Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano
La dimensione esterna prima, poi tutto il resto. È su questo che ci concentra il Consiglio europeo di questi due giorni, per quanto riguarda il capitolo migranti. I 27 guarderanno agli accordi con la Turchia – che prevedono miliardi di contributo economico per gestire il flusso di rifugiati siriani, assieme anche a Giordania e Libano – come eventuale modello anche da applicare a Paesi dell’Africa, Libia prima fra tutti, alla quale l’Ue guarda con attenzione perché possa avviarsi un processo di stabilizzazione, soprattutto in vista delle elezioni del 24 dicembre prossimo. L’attenzione sarà puntata anche sui salvataggi in mare, sulle varie rotte e sui rimpatri. A restare fuori, il punto dei ricollocamenti, più volte indicato come fondamentale dovere morale, ma accantonato negli ultimi tempi, così come anche questa volta.
La disumana politica dell’Europa
Nessuna speranza di vedere quindi l’attuazione di un meccanismo di ricollocazione, come sollecitato, ad esempio, da un nutrito gruppo di Ong che chiedeva di partire da cinquemila persone vulnerabili provenienti dalla Grecia. In un appello inviato ad Antonio Costa, capo del governo del Portogallo, Paese con il semestre di presidenza dell’Ue, organizzazioni non governative di tutta Europa, sollecitano l’Unione a costituire una coalizione di Stati membri volenterosi, disposti ad avviare tale meccanismo. “Per oltre cinque anni – si legge nell’appello – le nostre organizzazioni hanno assistito alla disumanità della politica di contenimento nei campi delle isole nell’Egeo e dei respingimenti violenti da parte degli Stati membri Ue con il coinvolgimento dell’Agenzia europea Frontex. Queste violazioni del diritto internazionale ed europeo colpiscono migliaia di persone in cerca di protezione in Europa”. Nel testo si ricorda l’assunzione di impegno dell’Europa “a favore dei diritti umani e della dignità umana” e si cita la tragedia di Moria, sull’isola greca di Lesbo, il campo profughi devastato da un gravissimo incendio nel settembre del 2020. Alle speranze riposte nel Nuovo Patto su Migrazione e Asilo, “che avrebbe dovuto segnare un nuovo inizio nell’asilo europeo e nella politica migratoria”, ha risposto un nulla di fatto, con la maggior parte dei migrati di Moria trasferiti in un altro campo, soprannominato Moria 2.0.
La condanna di una solidarietà fallita
La nota prosegue ricordando le condizioni drammatiche in cui, lo scorso inverno, si sono trovate a vivere molte persone, bloccate, ad esempio, sulla rotta balcanica: “famiglie congelate in condizioni degradanti, in tende allagate senza riscaldamento”, si cita l’allarme dei medici per il drammatico peggioramento della salute mentale che si rileva “in questi luoghi di contenimento nelle isole dell’Egeo, in particolare tra i giovani e i minori non accompagnati”. Si parla dell’impossibilità di accesso all’alloggio e ai servizi sociali, a come i migranti, comprese famiglie con bambini e minori non accompagnati, vengano “lasciati a sopravvivere per le strade di Atene e di altre città”. Gli Stati membri, è l’accusa, “hanno fallito” nella loro solidarietà, abbandonando migliaia di persone nelle isole greche senza assistenza e chiudendo gli occhi sulle situazioni alle frontiere dell’Europa.
Si avvii una politica coerente di relocation
Questa lettera – spiega a Vatican News Pippo Costella, direttore di Defence for children Italia, una delle ong firmatarie – è un invito molto forte all’Unione europea a prendere una posizione più chiara e leggibile rispetto a questa necessità di una relocation della popolazione rifugiata, in particolare, e con urgenza, sulla Grecia”. Finora, prosegue Costella, “le iniziative sono state sporadiche e non sufficienti, per migliaia di persone in gravissima difficoltà”. Quello che si chiede, quindi, di fronte al girarsi dall’altra parte degli Stati membri, è “un’assunzione di responsabilità che finora non c’è stata, un’analisi della situazione che sia realistica e in linea con i principi e le norme che devono guidare le nostre democrazie”. L’appello inviato al premier Costa denuncia quindi un’omissione, una fuga dai propri obblighi di fronte a popolazioni che si trovano in grave difficoltà e sollecita “una prima identificazione di 5.000 possibili relocation, persone vulnerabili provenienti dalla Grecia, che poi possa continuare in una politica coerente”. Pur nella consapevolezza che l’appello possa restare inascoltato, conclude Costella, “sembrava comunque a tutte le organizzazioni impegnate in questa azione che fosse importante parlare e dare voce a questa istanza”.