chiesa festeggia la Natività della Vergine Maria, Papa Francesco all’udienza generale ha dedicato un pensiero alle mamme e in special modo a quelle con figli sofferenti. Ad ascoltarlo in Piazza era presente un gruppo di mamme, e di papà, che conoscono bene che cosa significa prendersi cura di bambini malati e in questo caso, affetti da atresia-esofagea, una patologia congenita che impedisce al bimbo appena nato di nutrirsi normalmente a causa di un’anomalia all’esofago. Papa Francesco ha salutato le famiglie e, a fine udienza, si è intrattenuto con ciascun bambino benedicendolo e donandogli la coroncina del Rosario.
Con mio figlio un percorso non facile, ma oggi lui è qui
Tra le famiglie presenti in piazza anche quella di Elisabetta Moretti arrivata da Recanati. Suo figlio, Francesco, ha sei anni ed è affetto da atresia-esofagea. E’ stata lei a chiedere a monsignor Nazzareno Marconi, vescovo di Macerata, di sostenere il suo desiderio di partecipare ad un’udienza generale, dopo aver già potuto, qualche anno fa, salutare il Papa in un contesto analogo. Questa volta, però, voleva portare con sè altri genitori che vivono il suo stesso percorso con i propri figli e che oggi formano un gruppo di oltre cinquanta famiglie legate da una chat con cui mantengono sempre vivo il dialogo. Al microfono di Vatican News, ci descrive l’emozione per le parole del Papa e la sua particolare esperienza di madre:
Signora Elisabetta, mercoledì lei era in Piazza San Pietro all’udienza generale insieme ad altre famiglie. E il Papa alla fine ha rivolto un saluto a tutti voi. Come avete vissuto questo momento?
E’ stata un’emozione incredibile, indescrivibile, abbiamo pianto tutti perché tutti portiamo tante tante sofferenze, tante ospedalizzazioni dei nostri bambini che, come diciamo sempre, sono nati più volte, cioè ogni volta che sono usciti dalla terapia intensiva, ogni volta che hanno fatto un’operazione e sono bambini che hanno dimostrato di essere veramente dei guerrieri. Cinque, sei anni fa ci siamo conosciute tutte queste famiglie, ma non siamo un’associazione, ci siamo conosciute sui social e avevamo in comune queste esperienze di ospedalizzazioni, di operazioni e il lungo calvario di questa patologia. E quindi abbiamo deciso tutti insieme di venire dal Papa e di fargli benedire, di fargli toccare i nostri figli, perché ci tenevamo tantissimo, dopo tutto quello che hanno affrontato.
I bambini quindi erano con voi in piazza?
Sì erano con noi vicino al Papa. Un bambino con un genitore e poi sono stati presentati al Santo Padre e sono stati benedetti.
Ad accompagnarvi c’era monsignor Marconi, il vescovo di Macerata che il Papa ha nominato…
Per noi il vescovo di Macerata è stato veramente un punto di riferimento. Gli siamo tanto grati: lui ha capito veramente quanto dolore e quanta sofferenza c’era dietro le nostre storie e ci ha aiutato in tutti modi per farci arrivare fin qui.
Il vostro gruppo è in crescita: che segnale è?
Sì, stiamo vedendo che ogni mese una nuova famiglia viene inserita nel gruppo. Fino a 10-15 anni fa i bambini non nascevano, e comunque c’erano pochissime speranze di vita, quindi negli ultimi anni molti ospedali si sono attrezzati a fare le operazioni di cui hanno bisogno e che sono operazioni delicatissime, hanno affinato la tecnica, hanno fatto molti progressi e noi volevamo portare un messaggio di speranza a tante famiglie che devono affrontare queste cose.
Lei ha detto che prima “non nascevano bambini”, nel senso che nascevano e morivano subito dopo?
Sì, volevo dire che in passato non c’erano tutte queste possibilità di oggi, cioè tutti questi medici formati, gli ospedali in grado di affrontare queste operazioni e il dopo perchè, comunque, i bambini devono fare altre cose e devono essere sempre tenuti sotto controllo.
Anche lei ha un bambino affetto da atresia-esofagea, se la sente di raccontarci qual è stata e qual è ancora la sua esperienza con suo figlio?
Io sono stata profondamente toccata da questa esperienza che ha cambiato la vita di tutti noi genitori, perchè queste esperienze comunque ti cambiano dentro. Quando ero a 4 mesi di gravidanza, si è scoperto che il bimbo era affetto da idrocefalia, i medici avevano detto che sarebbe morto appena nato o prima di nascere o sarebbe stato, nel caso migliore, un vegetale. Noi abbiamo deciso di andare avanti, di non scegliere l’aborto terapeutico che tutti ci avevano consigliato e quando Francesco è nato abbiamo scoperto l’atresia-esofagea. E’ stato operato all’esofago il secondo giorno di vita, dando precedenza a questo problema e rimandando l’operazione alla testa. Ed è andata bene, ma non a tutte le mamme va così bene. Dopo circa due mesi il bimbo ha subito l’intervento per l’idrocefalia, quindi abbiamo fatto il percorso di riabilitazione. Ci avevano detto che forse non avrebbe camminato, che forse non avrebbe parlavo, non avrebbe fatto tante cose che fanno tutti i bambini, invece oggi, grazie a Dio, Francesco praticamente fa tutto. Io quand’ero in gravidanza avevo scritto al Papa chiedendo un miracolo, perché ci voleva proprio un miracolo per salvare mio figlio. Non a caso si chiama Francesco! E Francesco oggi è qui con noi. Ecco, abbiamo passato un percorso doloroso, difficilissimo, non ci è stato risparmiato niente, i primi anni sono stati veramente devastanti però oggi Francesco è qui con noi e fa tutto: mangia, cammina, parla ecc…
In quale modo vi aiutate tra voi famiglie?
Ecco, l’aiuto… noi abbiamo visto che basta un saluto, un consiglio. Noi ci scriviamo: devo parlare con questo dottore, come posso fare? Mi è successo questo, come devo muovermi? Basta anche così, però è una presenza costante fondamentale. Sei anni fa io non ce l’avevo questo aiuto e mi è mancato moltissimo, oggi godo di questo sostegno perché avere altre famiglie che ti sanno dire tutto, su quali sono i tuoi diritti, su quello che ti spetta, su cosa fare quando succede qualcosa è molto importante. Tutti i nostri figli, ad esempio, hanno avuto episodi di soffocamento, tutti noi abbiamo vissuto momenti di panico e avere un’altra famiglia che ti dice come ha fatto è tutta un’altra cosa. Quindi è bello, perché poi ci sentiamo, sul nostro gruppo whatsapp ci messaggiamo sempre, e chi può capirti meglio di chi ha passato quello che tu stai vivendo?