Adriana Masotti – Città del Vaticano
Seconda giornata di lavori oggi per la 1a Conferenza Internazionale “Ethics of Engineering Life”, “Etica dell’ingegneria biologica”, promossa nella sede della Radio Vaticana da NCCR Molecular Systems Engineering dell’Università di Basilea e dall’ETH di Zurigo, insieme alla Pontificia Accademia per la Vita e all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. L’obiettivo è un ampio confronto interdisciplinare e tra le diverse religioni sulle nuove prospettive di cura aperte dall’applicazione dei principi ingegneristici in medicina.
Nuovi approcci su cui riflettere
L’ingegneria dei sistemi molecolari e cellulari per applicazioni cliniche utilizza le competenze acquisite in tutto il mondo negli ultimi 10 anni, spiegano in un comunicato i promotori della Conferenza. Progressi verso l’applicazione dei principi ingegneristici alle procedure cliniche e al ripristino delle funzioni corporee sono realizzati attraverso lo sviluppo di terapie geniche e cellulari. I tentativi riusciti includono il ripristino della vista, il controllo dei disordini metabolici o la crescita di tessuti e organi. Mentre a lungo termine tali approcci di ingegneria dei sistemi aiuteranno a curare, i metodi per modificare, correggere e/o integrare il genoma dei pazienti possono essere utilizzati per migliorare lo stile di vita di una persona, ma possono venire utilizzati in modo improprio in vari modi.
Un confronto internazionale interdisciplinare
Proprio per affrontare gli aspetti etici legati allo sviluppo in senso ingegneristico della vita, la 1a conferenza internazionale “Ethics of Engineering Life”, ha riunito alcuni degli esperti interessati allo sviluppo e all’applicazione degli approcci per modificare e controllare i sistemi viventi, i clinici che applicano tali procedure, esperti di etica, filosofi, comunicatori, artisti e rappresentanti delle diverse fedi religiose. Al microfono di Vatican News, padre Carlo Casalone, collaboratore della Pontificia Accademia per la Vita e docente di Teologia morale alla Università Gregoriana, tra i relatori alla Conferenza, spiega in che cosa consiste la vita ingegneristica, quali sono i punti su cui è importante concentrare l’attenzione orientata al bene della persona e dell’umanità e qual è l’approccio delle religioni, sgombrando anche il campo da alcuni pregiudizi.
Padre Casalone, cominciamo spiegando che cosa si intende quando si parla di ingegneria dei sistemi molecolari e cellulari?
S’intende la possibilità che si sta ampliando – a causa dei progressi delle scienze nel campo della vita, della biologia, della genetica, ma non solo anche dell’informatica – di intervenire nei processi biologici, modificandoli in modo tale che possano essere orientati al miglioramento della salute di fronte a malattie, di fronte a situazioni patologiche.
L’ obiettivo è quindi il miglioramento della condizione dei pazienti di alcune malattie. Ci fa un esempio?
Per esempio, abbiamo appena ascoltato in Conferenza la relazione di un oculista che interviene in certe patologie che portano alla cecità introducendo un gene che permette di ripristinare la funzione lesa e quindi alle persone di vedere nuovamente.
L’intervento di tipo ingegneristico sulla vita umana pone inevitabilmente degli interrogativi etici. E così? E se è così, quali sono i criteri etici che secondo voi dovrebbero essere rispettati?
Innanzitutto c’è il tema di far comprendere bene queste terapie in modo che chi le riceve possa prestare il proprio consenso in modo valido e informato. Sono tecnologie complesse, quindi la comunicazione deve fare in modo che le persone che possono avvalersi di questi modi molto avanzati di intervento terapeutico possano comprendere quello di cui si tratta. Il secondo punto è che sono terapie a livello sperimentale in alcuni campi, per cui bisogna arrivare ad un consolidamento della sicurezza di queste terapie. Terzo punto è la loro distribuzione: sono terapie che vengono da percorsi molto lunghi di ricerca e per cui alla fine risultano molto costose. Naturalmente, diffondendosi, i costi potranno ridursi, ma al momento attuale bisogna fare attenzione ai destinatari. Sono veramente destinate a tutti? Oppure ci saranno delle disuguaglianze e delle ingiustizie nell’accesso alle cure.
