Czerny: tra i profughi ucraini con lo stile disarmato della preghiera

Vatican News

MICHAEL CZERNY

Il mio è un viaggio di preghiera, di profezia e di denuncia. Parto da Roma l’8 marzo per raggiungere Budapest e proseguirò incontrando rifugiati e profughi, e coloro che li accolgono e li assistono. Intanto il card. Konrad Krajewski, elemosiniere pontificio, ha già raggiunto la Polonia e farà lo stesso nelle regioni al confine con l’Ucraina. La speranza è che possiamo attraversare il confine nei giorni successivi ed entrare in Ucraina, ma questo dipenderà dall’evoluzione della situazione. La Santa Sede – lo ha detto con grande forza papa Francesco nell’Angelus di domenica 6 marzo – «è disposta a fare di tutto, a mettersi al servizio per questa pace». Di questa disponibilità la mia missione in Ucraina è un segno e il mio compito è portare a coloro che soffrono la presenza e la vicinanza non solo del Papa, ma di tutto il popolo cristiano.

Vado per vedere direttamente qual è la situazione, e spero di poter portare anche qualche aiuto materiale, ma vado soprattutto per incontrare le persone, per stare con loro: è questa la profezia di una presenza e di una vicinanza che può apparire debole, addirittura insignificante secondo la logica del mondo e della forza delle armi. Ma non è così: stare vicino al suo popolo, ai suoi figli che soffrono è il modo che Dio ha scelto per entrare nella storia del mondo. Anche a costo di finire in croce. È un simbolo di questo stile di Dio il grande crocefisso di legno che nei giorni scorsi – abbiamo tutti visto con emozione le immagini – è stato spostato dalla Cattedrale armena di Leopoli e portato in un bunker nella speranza di sottrarlo alla furia e alla follia della guerra. Proprio come nei bunker, nelle cantine e in rifugi magari improvvisati si trovano tante persone che a quel Signore crocefisso rivolgono la loro preghiera.

Per questo sono sicuro che il mio sarà un viaggio di preghiera: quella del Papa, la mia e dei miei due compagni, uno del Dicastero per la Comunicazione e l’altro del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale, quella di tutti coloro che in questo modo ci accompagneranno, ma soprattutto la preghiera delle persone che incontreremo, una preghiera che – come insegna il libro del Siracide – «attraversa le nubi», perché Dio «ascolta la preghiera dell’oppresso. Non trascura la supplica dell’orfano, né la vedova, quando si sfoga nel lamento». Queste persone condividono il dono della loro vicinanza a Dio con chi le incontra, con chi nei loro confronti è disponibile a vivere il sacramento della presenza, portando la parola del Vangelo e un sostegno concreto. Il gesto di carità di chi accoglie diventa l’occasione per corroborare la fede che ci unisce e alimentare la comune speranza che un mondo senza guerra è possibile, che la violenza e la morte non hanno l’ultima parola: è il mistero della Pasqua a cui ci stiamo preparando in questa quaresima.

Per questo incontrerò e porterò la vicinanza del Papa e della Chiesa anche alle persone impegnate, in tanti modi diversi, nelle azioni di accoglienza: un esercito silenzioso e disarmato, impegnato a ricostruire quell’umanità che le armi provano a distruggere. Le loro mani sono le mani di tutto il popolo cristiano, anzi le mani stesse di Dio. 

La fede non è assente dalla tragedia che sta vivendo l’Ucraina, perché è nel cuore delle persone che fuggono dalla guerra: in gran parte sono credenti, così come molti che li accolgono, ed è importante che tutti coloro che la desiderano possano ricevere assistenza religiosa, nel rispetto delle differenze tra le varie confessioni e religioni. Nel mio viaggio mi impegnerò anche per questo. 

Infine il mio sarà anche un viaggio di denuncia. Quella dei profughi ucraini è una storia già nota, che si svolge secondo il drammatico copione dei troppi conflitti che insanguinano il nostro mondo, spesso dimenticati. Con la stessa rapidità con cui in pochi giorni milioni di persone hanno dovuto abbandonare le proprie case, già giungono notizie che si è messa in moto la macchina della tratta e del traffico di esseri umani, del contrabbando di migranti alle frontiere e nei Paesi di prima accoglienza: al dramma della guerra e dello sfollamento si aggiunge quello della schiavitù. Nella missione che la nostra piccola delegazione porterà avanti faremo grande attenzione a questa problematica, così come a un altro punto ugualmente dolente: l’emarginazione e talvolta il rifiuto che patiscono africani e asiatici che risiedevano in Ucraina e ora sono in fuga insieme al resto della popolazione. Una questione difficile da affrontare in un momento così teso, eppure estremamente urgente. Siamo tutti figli di un unico Padre e la fratellanza non può conoscere confini: è questo il senso dell’abbraccio del Papa e della Chiesa che porto a tutti coloro che incontrerò.