Chiesa Cattolica – Italiana

Croazia, lectio di Gallagher: serve una società in cui l’individuo non sia un atomo

La lectio magistralis del segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati a Zagabria: nel mondo attuale sembra esserci una tendenza a trasformare “un sano patriottismo in un pericoloso nazionalismo”

di Gabriele Nicolò

C’è una questione che è ben conosciuta da ciascuno di noi ma che, nello stesso tempo, è fraintesa nel mondo di oggi in maniera crescente. Tale questione riguarda la realtà della persona umana, ovvero investe ciascuno di noi in qualità di esseri sociali, in relazione l’uno con l’altro. Nonostante siamo legati, in modo innato, reciprocamente, siamo tentati ad isolarci, ad escludere l’altro e tutto ciò che è differente da noi. Questo scenario è stato sottolineato con forza dall’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni internazionali in occasione della Lectio magistralis tenuta venerdì 31 maggio presso l’Università Cattolica di Croazia. Il tema della lectio magistralis è La persona umana: una comunione di relazioni.

Mentre la relazione interpersonale potrebbe sembrare un concetto astratto, essa è al cuore di tutte le interazioni sociali. In particolare, l’arcivescovo Gallagher ha preso in considerazione l’effetto che la nostra comprensione del zoon politikon ha sul nostro approccio alla società  e al nostro senso di identità. Purtroppo c’è una tendenza nel mondo attuale a trasformare «un sano patriottismo in un pericoloso nazionalismo»: ciò è dovuto, in larga misura, alla nostra insita comprensione della persona umana.

Oggi, nell’ambito delle interazioni sociali – ha rilevato il presule – si riscontra una forte tendenza a rivolgersi all’individuo come ad un punto di riferimento. La società è così concepita come formata da individui autonomi che interagiscono l’uno con l’altro in una sorta di atomismo sociale. Tuttavia, questo approccio diretto alla comprensione della società è relativamente nuovo. Nel tradizionale significato con cui è intesa la società, l’attenzione non è concentrata sull’”io” dell’individuo ma sul “noi” della persona umana.

Per gli antichi Greci, ha ricordato l’arcivescovo Gallagher, una persona era definita dalle relazioni entro le quali lui o lei vivevano. Nel linguaggio latino, l’”essere” dell’uomo è “inter-esse”. Essere vuol dire esistere tra gli altri, insieme con gli altri. È precisamente questo senso di connessione tra due o più persone che è alla radice etimologica della parola «interesse”, e il fondamentale «interesse» della persona umana è «vivere insieme, vivere con gli altri».

Il presule ha quindi rilevato che la concezione tradizionale della persona umana è stata gradualmente sostituita dal “moderno” concetto di società e degli individui che la formano. Questo passaggio è generalmente associato al filosofo francese Cartesio e al suo famoso detto Cogito ergo sum. In contrasto alla comprensione relazionale della realtà umana che aveva dominato la filosofia antica, con Cartesio l’identità umana era considerata come un’espressione della volontà e dell’intelletto individuale. Così la realtà è divenuta autoreferenziale. Di conseguenza l’identità procede dalla propria capacità autonoma per considerare sé stessa, indipendentemente da qualsiasi cosa e da qualsiasi altra persona. Questa prospettiva, ha evidenziato l’arcivescovo Gallagher, ha segnato «una significativa rivoluzione del pensiero». Cartesio sostiene che il soggetto prima scopre sé stesso. Dopo aver sviluppato questa autoconsapevolezza, egli gradualmente viene a conoscere ciò che lo circonda, la società e il mondo.

Oggi l’individualismo cartesiano è stato sostituito da una sorta di “hyper-individualismo”. Nelle  prime società moderne, fino al ventesimo secolo, il soggetto era ancora definito nella sua relazione con il tutto (la comunità, specialmente la società). Sebbene esisteva una relazione di carattere competitivo, le persone erano ancora viste come parte di un insieme più grande.

Nelle società ipermoderne, dove prevalgono le cosiddette relazioni virtuali, si ha l’impressione – ha affermato l’arcivescovo Gallagher – di essere testimoni di «una guerra di tutti contro tutti». Sembra di essere diretti, ha lamentato il presule, verso la società descritta nel XVII secolo da Thomas Hobbes, ovvero una società che si identifica in uno stato di natura in cui l’uomo è un lupo per il suo simile, homo homini lupus.

In conformità a questa prospettiva, l’”altro” non è più una “persona” con la quale poter creare una relazione ; né l’altro si configura come un individuo i cui interessi possono allinearsi con i propri. Insomma, viene meno quel sano e costruttivo spirito di collaborazione che garantirebbe un mutuo guadagno. Invece l’altro finisce per identificarsi come un competitor.

L’arcivescovo Gallagher ha quindi trattato, sempre in relazione all’individuo, il tema della libertà, che non è data una volta per tutte: essa infatti consiste in un processo dinamico che richiede un costante sforzo per guadagnarla e conservarla. Il presule ha distinto tre momenti nel processo diretto a conseguire la libertà: la libertà “da”, la libertà “per” e la libertà “con”. La prima fase contempla la presenza minacciosa di una coercizione, mentre la seconda implica il criterio di una scelta. La terza fase comprende i valori dell’amicizia e dell’amore e apre ad un contesto in cui l’individuo non dice all’altro «tu sei mio!», ma esattamente l’opposto, «io sono tuo!».

Nell’analizzare il concetto di nazionalismo, l’arcivescovo Gallagher ha descritto un nazionalismo «esclusivo» ed uno «inclusivo». Il primo contribuisce a perpetuare regimi autocratici e minaccia la democrazia; il secondo ha implicazioni finalizzate a stabilire una democrazia e un sistema politico che coniuga elezioni basate sulla competizione con le libertà civili e politiche valide per tutti. Questo approccio porta a non vedere l’altro come una minaccia. Nello stesso tempo il presule ha sottolineato l’importanza di distinguere il patriottismo dal nazionalismo. Il patriottismo, ha affermato l’arcivescovo, può essere considerato una «virtù» solo quando esso serve nobili obiettivi e quando si limita ad usare mezzi moralmente legittimi per conseguirli.

A conclusione della sua Lectio magistralis il presule ha richiamato il discorso di Papa Francesco al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, l’8 gennaio scorso, in cui il Pontefice ha sottolineato che la politica non deve essere intesa come un appropriazione di potere ma come la più alta forma di carità. È da questa prospettiva che il politico cristiano deve muovere facendo sempre riferimento a quei principi fondamentali che sono al servizio della dignità della persona umana, nel segno della promozione del bene comune. 

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