Giancarlo La Vella – Città del Vaticano
L’Onu, attraverso l’Ufficio per il coordinamento degli aiuti umanitari, chiede alla comunità uno sforzo particolare per far fronte all’indigenza che il prossimo anno colpirà almeno 274 milioni di persone in tutto il mondo che avranno bisogno di una qualsiasi forma di assistenza. Una prova, questa, che la pandemia si sta declinando non soltanto in una grave emergenza sanitaria, ma sta provocando anche una grave crisi economica con ricadute fortemente negative per le famiglie e le singole persone.
Covid, clima e guerre
Oltre alla pandemia, la situazione è aggravata anche dai cambiamenti climatici e dai conflitti che avvengono in varie parti del mondo, ma soprattutto nei Paesi più deboli. Una serie di concause che sta spingendo un numero sempre più elevato di persone sull’orlo della carestia, ma serie difficoltà stanno insorgendo anche per gli abitanti delle zone più sviluppate del pianeta. La somma richiesta dall’Onu è superiore del 17% rispetto alla cifra già record di quest’anno, che ammonta a 35 miliardi di dollari.
Non solo assistenza
Oltre agli aiuti, “bisogna che nei Paesi più poveri vengano avviati programmi economici alternativi: la povertà si combatte avviando imprese, cooperative, creando posti di lavoro”. Questo il commento dell’economista Luigino Bruni, direttore scientifico di “Economy of Francesco”, il programma promosso dal Santo Padre per un’economia sostenibile.
L’economia attuale – afferma Bruni – è vero che è in crescita, ma questo non è garanzia che la povertà venga abbattuta. Quando si lavora solo sui flussi di denaro, quindi sugli aiuti, c’è il rischio che questi finanziamenti si traducano in consumi non utili e non essenziali al miglioramento delle condizioni sociali. Invece bisogna investire sui “capitali sociali, educativi, sanitari e familiari”. C’è bisogno di capacità produttive e non di consumo, conclude l’economista, perché al contrario non stiamo facendo altro che creare maggiore distanza tra ricchi e poveri, che aumentano sempre di più. Bisogna pensare in chiave di sviluppo e di crescita reali e abbandonare il consueto modo di fare economia. “Se noi pensiamo ancora – conclude – che le povertà si risolvano raccogliendo soldi, stiamo pensando in modo vecchio e sbagliato”.