Pubblichiamo di seguito il saluto del Card. Gualtiero Bassetti, Presidente della CEI, al convegno “Custodire le nostre Terre” che si tiene il 17 aprile online, dalle 9 alle 13, per iniziativa della Commissione Episcopale per il servizio della carità e la salute, della Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace, degli Uffici Nazionali per la pastorale della salute e per i problemi sociali e il lavoro, e della Caritas italiana.
Saluto i confratelli Vescovi presenti, i membri della Commissione Episcopale per il servizio della carità e la salute e della Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace, con i rispettivi Presidenti Mons. Carlo Roberto Maria Redaelli e Mons. Filippo Santoro, le Autorità, i direttori degli Uffici Diocesani per la pastorale della salute, della pastorale per i problemi sociali e il lavoro, della Caritas, quanti ci seguono in video-collegamento, e gli organizzatori.
1. La custodia, o la mancata custodia, della casa comune – in quanto siamo tutti parte dell’umanità – incide direttamente sulla nostra salute. Gli effetti ambientali prodotti dalle nostre scelte hanno una incidenza diretta sulla salute fisica, psichica e sociale di tutti, e di ciò l’umanità è responsabile, prima che vittima.
Una seconda breve premessa: per questa attenzione dovuta al bene delle persone, la Chiesa ritiene suo dovere farsi carico del tema della salute di tutti e di ciascuno, in forza del comandamento dell’amore che anima la propria azione e dell’esplicito mandato evangelico di evangelizzare e guarire.
Una terza premessa. Per le responsabilità che abbiamo e che conosciamo, possiamo affermare che può risultare riduttivo, quando non addirittura discriminante, parlare di “terra” e di “terre dei fuochi”: perché dobbiamo piuttosto affermare con forza che siamo responsabili della “custodia di tutte le terre”.
Le ragioni del custodire le terre sono molteplici.
2. Dio pensa in modo semplice: Dio “dice” e “crea” e “vede” (cfr. Gen 1).
Cosa c’è di più semplice dell’acqua? Una semplice creazione di Dio, composta di Idrogeno e di Ossigeno. Eppure l’uomo, se non la custodisce accuratamente, rischia di rovinare un progetto semplice, utile e umile (come la definisce san Francesco nel suo Cantico). Ma l’acqua non è solo un elemento naturale, è simbolo per eccellenza: di purezza, di purificazione, di lavacro, fino al fianco squarciato di Cristo da cui escono “sangue ed acqua” (cfr. Gv 19, 34) per essere fatti figli di Dio nel Battesimo. Dopo la luce, l’acqua è il secondo simbolo pasquale; e in questa chiave le architetture delle chiese prevedono che il Battistero sia la tappa obbligata prima di poter entrare: tanto nell’edificio come nella comunità ecclesiale. Ai cristiani spetta il duplice compito di custodire la natura creata e con essa di custodire la simbologia che essa racchiude, animando il dibattito e il confronto non solo scientifico, o sociale e politico, ma culturale, spirituale ed etico.
3. Dio ama in modo semplice: l’uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio, risponde alla chiamata di amare prima che fare. Se non siamo capaci di una logica di amore (e dell’agire per amore), la logica del fare fine a se stesso ci soverchia: del fare carriera, del fare soldi, del fare in fretta. Così facendo accade però – per malizia o per ignoranza – che non ci si soffermi a guardare gli esisti di questo fare: l’inquinamento è figlio di una cupidigia del fare che ha rifiutato di guardare con amore all’umanità e al creato. Di questi esiti la responsabilità si pone su diversi livelli: quello personale, sul quale ciascuno verrà valutato, quello familiare, in quanto la famiglia è il primo ed insostituibile soggetto di educazione, quello sociale e civile, per cui esiste una responsabilità diretta di chi amministra, e di chi quell’amministrazione l’ha voluta.
4. Amare, ed amare nella semplicità, non è sufficiente: una terza dimensione da coltivare – e su cui riflettere – è quella del custodire. Un verbo ed un agire profondamente biblico: san Giuseppe è definito “Custode del Redentore”; Maria “custodiva” nel suo cuore le profezie sul figlio Gesù (cfr. Lc 2, 51), e fin dalla Genesi l’umanità ha il mandato di coltivare e custodire la creazione. Custodire è proprio il “prendersi cura” in modo diretto e personale, nel cuore e con i fatti.
