Il cardinale prefetto del Dicastero per lo Sviluppo Umano riflette sull’enciclica di Giovanni XXIII che celebra i 60 anni dalla pubblicazione: è stato un documento di grande saggezza pastorale che interpellò la comunità internazionale dell’epoca a considerare la pace da un punto di vista collettivo, invitando al totale disarmo. Molti di quegli echi sono presenti nel documento di Papa Francesco sulla fraternità
Vatican News
La Pacem in terris è stata, così come altri documenti o interventi radiofonici dei Pontefici nel corso del secolo XX, “un’occasione di approfondimento e di riflessione nell’insegnamento sociale della Chiesa sulla pace a partire dalle problematiche e incognite poste dall’attualità storica”. Lo scrive il cardinale Michael Czerny, prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, in un testo dal titolo “Pacem in terris: dal cuore dell’uomo, al ripensamento della società”, dedicato all’Enciclica di Giovanni XXIII, dal valore di un “sismografo”, scrive il porporato, capace di registrare “l’ormai avvenuto mutamento nell’assestamento geopolitico”.
Gli anni della Pacem in terris
Erano gli ani ’60, il cardinale Czerny ricorda come eventi quali la costruzione del Muro di Berlino e la crisi dei missili su Cuba fecero percepire all’opinione pubblica il rischio di un “imminente conflitto nucleare dalle proporzioni inaudite”. In questo contesto, Giovanni XXIII, “lasciandosi anzitutto guidare dalla sua spiccata sensibilità pastorale”, con toni sereni e pacati, privo di polemica e condanna – senza venir meno al “dovere di educare e correggere, di accompagnare con rispetto e responsabilità” e rivolgendosi ai fedeli ma anche a “tutti gli uomini e donne di buona volontà” – ribadiva “l’importanza di promuovere e affermare i diritti umani, la destinazione universale dei beni, la cooperazione internazionale, ma anche l’urgente bisogno di convergere sulla comune decisione da parte di tutti i governanti e leader mondiali di orientarsi, senza indugio, al totale disarmo dei mezzi di distruzione di massa”.
In quel momento storico, scrive ancora il prefetto vaticano, con le popolazioni segnate dai conflitti bellici e il mondo gravato dalla contrapposizione tra due grandi blocchi, ma anche da ideologie totalitarie disastrose per i diritti della persona e dei popoli, “l’anelito alla pace costituisce un ‘segno dei tempi’” e Giovanni XXIII la presenta come “necessaria all’uomo perché questi potesse conseguire uno sviluppo umano integrale”. È il punto di partenza dell’enciclica, indica il porporato: “La pace è necessaria affinché l’umanità possa crescere e prosperare nella pienezza di vita”, una pace che non può essere né una serie di compromessi, né un accordo tra Paesi, perché la pace “è una delle condizioni indispensabili affinché la vita di ciascun uomo possa trovare piena realizzazione nel rispetto della sua fondamentale dignità”. Giovanni XXIII nella Pacem in terris rimanda ai criteri che rendono possibile la pace: verità, giustizia, amore, libertà “affinché la vita individuale e collettiva possa risplendere”.
L’enciclica nell’insegnamento di Francesco
Ad “echeggiare e rilanciare l’anelito espresso da Giovanni XXIII in Pacem in terris”, osserva Czerny, è l’enciclica della pace Fratelli tutti. L’insegnamento di Francesco fa riferimento a diversi aspetti del testo di Roncalli, soprattutto quando si interroga se gli uomini di oggi ne abbiano compresa la lezione, tanto da far diventare realtà le parole giustizia e solidarietà e da farla diventare di insegnamento nell’ambito della Dottrina sociale della Chiesa. Se verità, giustizia, amore, libertà sono principi fondamentali per la via dello sviluppo umano, secondo Giovanni XXIII, conclude il prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, per Francesco è importante affrontare tutte le complessità della vita, “a partire dalla visuale della pace”, compresa la questione ecologica, quella che riguarda migranti e rifugiati, il divario tra ricchi e poveri e il disarmo.