Chiesa Cattolica – Italiana

Dal campo profughi al Comitato olimpico internazionale

Su L’Osservatore Romano Yiech Pur Biel, giovane atleta del Sud Sudan, racconta la sua incredibile parabola: fuggito nel 2005 dal conflitto nel suo Paese, arriva a correre gli 800 m ai Giochi di Rio 2016 e da due anni è il primo rifugiato a far parte parte della massima istituzione sportiva mondiale

di Yiech Pur Biel

Sono nato nel 1995 a Nasir, in Sud Sudan. Ho fatto parte del primo Team olimpico dei rifugiati, ai Giochi di Rio de Janeiro 2016, correndo gli 800 metri. Dal febbraio 2022 sono membro del Comitato olimpico internazionale: sono il primo rifugiato a far parte del massima istituzione sportiva mondiale. Sono inoltre membro del consiglio di amministrazione della Olympic Refugee Foundation e «ambasciatore di buona volontà» dell’Alto Commissariato delle Nazioni Uniti per i rifugiati. In questa veste sono intervenuto anche nell’Assemblea generale delle Nazioni Unite a sostegno dei diritti all’istruzione, al cibo e all’alloggio per i rifugiati. Ho una laurea in scienze sociali ottenuta negli Stati Uniti d’America, allo Iowa Central Community College, e un laurea in relazioni internazionali alla Drake University.

Tutto questo è semplicemente incredibile se penso che la mia avventura sportiva è iniziata in un campo profughi.

Nel 2005 sono stato costretto a fuggire dalla guerra in corso in Sud Sudan. Un gruppo di persone armate ha attaccato il mio villaggio. La mia casa è stata distrutta e sono sopravvissuto nascosto nella boscaglia, mangiando quello che ho trovato. Pensavo proprio di morire. Sono rimasto solo, scappando ho perso il contatto con la mia famiglia. Ho impiegato dieci anni per ritrovarla.

Avevo solo dieci anni quando sono arrivato nel campo profughi di Kakuma, nel nord del Kenya. Lo sport mi ha aiutato a sopravvivere. Nel 2015 le mie capacità atletiche sono state riconosciute in occasione di una visita di Tegla Loroupe, con il suo Team olimpico per i rifugiati, nel campo profughi: ho corso scalzo 10 chilometri e sono arrivato con i piedi sanguinanti. Mi sono allenato per i Giochi di Rio de Janeiro. Non sapevo neppure cosa fossero le Olimpiadi. Oggi la mia convinzione è che con l’istruzione, e  con la sport, i rifugiati possono avere una speranza, una possibilità.

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