Convegno sulla Teologia negativa: Dio, l’inconoscibile alla mente, che parla al cuore

Vatican News

Adriana Masotti – Città del Vaticano

La teologia negativa, che si astiene dal definire Dio, affermando piuttosto ciò che Dio non è, ha caratterizzato l’approccio dei Padri della Chiesa nel loro dialogo con la filosofia e la cultura del loro tempo. “Alla luce del magistero di Papa Francesco, questo approccio può offrire preziose intuizioni per il dialogo interreligioso e interdisciplinare, mettendo la realtà prima dell’idea”. E’ da questa convinzione che nasce l’iniziativa delle due istituzioni pontificie. “Ebrei, cristiani e musulmani – si legge ancora nel comunicato stampa che ne dà notizia – condividono la consapevolezza che Dio è inconoscibile e l’attività di Dio insondabile. Questo può aiutare a superare il fondamentalismo e a mantenere intatto il senso del mistero, favorendo il dialogo, la libertà religiosa, la tolleranza e il rispetto”. 

Un evento on line e in presenza

Alla Conferenza internazionale che si terrà nei pomeriggi del 3 e 4 giugno, si potrà partecipare tramite web o in presenza presso la Pontificia Università della Santa Croce a Roma. Offriranno il proprio contributo studiosi dell’Università di Nottingham, Tilburg, Cracovia, dell’Ateneo Roma Tre e della Pontificia Università della Santa Croce, mentre chiuderà i lavori monsignor Ignazio Sanna, presidente della Pontificia Accademia di Teologia.

Agostino: “Se comprendi non è Dio”

L’iniziativa riporta nella locandina, accanto al titolo, una frase latina utilizzata da sant’Agostino in un Sermone: Si comprehendis non est Deus, ossia: se lo comprendi, allora non è Dio. Con queste parole sant’Agostino, considerato il Padre della tradizione negativa cristiana, voleva esprimere l’assoluta grandezza di Dio in rapporto alla mente umana. Fondamentale l’insegnamento del Concilio Lateranense IV, nel 1215, a questo riguardo quando, affermando i limiti della ragione, sostiene: “Tra il creatore e la creatura, per quanto la somiglianza sia grande, maggiore è la differenza”. E un importante documento della Commissione Teologica internazionale del novembre 2011, alla vigilia dell’Anno della Fede indetto da Benedetto XVI, dichiara: “La teologia giustamente intende parlare veramente del Mistero di Dio, ma al tempo stesso sa che la sua conoscenza per quanto vera è inadeguata alla realtà di Dio, che non potrà mai ‘comprendere'”. 

Teologia negativa: la realtà viene prima delle idee

Tra i relatori alla Conferenza, il professor Giulio Maspero, docente di Teologia dogmatica alla Pontificia Università della Santa Croce. Nell’intervista a Vatican News spiega l’obiettivo della conferenza, gli importanti risvolti pratici del metodo negativo in teologia, i riferimenti in esso contenuti nel magistero di Papa Francesco. Ma la prima domanda non poteva che essere una richiesta di spiegazione di che cosa sia, in parole semplici, la teologia negativa: 

Ascolta l’intervista al professor Giulio Maspero

Per essere più chiaro possibile faccio un esempio: se noi volessimo parlare del mare, sicuramente se il tempo è bello potremmo dire che è azzurro, magari d’inverno o con le nuvole diventa più scuro, possiamo parlare dell’odore del mare, del sapore salato, e dire alcune altre cose, però se vogliamo dire tutto ciò che è il mare, se vogliamo descriverlo tutto in un concetto, non possiamo farlo. Ricordo la famosa storia di Sant’Agostino: sulla riva del mare trova un bambino che con un secchiello prende l’acqua e la versa in una buca, gli chiede che cosa stia facendo, “non vorrai mica svuotare il mare… “. E il bambino che risponde ad Agostino: “Beh, è più sciocco che tu cerchi di capire Dio”. Allora ci sono due tipi di teologia negativa: una che in qualche modo dice che non possiamo dire niente di Dio tranne che esista. Ma c’è un’altra teologia negativa che semplicemente è un’affermazione della grandezza di Dio, cioè che Dio non ci sta nella nostra testa,  perché sennò sarebbe un piccolo Dio. E c’è san Josemaría Escrivá de Balaguer che su questo ci aiuta, perché lui diceva “Dio non ci sta nella mia testa, ma ci sta nel mio cuore”, quindi la teologia negativa può essere letta come un’affermazione della necessità di passare attraverso la relazione personale con Cristo e dell’impossibilità, invece, di ridurre Dio alle nostre categorie, perché Dio è sempre più grande.