Custodire la Creazione porta con sé il rapporto che Dio ha sia con il creato, sia con l’umanità. Come comunità cristiana, siamo custodi di una lettura concreta e al tempo stesso spirituale, etica e politica, culturale e sociale. Niente dell’umano, per e dall’Incarnazione di Cristo, è escluso. Così, “custodire” è un verbo molto spirituale e al tempo stesso molto concreto. In questo senso il tema di questo Convegno è quanto mai appropriato: «custodire le nostre terre» rimanda alla duplice relazione di Dio con l’uomo e dell’uomo con la creazione intera. Come comunità ecclesiale, rispondendo all’invito di san Paolo VI per cui servono più testimoni che maestri, siamo chiamati ad essere “custodi operosi”.
Custodire quindi si traduce in un “prendersi cura” diretto, impegnativo, personalmente coinvolgente, soprattutto indelegabile.
5. Due suggestioni conclusive ed un appuntamento.
Il primo criterio di “gestibilità” della vita è la semplicità: ridurre agli elementi essenziali la vita dell’uomo, e al tempo stesso togliere una serie di sovrastrutture, mentali o indotte da una cultura del superfluo. In termini evangelici, si tratta di convertirsi e diventare come bambini, per entrare nel Regno dei cieli (cfr. Mt 18, 1-5).
Il secondo criterio è quello di una comprensione dei fatti inserita nell’annuncio del Vangelo e nella fede: concreta, intelligente, operosa, non inerte, tantomeno indifferente. L’appello che nasce dalla convocazione di oggi è quello di agire essendo chiamati da Cristo a rispondere alla domanda essenziale: quando hai fatto, o non hai fatto, qualcosa al più piccolo dei miei fratelli, l’hai fatto, o non lo hai fatto, a Me (cfr. Mt 25, 31-46). In più, papa Francesco ci ricorda che esistono i complici dei briganti – i “segreti alleati” –, coloro che passano e guardano altrove, o sono indifferenti, o soffocano la speranza.
Diamo questa risposta di ritorno al vero, all’essenziale evangelico, tenendo presente che un’ampia parte del territorio italiano è inquinato, ma che qui sono riunite quell’ottantina di Diocesi che sono segnate da territori e acque particolarmente caratterizzati da un inquinamento specifico. Quasi una chiamata, un appello nominale. Dal Sud al Nord, dall’Est all’Ovest.
Infine l’appuntamento, che è indice di un sentire ecclesiale: le Settimane sociali dei cattolici, con la loro lunga storia, nel prossimo mese di Ottobre si interrogheranno su “Ambiente, lavoro e futuro”. La Chiesa è non solo chiamata a leggere i segni dei tempi, ma a proporsi come interlocutore preparato e credibile nei confronti di un mondo che chiede risposte alla “domanda di senso” che nasce nella e dalla storia.
6. Ecco quindi il taglio che questo convegno si propone, con una sua originalità.
La riflessione sulla dimensione della salute, e della pastorale della salute, vuole offrire un contributo specifico alle domande che la nostra amata Nazione si sta ponendo oggi sul tema dell’ambiente, della salvaguardia della salute, soprattutto della correlazione tra inquinamento dell’ambiente, inquinamento dei corpi e inquinamento delle coscienze.
Ringrazio le Diocesi che da anni si stanno impegnando in questo senso, e la Conferenza Episcopale campana che ci accoglie; ringrazio quanti si mettono in discussione su un tema per loro nuovo, ma che non li fa sentire estranei ma compartecipi di un processo che si sta avviando, di consapevolezza, di condivisione, di assunzione di nuova responsabilità. Una responsabilità che si radica in storie passate, ma che guarda al futuro: quale ambiente, e quale etica di custodia del creato, vogliamo lasciare – mi sia concessa l’espressione – ai nostri figli, ossia alle generazioni che ci seguiranno?