Gabriella Ceraso – Città del Vaticano
La notizia fa pensare a tanti nuovi miracoli possibili, frutto della vicinanza e dell’integrazione. Infatti è appena stato siglato un nuovo protocollo tra la Comunità di Sant’Egidio, la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia (FCEI), la Tavola Valdese e i ministeri dell’Interno e degli Esteri per l’ingresso in Italia di altri mille profughi attualmente ospitati in Libano grazie ai corridoi umanitari, una di quelle “ buone pratiche” riconosciute a livello internazionale, replicate con progetti analoghi in Francia, Belgio, Andorra e San Marino, ma ancora non divenute strutturali all’Unione europea.
Dunque è questo l’obiettivo che oggi si pongono i protagonisti di un’avventura iniziata nel 2015 e che ha già sostenuto e aiutato oltre 2000 profughi (in gran parte famiglie e soggetti in condizioni di vulnerabilità provenienti dalla Siria), con un progetto interamente autofinanziato, che permette non solo di salvare dai trafficanti e dai rischiosissimi viaggi nel Mediterraneo, ma facilita l’integrazione.
Da esperimento a politica stabile
A raccontarlo oggi è Paolo Naso, consulente per i rapporti istituzionali e internazionali della FCEI, Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia e già coordinatore di Mediterranean Hope, programma migranti e rifugiati della FCEI.
“Vogliamo alzare l’asticella – spiega nella nostra intervista – visti i risultati positivi condivisi in Italia anche con diverse forze politiche e sociali critiche sul tema delle migrazioni. E allora perché non trasformare questa pratica in una politica strutturale europea? Cioè non più solo un buon esempio ma una sorta di ‘corridoio permanente’. Il riferimento è sempre a qualche decina di migliaia di persone e sempre nella formula della sostenibilità e dell’accoglienza garantita”.
Dunque da oggi l’obiettivo diventa una “pratica europea sistematica”, che ancora manca, purtroppo, a causa – spiega ancora Paolo Naso – della “paura politica che una apertura al tema delle migrazioni porti una crisi di voti e di consensi”. Le “crisi umanitarie invece dimostrano che se la migrazione è governata, contingentata, e le persone vengono accolte e accompagnate a rendersi autonome, come è avvenuto con i corridoi umanitari, tutto questo genera una nuova immagine della migrazione anche è positiva. Quello che la gente non accetta – aggiunge – è la migrazione illegale: questo l’opinione pubblica non lo sopporta e reagisce con pratiche anche violente. Noi crediamo invece che un’azione contingentata e sostenibile con numeri e verifiche certe, può cambiare la narrazione in tema di migrazioni “.
L’integrazione fa miracoli e la società civile è una forza
L’integrazione resta un fattore comunque primario. Paolo Naso racconta dei “miracoli” cui ha assistito. “Non c’è buona migrazione senza integrazione, è un dogma”, spiega. Il sistema di accoglienza italiano lo Sprar poi smantellato, era un “progetto di integrazione fatto con i diretti interessati” e funzionava. Dobbiamo – aggiunge – promuovere e attivare la società civile, è questo il segreto. Distribuire in piccoli gruppi locali le persone che arrivano in Italia. Così “nasce un processo di scambio reciproco che in due o tre anni consente alle persone di iniziare una strada nuova e raggiungere eccellenze. C’è chi ha aperto negozi, chi si è specializzato in settori tecnici e chi è diventato il primo ricercatore universitario grazie agli studi effettuati in Italia: è un processo virtuoso che dimostra che se l’immigrazione è accompagnata fa bene alla società, ma tutto deve essere governato e l’azione della società civile fa la differenza”.
Ecumenismo pratico
Ma cosa significa lavorare insieme Comunità di Sant’Egidio, la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia (FCEI), la Tavola Valdese, per un progetto come quello dei corridoi umanitari? Alla domanda Paolo Naso non ha dubbi: “ha significato un consolidamento della pratica ecumenica, che certo non nasce con i corridoi umanitari ma con questo progetto ha trovato plastica chiarezza nei confronti di tutti. Insieme aiutiamo il prossimo e l’Italia ad aprirsi alla dimensione dello scambio. Un ecumenismo nell’azione e nella prassi. E poi – aggiunge – lavorare insieme ci ha dato molto dal punto di vista della fede. Chi arriva da noi con vite spezzate e occhi spenti in qualche tempo si rimette in sesto e rinasce. Per noi cristiani è una esperienza di resurrezione alla luce della fede. Forse non è un caso – conclude – che il progetto sia politico, i soggetti che ne usufruiscono siano per lo più musulmani e l’abbraccio sia cristiano, come quello del Samaritano che si ferma, accoglie e cura”.