Michele Raviart – Città del Vaticano
Riduzione dell’occupazione, aumento dell’insicurezza alimentare, dei problemi di salute mentale e minore protezione davanti le violenze. Sono le conseguenze secondarie più frequenti della pandemia di coronavirus, secondo la ricerca della Federazione internazionale delle Società di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa (IRFC), presentato oggi. “Annegare appena sotto la superficie”, è il titolo del rapporto, in cui attraverso un focus su dieci Paesi (Afghanistan, Colombia, El Salvador, Iraq, Kenya, Libano, Filippine, Spagna, Sud Africa e Turchia) si sottolinea come le differenze socioeconomiche abbiano influito non solo sugli aspetti sanitari della crisi.
Persone spinte al limite
I più vulnerabili, infatti, sono stati più contagiati rispetto alle categorie più protette e benestanti e sono morti più frequentemente a causa della difficoltà ad accedere alle misure di sostegno approntate dai vari Paesi. I volontari della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa hanno aiutato milioni di persone e dalla loro esperienza in tutto il mondo è emerso che sono tre i gruppi sociali che hanno patito di più le conseguenze sociali del virus: donne, poveri delle aree urbane, migranti e rifugiati. “Le persone che erano già vulnerabili, a causa di conflitti, cambiamenti climatici e povertà, sono state spinte ulteriormente verso il limite. E molte persone che in precedenza erano in grado di far fronte alle difficoltà sono diventate vulnerabili, avendo bisogno di sostegno umanitario per la prima volta nella loro vita”, ha spiegato Francesco Rocca, Presidente dell’IRFC.
Aumentano le violenze domestiche
Mediamente, come ha sottolineato una ricerca della Croce Rossa spagnola, il 18% delle donne occupate prima della pandemia ha perso il lavoro, a fronte del 14% della popolazione maschile. Un fenomeno dovuto a un maggior impiego femminile nel lavoro in nero, nei lavori domestici e nel turismo, settore particolarmente colpito dalla crisi per le restrizioni di movimento tra Paesi. La maggiore permanenza in casa, inoltre, ha esposto le donne a un più alto rischio di infezioni, a un aumento delle violenze domestiche e di abusi sessuali. Il 27% della popolazione femminile ha registrato un peggioramento della propria salute mentale, contro il 10% di quella maschile.
Le conseguenze per i poveri in città e i migranti
La disoccupazione ha colpito anche le povertà urbane delle periferie, spesso legate ad impieghi all’aperto non regolari e in cui è molto difficile mantenere il distanziamento sociale. Abitazioni fatiscenti e carenze nelle infrastrutture e nell’accesso alle cure sanitarie hanno ulteriormente contribuito a peggiorare situazioni già critiche. In questo senso, si legge nel rapporto, “è impossibile determinare se una particolare crisi sia stata causata dalla pandemia, o solo aggravata o prolungata”. È il caso dell’Afghanistan, in cui le povertà urbane sono passate dal 42 al 46% in pochi mesi, del Kenya già colpito dalla siccità, o dell’Iraq dove gli sfollati interni erano già oltre un milione prima della crisi. Il terzo gruppo ad essere più colpito, infatti, è quello già particolarmente vulnerabile dei migranti e rifugiati. Le restrizioni ai movimenti hanno reso più difficile per loro l’accesso alle cure. In Colombia molti profughi venezuelani si sono indebitati per avere accesso almeno ai servizi di base, mentre in Libano è sensibilmente peggiorata la condizione dei rifugiati siriani rispetto a quella dei cittadini libanesi.
I settori in cui intervenire
Con la consapevolezza che l’impatto della pandemia avrà ripercussioni socioeconomiche che dureranno anni se non decenni, l’IRFC propone quattro settori chiave nei quale intervenire nell’immediato futuro, a partire da un programma di vaccinazione equo e sostenibile per tutti. Si chiede inoltre un monitoraggio a lungo termine degli effetti sulla salute mentale e la mancanza di istruzione, oltre alla costruzione di nuove forme di solidarietà per dare vita a società più giuste, insieme a programmi di promozione, alla partecipazione e agli investimenti locali.