Paola Simonetti – Città del Vaticano
“I miei sforzi per colmare il divario crescente e risolvere le controversie tra le forze politiche sono falliti”. Getta definitivamente la spugna il primo ministro sudanese Hamdok confermando, in un discorso televisivo alla nazione, le sue dimissioni, già ampiamente annunciate nelle scorse settimane, nel quadro del golpe militare che lo aveva destituito e poi reintegrato, dietro pressione della comunità internazionale, ma anche delle proteste popolari. Hamdok ha affermato di aver fatto del suo meglio per impedire al Paese di “scivolare verso il disastro”, ma che questo non è bastato. I leader civili e militari avevano concluso un complicato accordo di condivisione del potere dopo che l’esercito aveva organizzato un colpo di stato il 25 ottobre e aveva inizialmente posto il primo ministro Hamdok agli arresti domiciliari.
Violenta repressione
L’annuncio arriva nel contesto della drammatica manifestazione di piazza per le strade della capitale Khartoum a favore della democrazia, soffocata duramente dai militari, che hanno usato lacrimogeni e artigliera pesante per fermare le proteste: 2 le vittime. Questo ennesimo episodio avrebbe spinto Hamdok, a rendere ufficiali e irrevocabili le dimissioni, annunciate nei giorni scorsi ma rimaste “congelate” anche dietro la pressione della comunità internazionale. Dal giorno della presa del potere del generale dell’esercito al-Burhan sono state almeno 60 le persone uccise e centinaia i feriti.
Elezioni anticipate
L’uscente primo ministro sudanese, ha chiesto un dialogo per “disegnare la tabella di marcia” per la transizione verso la democrazia in conformità con la carta costituzionale, “al fine di raggiungere – ha aggiunto- gli obiettivi di libertà, pace e giustizia del popolo”. Si apre così lo scenario di possibili elezioni anticipate, ma a preoccupare sono le sorti della già martoriata economia del paese: “Ora il paese – ha aggiunto Hemdok- si trova a un “pericoloso punto di svolta che minaccia la sua intera sopravvivenza”. E intanto, all’orizzonte, ci sono nuovi cortei di protesta già annunciati da sindacati e movimenti pro-democrazia.