Fausta Speranza – Città del Vaticano
Il vertice, che si è svolto giovedì 23 settembre a New York, è stato il punto di arrivo di 18 mesi di impegno e di scambio tra rappresentanti di Stati membri delle Nazioni Unite e le rispettive società civili, in tutto il mondo, compresi migliaia di giovani, produttori alimentari, popoli indigeni, ricercatori, settore privato e agenzie del sistema Onu. Delle sfide da affrontare abbiamo parlato con Romina Cavatassi, economista esperta di risorse naturali dell’Ifad, Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo dell’Onu:
Il messaggio – chiarisce Cavatassi – è quello di apportare cambiamenti tangibili e positivi ai sistemi alimentari mondiali, considerando che chiunque, ovunque, debba agire e collaborare per trasformare il modo in cui il mondo produce, consuma e concepisce il cibo. L’obiettivo è guidare la ripresa dalla pandemia del Covid-19 e riprendere il cammino per raggiungere tutti i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile entro il 2030. In questi anni – spiega – qualcosa è cambiato: è cresciuta del 10 per cento e per alcuni aspetti del 200 per cento la “produzione” di cibo e di calorie a disposizione, ma il punto è – sottolinea – che restano sempre grandi le difficoltà di accesso al cibo per i poveri mentre si impoveriscono le caratteristiche nutritive di tanto cibo prodotto, che peraltro ruota – aggiunge l’esperta – intorno ad alcune culture mentre potrebbero essercene tante altre con ottime caratteristiche.
La questione delle popolazioni rurali
È scandaloso – afferma Cavatassi – che i piccoli agricoltori delle aree rurali dei Paesi in via di sviluppo, che producono un terzo degli alimenti nel mondo, percepiscano una miseria per il loro lavoro. Senza risparmi e senza la possibilità di accedere a finanziamenti, le famiglie dei contadini non hanno strumenti per ammortizzare gli effetti del cambiamento climatico e altri eventi catastrofici. Il vertice dunque ha lanciato un appello a produrre cambiamenti concreti in quelli che Cavatassi individua come meccanismi di produzione e di mercato. Per poi ricordare un dato centrale in tema di sostenibilità ambientale: il 37 per cento delle emissioni che incidono sulle problematiche da gas serra proviene dalla produzione alimentare. La maggior parte delle popolazioni rurali dei Paesi in via di sviluppo si guadagna da vivere coltivando la terra, ricorda l’esperta. I piccoli agricoltori con appezzamenti minori di due ettari producono oltre il 30 per cento del cibo mondiale, e in alcune regioni dell’Asia e dell’Africa fino all’80 per cento.
I piccoli agricoltori vivono una condizione di povertà
I piccoli agricoltori guadagnano solo il 6,5 per cento del prezzo al quale gli alimenti vengono venduti nei supermercati. I commercianti, i produttori di cibo e i venditori al dettaglio fanno la parte del leone. Secondo il Rapporto dell’IFAD sullo Sviluppo Rurale, pubblicato questa settimana e curato da Cavatassi, la crescente concentrazione di potere all’interno dei sistemi alimentari ha visto aumentare notevolmente i profitti delle grandi imprese, mentre le persone che lavorano per produrre, trasformare e distribuire il cibo che mangiamo sono intrappolate in una condizione di povertà e soffrono la fame. I redditi inadeguati sono una delle ragioni principali per cui circa 3 miliardi di persone nel mondo non possono permettersi di alimentarsi in modo sano.
Serve volontà politica
Si chiede ai governi – spiega l’economista – di collaborare con il settore privato per implementare politiche mirate a creare maggiore occupazione, retribuzioni dignitose e migliori condizioni di lavoro. Particolare attenzione va rivolta alle piccole imprese locali che operano all’interno dei sistemi alimentari e producono, trasformano e distribuiscono cibo, creando al tempo stesso occupazione a livello locale e stimolando le economie rurali. In particolare, è necessario che tutte le parti in causa si impegnino a garantire che i piccoli produttori possano accedere ai mercati esistenti e a quelli emergenti a condizioni eque.
Il mondo rurale ha molto da insegnare
Guardando ai Paesi ricchi, Cavatassi ricorda che alcune produzioni troppo “raffinate” assicurano cibi ad alto valore calorico ma con scarse capacità nutritive. Rispettare la naturalità dei prodotti dovrebbe dunque essere una riscoperta anche per le popolazioni abbienti o per le fasce di popolazioni abbienti che si affidano troppo a prodotti solo industriali e troppo lavorati. Si tratta di un fenomeno che Cavatassi definisce di triplo costo, appunto per i costi aggiunti, per le ricadute ambientali e per i danni sul piano nutritivo.