Antonella Palermo – Città del Vaticano
Nella seconda domenica di luglio, in cui le comunità cristiane celebrano la Domenica del Mare, il prefetto del Dicastero per lo Sviluppo Umano intergrale, il cardinale Michael Czerny, ricorda in un Messaggio rivolto a cappellani, volontari e sostenitori di Stella Maris, il lavoro essenziale di oltre un milione di marittimi che, tutti i giorni dell’anno, lavorano sulle navi che trasportano merci nel mondo intero. E lancia un appello perché le loro condizioni siano migliorate e che si evitino forme di discriminazione.
I marittimi, questi invisibili
Czerny considera “invisibili” questi lavoratori perché, sebbene “muovano l’economia mondiale”, incidendo direttamente sulla vita quotidiana di ciascuno di noi, affrontano sfide rispetto alle quali non hanno un adeguato riposo e trattamento. “Con la guerra in Ucraina le navi ora devono affrontare l’arduo compito di navigare attraverso le mine nel Mar Nero e nel Mar d’Azov. Molte navi sono affondate e molte vite umane sono andate perdute durante questa guerra ingiusta e immorale”, scrive il porporato. Poi fa riferimento alla pandemia che ha causato il blocco a bordo di oltre 400.000 marittimi, impossibilitati a lasciare la nave alla fine del contratto. “Hanno continuato a lavorare giorno dopo giorno aggiungendo fatica su fatica”, sottolinea. E insiste sul fatto che gli equipaggi che dovevano sostituirli non hanno potuto raggiungere le navi, cosa che per alcuni ha significato un disastro economico perché non sono stati in grado di prendersi cura dei bisogni quotidiani dei loro cari. “In ogni caso, i marittimi non hanno scelta”, scandisce.
Guadagni esorbitanti per le compagnie, sfruttamento degli operai
Il cardinale affonda poi su uno squilibrio che riguarda il fatto che alcune compagnie di navigazione sono state le uniche ad aver tratto un profitto economico dalle crisi che hanno sconvolto la catena di approvvigionamento globale. “È deplorevole – denuncia – per non dire altro, che le aziende abbiano condiviso con i marittimi solo una minuscola parte degli esorbitanti guadagni di cui hanno goduto, o li abbiano spesi per migliorare le strutture di welfare nei porti di cui possono godere nei brevi tempi a terra. Le compagnie ricevono i guadagni, mentre i marittimi e le loro famiglie ne pagano il prezzo”. La durata dei contratti estesa forzatamente provoca – scrive ancora Czerny – un esaurimento fisico e psicologico che può portare a un errore umano con conseguenze pericolose”, aspetto sottovalutato. L’appello è dunque a non ignorare i marittimi “perché dipendiamo da loro” e anche dalle loro condizioni di salute mentale, che bisogna assicurare, creando le giuste condizioni di lavoro.
Discriminazioni ingiuste e immorali. La pandemia non sia una scusa
Czerny a questo punto ricorda la Convenzione sul Lavoro Marittimo del 2006 che impone alle compagnie marittime di fornire alloggi dignitosi e puliti, cibo nutriente, un ambiente di lavoro sicuro, orari di lavoro adeguati e congedo a terra (shore leave). “Purtroppo, i notevoli progressi ottenuti dall’entrata in vigore dell’MLC nel 2013 sono stati seriamente compromessi”, lamenta ancora prendendo in considerazione la questione del congedo a terra. “La possibilità di lasciare la nave e scendere a terra, anche se solo per un breve periodo, è fondamentale per il benessere dei marittimi”. Con l’allentamento delle restrizioni anti-Covid, la maggior parte delle persone è di nuovo in grado di spostarsi liberamente. Ma non i marittimi. “Questa è una grave ingiustizia”, scrive Czerny, spiegando che diversi governi e compagnie di navigazione si rifiutano ancora di consentire ai marittimi di sbarcare con la beffa che alcuni di loro possono scendere a terra se hanno la “giusta cittadinanza”. “Questa discriminazione è tanto ingiusta quanto immorale”, sottolinea. “Dobbiamo tutti ricordare che l’innata dignità dei marittimi come esseri umani deve essere rispettata. Ovunque si trovino nel mondo, devono essere trattati allo stesso modo, senza alcuna discriminazione”. E aggiunge: “La pandemia non deve più essere usata come scusa per vietare all’equipaggio di scendere a terra”.