Cutro, la spiaggia del dolore. Il pescatore Vincenzo: “Penso ai bambini e non dormo più”

Vatican News

Vincenzo Luciano ha soccorso i migranti all’alba del 26 febbraio: “Mi sono buttato in acqua e vedevo solo cadaveri. Un bimbo pensavo di averlo salvato, invece a riva non respirava. Gli ho chiuso gli occhi”. Procedono intanto le operazioni di recupero in mare, dove lo scenario appare spettrale. Questa mattina il ritrovamento di un bambino di circa 2 anni

Salvatore Cernuzio – Inviato a Crotone

“Là, là, dove c’è quella cosa nera”. Vincenzo indica un punto a destra della spiaggia di Steccato di Cutro: alle 6.30 di questa mattina è stato ritrovato lì il corpo di un bambino di 2 anni e mezzo, avvistato a pochi metri dalla riva.. “Aveva la testa gonfia… Adesso i corpi sono tutti sfigurati, si fa ancora più fatica a recuperarli. Sono in condizioni che è meglio non dire”. Il piccolo era in acqua da domenica scorsa, da quando è avvenuta la tragedia che ha sconvolto la città di Crotone, la Calabria, l’Italia, il mondo: il naufragio di un barcone proveniente dalla Turchia che si è andato a sfracellare su una secca, buttando a mare circa 180 persone mentre il mare era agitato e le onde raggiungevano anche i quattro metri. “La barca sembrava finita in una lavatrice. Pezzi su pezzi, tavole distrutte”, raccontano i testimoni. Sessantotto i morti ritrovati finora, 69 con il bimbo riemerso oggi dallo Ionio. Si presume che i dispersi siano oltre una quarantina, forse incagliati negli scogli al lato opposto al punto del naufragio. Il vento e la pioggia fina ma battente che da ieri hanno intorpidito l’acqua stanno ostacolando il lavoro di sommozzatori e Protezione Civile.

La testimonianza di Vincenzo

Vincenzio Luciani, 50 anni, pescatore, era presente oggi al nuovo ritrovamento. C’era anche all’alba del 26 febbraio, il momento più drammatico quando le onde hanno iniziato a restituire cadaveri. “Stavo dormendo e mi è arrivata la telefonata di un amico che mi dice: ‘Vincé, corri, sento delle urla, non so cosa sta succedendo!’. Abito vicino, mi sono vestito e dopo cinque minuti ero qui. Quando sono arrivato ho visto delle immagini paurose ma non ho avuto tempo di pensare a niente perché mi sono buttato in acqua a prendere i corpi. Pensavo che erano vivi ma erano tutti morti. C’era il mare forte, facevo fatica a prenderli perché la risacca li riportava di nuovo indietro. Li portavo sulla spiaggia e il mare se lì riprendeva… Una fatica immane”.

Vincenzo Luciano nella sua auto, sulla spiaggia di Steccato di Cutro

Il bambino che non è riuscito a salvare

Il pescatore si stropiccia gli occhi azzurri arrossati dal poco sonno e dalla salsedine: “Più alzavo la testa e più sulla spiaggia vedevo una distesa di cadaveri”, racconta, “anche bambini”. E l’immagine di un bambino lo ha scioccato così tanto da avergli levato il sonno e l’appetito da giorni, come dice: “Era piccolo, l’ho preso in acqua in braccio, aveva gli occhi aperti, sembrava che mi guardasse. Ho gridato: questo è vivo, questo lo salviamo! Invece quando l’ho messo a riva, ho visto che non respirava più e gli ho chiuso gli occhi. È una settimana che non riesco a dimenticare quella scena”.

Scenario spettrale

Da quel giorno il pescatore vive praticamente sulla spiaggia, dove lo scenario, dopo una settimana dal naufragio, è ancora spettrale. Quasi di guerra. Ci sono scarpe – spaiate, distrutte, impregnate di sabbia, oppure sistemate sotto una croce accroccata con due canne di legno e un filo d’acciaio – lungo tutta la costa. Poi calzini, pacchi di crackers, un giubbotto salvagente, un flacone di medicine, una lattina di Red Bull, un mazzo di mimose sistemato sotto un pezzo della fiancata del barcone, forse a voler celebrare l’8 marzo che le donne annegate non potranno festeggiare. Nessuno ha toccato niente da domenica, la spiaggia è rimasta cristallizzata in quell’ora di morte e disperazione. E non sono pochi i crotonesi che, nonostante il maltempo e le strade quasi inagibili per le buche e il fango, vi si stanno recando quasi come in un pellegrinaggio. Molti hanno partecipato ieri sera alla Via Crucis organizzata dall’Arcidiocesi nel Duomo, scandita da meditazioni tratte dalle parole di Papa Francesco sulle migrazioni. Un’altra Via Crucis si terrà domani, 5 marzo, lungo la stessa spiaggia con il titolo “Con Cristo tra i migranti dinanzi all’indifferenza del potenti”

Resti lungo la spiaggia

Ricerche continue dei dispersi

Vincenzo è invece fermo lì. Si ripara dal freddo dentro la sua Nissan bianca. È l’unica macchina quasi a riva, le altre di Polizia municipale, Protezione civile, Misericordie rimangono dietro, a fianco al tendone blu del Centro mobile per il pronto intervento. Lui vuole stare lì a monitorare giorno e notte, insieme a operatori e volontari, alla ricerca di dispersi. Uno di questi è con i piedi in acqua e un binocolo: “Magari qualche onda ci restituisce qualcos’altro”, commenta amaro. Ogni ombra nell’acqua mette in moto le squadre presenti sul posto. 

Alla ricerca dei dispersi

La promessa ad una mamma

Un ritmo continuo che procede da giorni: “Siamo qui dalle 4, dovevamo staccare stamattina ma andiamo avanti”, dice un volontario. “Ricerche, ricerche, ricerche”, questo si fa “dalla mattina alla sera, anche di notte”, spiega ancora Vincenzo. “Io mi sono attrezzato con un faro, è un dovere cercare”. È un dovere verso gente come la donna afghana andata ieri in spiaggia a supplicare il pescatore di ritrovare il corpo del figlio. “Mi è dispiaciuto davvero… Mi ha preso dal braccio e mi ha detto con la traduzione del telefono: ‘Per favore, trovi mio figlio…’. Ne aveva altri due: uno è morto, l’altro disperso. Io ho promesso che ce la metto tutta”.

Perché? “L’ho promesso a questa mamma, l’ho promesso anche ad un fratello venuto ieri dalla Francia. Mi ha mandato una foto e il suo numero, mi ha detto: per favore, se trova questa persona mi chiami. L’ho promesso anche a me stesso, come si fa a lasciarli in mare? Io non riesco a dormirci la notte”.

Un mazzo di mimose sotto il legno del barcone