Le origini della teologia negativa affondano nel pensiero greco e nel tempo è stata ripresa fino ai giorni nostri, la teologia negativa ha caratterizzato l’approccio dei Padri della Chiesa e lei parlerà proprio di questo nella Conferenza… 

Esatto, perché i Padri della Chiesa sono nati filosofi, la loro cultura era quella del platonismo e del neoplatonismo e perciò hanno dovuto fare un grande salto per riconoscere che il cristianesimo è una dottrina che però nasce da un incontro, nasce dalla relazione personale con Cristo e che non è solo una forma di pensiero. Allora hanno dovuto sviluppare proprio categorie nuove, basti pensare che per Aristotele la relazione è un accidente, quindi qualcosa che se la perdi non cambia niente, per noi, invece, Dio è relazione perché è Padre e Figlio e il loro amore che è lo Spirito Santo. I Padri sono stati i primi a doversi accorgere che la teologia negativa dei filosofi, che sostanzialmente era legata all’insufficienza del pensiero cioè all’insufficienza del soggetto pensante,  doveva essere superata da una teologia negativa intesa invece come affermazione della grandezza dell’oggetto conosciuto e quindi in questo caso di Dio stesso che supera sempre i nostri concetti.

La teologia negativa fa pensare all’approccio verso il divino delle religioni orientali come il buddismo o taoismo dove c’è il concetto del “nulla” a cui tendere. Voi nella conferenza parlerete anche di questo aspetto…

Il nostro è un tentativo che vuol dimostrare anche come dentro il cristianesimo ci siano degli elementi teologici che, in un certo senso, possono diventare un ponte verso altri approcci religiosi che, come nel caso buddista, riconoscono l’identità ma magari non hanno un’esperienza forte della differenza perché, appunto, cercano di trovare la pienezza nel perdere la propria identità, quindi nel ‘non’. Noi possiamo mostrare loro che il cristianesimo offre una strada dove possiamo accogliere la differenza come relazione, dove l’alterità non è contraddittoria rispetto all’identità. Faccio un esempio: per amare bisogna essere in due, perché ci sia amore ci deve essere una differenza, nello stesso tempo però questa differenza si dà in un’unità. Quindi quando uno ama non si perde, si trova, però si trova fuori di sé, non dentro di sé. Allora questa dinamica bellissima dell’amore, alla quale tutti noi aspiriamo, ha la sua radice in Dio stesso perché Dio è amore. E allora quello che cercano queste religioni orientali forse può trovare una risposta anche in una forma di teologia negativa cristiana, che oltre all’identità riesce anche a mostrare la bellezza della differenza che oggi fa un po’ paura.

La Conferenza vuole mettere in luce il contributo che la teologia negativa può dare nel dialogo interreligioso contro la tentazione del fondamentalismo. Ci può far capire meglio quali possono essere le implicazioni in questo senso?

Tutte le religioni monoteiste hanno nelle loro dottrine la regola aurea: non fare agli altri ciò che non vorresti sia fatto te o fai agli altri quello che vorresti fosse fatto a te. Ora, questo è un punto di verità grandissimo che, a mio avviso, affonda nella coscienza della grandezza di Dio, perché l’uomo non si autosostiene, non si autogiustifica. Se Dio è veramente infinito e inconoscibile in tutta la sua grandezza, il mondo che vediamo, il fratello che ho accanto, non è solo disponibile per me, ma la sua esistenza dipende da qualcuno più grande di me, quindi va rispettato. Ogni religione è tentata dal fondamentalismo che è ridurre questa esperienza della grandezza di Dio a dei concetti, a delle regole, mentre noi dobbiamo cercare anche dal punto di vista teologico di promuovere alcuni elementi che possano servire da ponte proprio per incontrarci nella realtà e non litigare sulle forme, perché le forme cambiano sempre, anzi Gregorio di Nissa – che un Padre della Chiesa del secolo IV – diceva che i concetti creano idoli. Allora, Il cammino per essere veramente uomini di religione è andare alla realtà e andando alla realtà ci incontreremo con gli altri.

