Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano
Si è parlato di fondi con cifre milionarie, di immobili di altissimo valore, di bond, investimenti, banche, società estere, lungo tutta la diciottesima udienza nell’Aula polifunzionale dei Musei vaticani per il processo per presunti illeciti con i fondi della Santa Sede. Dalle 9.40 alle 17.15 è stato interrogato Enrico Crasso, consulente finanziario della Segreteria di Stato dal 1993. “Anche se non ho mai avuto un incarico specifico”, ha chiarito, rivendicando gli utili della sua gestione dei fondi della Santa Sede in 26 anni: “Guardate i profitti, non ho fatto perdere soldi. Avete i dati a bilancio e potete vedere i redditi che ho prodotto”.
“Mai avuto mandato di prelevare un centesimo della Segreteria di Stato”
Rinviato a giudizio per truffa, corruzione, estorsione, peculato, abuso d’ufficio, riciclaggio, autoriciclaggio, falso in atto pubblico e scrittura privata (gran parte dei reati in concorso con il broker Gianluigi Torzi), Crasso ha rifiutato ogni accusa, lasciando anzi intendere di essere finito in mezzo a vicende che né lo riguardavano, né erano di sua competenza. “Non ho mai avuto mandato di prelevare un centesimo della Segreteria di Stato”, ha affermato, specificando che il suo ruolo era quello di “gestore” di acquisti e quote fondi – “e non speculazioni” – quando la Segreteria di Stato decideva di investire per conto di Credit Suisse, banca di riferimento del Dicastero della quale lui è stato a lungo area manager. “Dal 1993 al 2014 non ho mai fatto nessun tipo di finanziamento, mai! L’unica cosa che ho fatto è stato mettere la cravatta in rispetto delle istituzioni”. Più volte Crasso ha ripetuto di essere stato “vilipeso e offeso”: “Alcune persone che hanno interloquito con il Papa hanno fatto di tutto per mettermi in cattiva luce”.
La lettera di Peña Parra
Con linguaggio tecnico, Crasso ha risposto ad ogni domanda del promotore di Giustizia aggiunto Alessandro Diddi, ma soprattutto a quelle più numerose delle parti civili. Gli è stato chiesto conto di una lettera ricevuta l’11 novembre 2019 dal sostituto, monsignor Edgar Peña Parra, che chiedeva di “liquidare al meglio e con diligenza” gli asset della Segreteria di Stato da lui gestiti e di “non procedere ad altri investimenti” tramite il Fondo Centurion di cui era titolare. “Una lettera di questo genere crea danni incommensurabili alla Santa Sede”, rispose Crasso chiedendo udienza al sostituto, ottenuta il 16 novembre: “Peña Parra concordò di non limitare le gestioni”. Alla lettera “non fu più dato corso”; in ogni caso “dal 16 novembre – ha detto – non ho più messo piede in Vaticano”.
Investimenti
Dopo la missiva del sostituto furono però effettuati investimenti, ad esempio in un palazzo di via Gregorio VII, a pochi passi da San Pietro, del valore di 1 milione e 300 mila euro. Era un investimento solo “deliberato” ma effettuato anni prima, ha spiegato l’imputato, elencando una serie di azioni come quella dell’acquisto della Santa Sede di un edificio “strepitoso” all’estero che Peña Parra gli impedì di rivendere a 33 milioni di euro: “Con quello la Segreteria di Stato sta guadagnando tanti soldi”.
Il pozzo di petrolio e il palazzo di Londra
Ampio spazio nell’interrogatorio – oltre all’affare mancato per il pozzo di petrolio in Angola, che Crasso ha detto di aver bloccato evidenziandone le scarse garanzie – è stato occupato dalla vicenda della compravendita del palazzo di Londra, di cui seguì diversi momenti delle trattative fino a quando monsignor Peña Parra gli chiese di “farsi da parte”. “Crasso non ha avuto alcun ruolo di alcun genere nell’operazione di acquisto dell’immobile sito a Londra”, si legge nella memoria di 130 pagine prodotta dalla difesa.
Il ruolo nell’affare Sloane Avenue
Crasso stesso ha spiegato in aula che non era di sua competenza “dire se l’investimento di Londra fosse o meno un investimento a rischio. Non sapevo nulla dell’ipoteca di 75 milioni di euro. Nella vicenda di Londra ci sono finito per caso”. Il suo ruolo si limitava a verificare l’attività di un conto di 9 milioni di sterline nel quale confluivano i contratti degli affittuari del palazzo. In virtù di questo incarico si recò il 20 novembre 2018 a Londra con l’ex funzionario dell’ufficio amministrativo della Segreteria di Stato, Fabrizio Tirabassi (imputato). “Grave errore della mia vita, dovevo rimanerne fuori!”, ha affermato rievocando quei tre giorni di riunioni in cui furono definiti i contratti con il manager Raffaele Mincione (imputato) e stabilito un sovrapprezzo al costo dell’immobile di 40 milioni di sterline da versare allo studio Herbert Smith Freehils, il quale – recita sempre la memoria – “è il soggetto che ha tratto i maggiori guadagni economici dall’operazione”. Il bonifico fu effettuato “sul filo di lana” da un conto della Segreteria di Stato, il 29 novembre 2018, “ultimo giorno utile”.
Nessun contatto con Torzi
La cosa che più di ogni altra Crasso ci ha tenuto a ribadire è di non aver mai avuto contatti stretti con Torzi. L’accusa del Promotore di Giustizia è che invece il finanziere, insieme a Tirabassi e l’avvocato Nicola Squillace (imputato), avessero architettato la creazione delle mille azioni per mantenere il controllo dell’immobile di Londra e così ricattare la Segreteria di Stato, lasciando a Torzi il potere di chiedere prestiti, mutui o vendere il palazzo a un prezzo ancora più basso. “Mi trovo coinvolto in questo capo di imputazione per un signore conosciuto 20 giorni!”, ha esclamato Crasso, alzando di tanto la voce come in tutto l’interrogatorio, durante il quale ha anche esclamato: “Maledizione a quel giorno!”.
La riunione nell’Hotel Bvlgari
Crasso dice di aver conosciuto Torzi il 14 novembre 2018 in un bar di via Margutta, strada centrale di Roma, dove Tirabassi lo aveva invitato “per un caffè” insieme all’avvocato Manuele Intendente e il broker. Il tema di Sloane Avenue fu tirato fuori “all’improvviso”, mentre si parlava d’altro. In una riunione all’Hotel Bvlgari di Milano, organizzata nel dicembre 2018 per fare “un tentativo di conciliazione” con Torzi, Tirabassi disse al broker: “Enrico è una persona che mi conosce da tanto tempo, ha lavorato con me e con te”. Lo si sente nella registrazione che lo stesso Crasso fece di nascosto durante la riunione. La trascrizione è agli atti. “Questa frase non l’ho mai sentita, forse è un errore di trascrizione. Ribadisco: Torzi l’ho conosciuto a novembre 2018”, ha detto Crasso. Sulla registrazione ha spiegato: “Mi spiace di aver registrato la conversazione all’insaputa dell’altro, ma mi dissero di fare attenzione perché Torzi ogni volta che parlava con me mi registrava”.
Rivolto a Diddi, Crasso infine ha aggiunto: “Quando venni da lei, dissi ‘faccia di me quello che vuole, ma per favore non mi metta con Torzi’. Siamo persone dal punto di vista professionale totalmente diverse. Com’è pensabile che mi metta d’accordo con una persona che non conosco, sono stato pure critico sulla sua gestione! Respingo con forza le congetture fatte”. Crasso sarà interrogato nuovamente il 22 giugno.