Convegno Nazionale per la pastorale della salute: il saluto di Mons. Russo

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Pubblichiamo il testo del saluto che Monsignor Stefano Russo, Segretario Generale della CEI, ha rivolto ai partecipanti al XXII Convegno Nazionale per la pastorale della salute dal titolo: “Gustare la vita, curare le relazioni. Una prospettiva per la pastorale della salute”, che si svolge online fino al 13 maggio.

Carissimi,

è con gioia che saluto gli organizzatori, i relatori e i partecipanti al convegno “Gustare la vita, curare le relazioni”, un appuntamento articolato e ricco d’incontri che analizzano le sfaccettature di significato del gusto, della relazione, della cura: rinnovare nella fragilità lo sguardo di bellezza sulla vita, costruire percorsi di riabilitazione per tutte le età della vita, sperimentare la ricchezza del dono, valorizzare la prossimità.

Dopo la vista e il tatto, oggetto dei precedenti convegni, il protagonista ora è il gusto e non possiamo non concordare sul fatto che perdere il gusto della vita è una delle cose più terribili che possa capitare a chiunque. Essere preda dell’apatia, sprofondare nella malinconia: “È un intorpidimento, una sclerosi, un indurimento dell’essere, un pessimismo oppure un impeto di collera che isola, trincera o divide: la disperazione di quelli che sono o si credono imbrogliati”, scriveva più di quarant’anni fa Albert Lassus ne “I nomadi di Dio”.

Partiamo quindi chiedendoci che cosa dà senso e quindi gusto al nostro vivere? La salute, la progettualità, la fede, il lavoro, ma soprattutto le relazioni. È difficile gustare la vita in solitudine, senza condivisione. In assenza di relazioni, c’è solo compiacimento solipsistico.

In questo anno di pandemia e di chiusure forzate abbiamo visto le relazioni personali scomporsi e ricomporsi nei milioni di pixel delle connessioni video e, allo stesso tempo, sfilacciarsi nei fili sempre più esili di chi, anziano, fragile, emarginato, si è trovato isolato. Colpisce al cuore la terribile solitudine degli anziani nelle Rsa, dei disabili nelle case, dei malati nelle stanze, del “ritiro sociale” di chi ha perso la speranza, sconfitta dalla disillusione. In quale devastante maniera ci siamo resi contro della preziosità impagabile delle relazioni, della necessità di sentirsi ancora e sempre più parte di una comunità. Abbiamo imparato che la tecnologia è utile, ma non può sostituire la relazione, perché è la relazione che cura.

Curare le relazioni non solo nel senso di prendersi cura delle persone, ma anche nel senso di curare le relazioni stesse. Di solito si usa la metafora dell’orto, del giardino, del coltivare, ma qui sottolineiamo anche l’importanza del curare nel senso di terapia, perché a volte le relazioni si ammalano, soffrono. Le relazioni hanno bisogno di manutenzione, di sollecitudine, di amore. E, prima ancora, nel curare le relazioni dobbiamo avere cura di scegliere quelle buone, quelle che ci fanno crescere, quelle in cui ci si mette scambievolmente a servizio, quelle in cui ci si sostiene, quelle che – sembra persino banale ricordarlo ma purtroppo l’esperienza ci insegna che non lo è – non ci lasciano da soli. La relazione autentica è quindi sempre relazione d’aiuto, di reciprocità, anche quando pensiamo di non averne bisogno e anche quando pensiamo che quello che stiamo facendo sia “normale”.

La cura, per essere veramente tale, si riconosce dallo sguardo: è attraverso questo che si compie il cambio di paradigma che si apre con la compassione. Papa Francesco, nel Discorso ai partecipanti all’Assemblea Plenaria della Congregazione per la Dottrina della Fede (30 gennaio 2020), ripreso dalla Lettera Samaritanus bonus, ci ricorda l’importanza del “cuore che vede”: “‘Senza la compassione, chi guarda non rimane implicato in ciò che osserva e passa oltre; invece chi ha il cuore compassionevole viene toccato e coinvolto, si ferma e se ne prende cura’. Questo cuore vede dove c’è bisogno di amore e agisce in modo conseguente”.

E curare le relazioni è soprattutto un compito pastorale. Come dichiarato apertamente nella presentazione del convegno, si vuole ritrovare insieme “quel gusto per la vita che rende forti nell’affrontare le avversità”, perché “la cura delle buone relazioni che diventano sananti è lo strumento per realizzare questo obiettivo”.

Sediamoci allora tutti insieme alla mensa del Padre misericordioso e facciamo nostre le parole del salmista: «Gustate e vedete quanto è buono il Signore» (Sal 34, 9).