Riflettere sulla teologia negativa può portare un contributo al dialogo con l’uomo e con la cultura contemporanei che rifuggono spesso dalle verità rivelate, diciamo, rigide?

Assolutamente sì, la nostra intenzione più immediata e quella che ci sta più a cuore, la nostra scommessa è che tornando verso le fonti possiamo dare una risposta più efficace alla sete di Dio che c’è nei nostri contemporanei che è forte perché oggi si nega, magari, una formalità religiosa, ma c’è un grandissimo bisogno di Dio. Oggi quello che sperimenta la postmodernità è una grande paura delle affermazioni assolute, perché la modernità ha prodotto molta dialettica – pensiamo al nazismo, pensiamo al secolo ventesimo con i gulagh sovietici – e quindi in un certo senso noi dobbiamo mostrare all’uomo postmoderno che c’è la possibilità di essere diversi e distinti, in un modo però che non sia dialettico, che non sia nello scontro, ma sia nella relazione. Pensiamo oggi alle rivendicazioni delle donne, delle minoranze: sono tutte richieste molto importanti che vanno sostenute anche teologicamente. Quindi noi abbiamo una grande possibilità nella nostra fede di mostrare alle persone che è possibile essere se stessi senza essere contro qualcuno, perché l’identità di quel qualcuno è radicata in Dio che più grande di noi e quindi il rispetto per l’altro, chiunque egli sia, può essere fondato proprio in Dio.

Può giovare anche al credente avvicinarsi alla realtà di Dio con questo metodo negativo, che non assolutizza?

Quando uno è giovane tende a pensare che ha capito tutto, poi, a mano a mano che va avanti nell’età si rende conto che il papà o i nonni erano saggi perché la realtà è più complicata. In un certo senso penso che nella vita spirituale avviene un percorso simile, perché più uno sta in contatto con Dio più si rende conto che Dio è grande. Nella Bibbia questo avviene soprattutto nei libri sapienziali, basta pensare a Giobbe o al Cantico dei Cantici. Gesù ha detto che bisogna diventare come bambini per il regno dei cieli e il bambino è proprio quello che si sa curato da qualcuno di più grande di lui. Io penso che anche per il cattolico in modo molto pratico nel suo rapporto con Dio, questa dimensione della teologia negativa, cioè la percezione della grandezza di Dio rispetto alle parole o ai concetti che lo possono esprimere, può essere un grande appoggio. Anche a livello pastorale, pensiamo all’Amoris laetitia. Quando Papa Francesco insiste che bisogna iniziare processi, che il tempo è più importante dello spazio, ci sta dicendo proprio questo: guardate che l’azione di Dio è più grande di quello che noi pensiamo, le forme sono importanti ma non sono tutto, noi dobbiamo pensare al bene dell’anima, dobbiamo pensare alla crescita spirituale della persona, non solo verificare come un elettrauto o un meccanico, se la macchina è a posto o non è a posto. Stiamo curando una vita che cresce, qualcosa di bellissimo che abbiamo nelle mani, quindi penso che questo approccio sia proprio importante per la Chiesa nella sua vita spirituale e nella sua vita pastorale.

Come si situa il cammino che voi volete indagare nel contesto del magistero di Papa Francesco, perchè mi pare ci sia un collegamento…

E’ un collegamento intenzionale, noi cerchiamo di promuovere i temi che stanno a cuore al Papa e di sensibilizzare da dentro il mondo universitario su quello a cui lui tiene. In questo caso, la teologia negativa è un elemento della tradizione teologica della Chiesa che va recuperato anche per capire meglio quello che sta dicendo Papa Francesco, per capire anche il suo radicamento dottrinale e tradizionale. In fondo quello che c’è dietro alle sue affermazioni è una coscienza molto forte della grandezza di Dio e della irriducibilità di questa grandezza a delle forme esteriori o esterne. Ma questo è assolutamente in comunione e in continuità con quanti lo hanno preceduto, basti pensare a quante volte Benedetto XVI ha detto che il cristianesimo non è una dottrina  filosofica o una morale, ma è un incontro con Cristo, quindi si tratta di uno sviluppo di questa stessa linea.