Benedetta Capelli e Debora Donnini – Città del Vaticano
Dolore e sgomento da più parti nel mondo, per l’uccisione stamani, nella Repubblica democratica del Congo, dell’ambasciatore Luca Attanasio, di 43 anni, del carabiniere trentenne Vittorio Iacovacci e del loro autista congolese Mustapha Milambo. Stavano viaggiando a bordo di una autovettura in un convoglio della Monusco, la missione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per la stabilizzazione nel Paese africano. L’attacco sarebbe stato un tentativo di rapimento. Il ministero dell’Interno congolese ha accusato i ribelli hutu ruandesi delle Forze democratiche per la liberazione del Ruanda Fdlr-Foca.
Nato a Saronno e padre di tre figlie, Attanasio era sposato con la presidente dell’associazione umanitaria “Mama Sofia”, Zakia Seddiki, e lo scorso anno aveva ricevuto il Premio Internazionale Nassiriya per la Pace. Il carabiniere deceduto, Vittorio Iacovacci, 30 anni, di Sonnino, in provincia di Latina, apparteneva al XIII Reggimento “Friuli Venezia Giulia”, di stanza a Gorizia, e si era specializzato proprio come addetto alla protezione e scorta di personale sensibile. Era fidanzato e stava programmando le nozze per questa estate. Una notizia che ha scosso fortemente, dunque, anche la comunità di Sonnino. Il vescovo di vescovo di Latina- Terracina-Sezze e Priverno e vicepresidente della Commissione delle Conferenze episcopali dell’Unione europea, monsignor Mariano Crociata, nell’intervista esprime vicinanza e partecipazione al dolore della famiglia e la preghiera per lui e per tutti quelli che hanno perso la vita in questo tragico attentato.
R. – Personalmente ho chiamato la famiglia che evidentemente è prostrata dallo strazio e attorno a loro si stringono i diversi vicini e parenti di questo Borgo di Sonnino che è servito pastoralmente dalla comunità che tiene la parrocchia di Fossanova. Già questo pomeriggio, a Fossanova, viene celebrata la Messa per Vittorio Iacovacci e per gli altri che sono stati uccisi. La prima cosa da dire e da fare è questa: la prossimità, la vicinanza. La seconda cosa da dire è che bisogna cogliere il senso di testimonianza che ha questa fine così tragica perché ci sono persone che nell’adempimento del loro lavoro, del loro dovere, all’interno di un servizio diplomatico, di un lavoro nell’ambito della sicurezza, pur consapevoli dei rischi che corrono, si mettono al servizio di una causa di pace in una terra difficile nel contesto delle Nazioni Unite. Questo è un fatto positivo. Ci sono persone che, consapevoli del rischio, si mettono al servizio della pace. Questo è il secondo messaggio da cogliere in questo momento. E la terza riflessione da fare è che ci sono situazioni politiche e militari in Paesi come la Repubblica Democratica del Congo, e bisogna dire guardando le cose, senza controllo, con la responsabilità di poteri economici e politici. Io credo che l’opinione pubblica deve diventare sempre più consapevole di questo e far sentire la propria voce. I mezzi di comunicazione devono parlare. Non sono fatalità quelle che accadono così. Sono fenomeni prodotti da disordini, ingiustizie in qualche modo alimentate, quantomeno sopportate e non contrastate debitamente da un ordine di giustizia e di legalità, che purtroppo in troppi territori manca. Quindi direi queste tre cose: la vicinanza, l’espressione della preghiera e della fede per la famiglia e per chi è stato colpito, il senso di stima e anche l’esemplarità di chi si mette a servizio, anche a rischio della propria vita, e poi questa coscienza di responsabilità. Tutto questo sta dietro a questa situazione.
Sentendola parlare viene in mente la parola che Papa Francesco ripete spesso: la necessità di avere “costruttori di pace”. Abbiamo parlato del carabiniere Iacovacci, ma anche Luca Attanasio, questo ambasciatore così giovane con una moglie fortemente impegnata per il riscatto delle donne nella Repubblica Democratica del Congo. Parlare di costruttori di pace in un tempo di pandemia, di difficoltà, è veramente anche un messaggio: nella tragicità dare luce a queste esperienze di vita…
R. – È un valore non soltanto in un tempo come questo in cui si rischia di essere ripiegati su sé stessi, presi dalla tentazione dell’egoismo e dell’autoreferenzialità ma vale per una cultura come la nostra che purtroppo è troppo chiusa in sé stessa, alla ricerca di un benessere o della soluzione dei propri problemi. Quindi, il messaggio che viene e anche il richiamo del Papa in questo senso, è che non si può vivere solo pensando a sé stessi ma bisogna proiettarsi verso gli altri, raccogliendo l’esemplarità di queste testimonianze. Si tratta di costruttori di pace e, come loro, dobbiamo diventarlo in qualche modo tutti, aprendo la mente e il cuore al senso di ciò che sta accadendo qui da noi e lontano da noi. Senza dubbio l’appello è proprio questo.