Ma sarà possibile correggere quest’ultimo aspetto?
È l’impegno di tutti cercare di correggerlo perché ci sono delle cure di base che sono carenti e bisogna stabilire delle priorità. È indubbio che il progresso della medicina è sempre andato avanti così, attraverso dei ritrovamenti di terapie che prima non erano diffuse, che all’inizio erano costose e poi pian piano siamo stati capaci di diffondere. Però questa domanda è molto importante, perché si tratta di capire che ognuno ha la sua parte di responsabilità. C’è una parte che riguarda i ricercatori, c’è una parte che riguarda i finanziatori, c’è una parte che riguarda i decisori politici, c’è una parte che riguarda chi ha il compito di educare e formare non solo i giovani, gli studenti, le università, ma anche l’opinione pubblica di quello che abbiamo fra le mani. E quindi ciascuno è chiamato a prendersi la propria parte di responsabilità, in modo che tutti insieme possiamo contribuire al bene comune, come direbbe Papa Francesco, non solo al progresso scientifico, ma ad uno sviluppo umano integrale di tutte le persone in tutto il mondo.
Per quanto riguarda la comunità scientifica, in questo momento c’è un comune sentire oppure ci sono prospettive diverse?
Certe volte abbiamo l’idea della comunità scientifica come di una comunità in cui le evidenze mettono tutti d’accordo. Ma non è così. La comunità scientifica ha un ambito di dibattito, di dialettica, in cui pian piano quello che ciascuno scopre viene condiviso con gli altri e si cerca quelle evidenze su cui si può costruire un consenso. Quindi il consenso è un pò un risultato successivo al dibattito, non è un punto di partenza. Inoltre, come nella popolazione in generale, anche fra gli scienziati esistono diverse prospettive etiche, per cui c’è qualcuno che ha un approccio più utilitarista, qualcuno che ha un approccio più contrattualistica, qualcuno un approccio più personalista che è quello che a noi sta maggiormente a cuore, cioè una visione della persona che è sempre costitutivamente in relazione e che va promossa in tutte le sue dimensioni. Per esempio, la salute non è un assoluto. Certamente c’è la salute, ma c’è anche l’educazione, c’è anche la capacità di crescere nella vita spirituale, nel prendersi le responsabilità nei confronti degli altri, per cui la salute è uno degli aspetti che dobbiamo integrare in una visione complessiva dell’essere umano.
Perché questa Conferenza, una Conferenza internazionale, e perché in questo momento?
In questo momento perché l’abbiamo rimandata molte volte a causa della pandemia, ma in questo momento anche perché questi temi stanno emergendo, per ora non sono tanto visibili nell’opinione pubblica, ma esploderanno nei prossimi anni. Ed è importante che noi, come credenti, diamo il nostro contributo nell’interpretare non solo il senso di un sano sviluppo, delle conoscenze e delle tecnologie che abbiamo a disposizione, ma anche per orientare la ricerca in modo che risponda ai bisogni più fondamentali delle persone in una visione globale e non solo, per esempio, limitata alla visione dei Paesi ricchi.
Quali sono i temi che in modo particolare state affrontando e approfondendo in questi giorni?
Abbiamo affrontato diversi aspetti. Abbiamo cercato di mobilitare diverse discipline per affrontare dei temi che partono dalle scienze biologiche, ma che non si fermano nei laboratori, per cui abbiamo avuto una parte che riguarda i progressi delle biotecnologie e quali sono gli interventi che attraverso la genetica si possono fare sulle cellule umane. Ma anche in che modo le nuove tecnologie digitali ci permettono di fare, per esempio, dei modelli sperimentali – che prima erano fondamentalmente animali, oppure, a partire dall’esperienza della sperimentazione clinica -, di fare invece dei modelli digitali su cui è possibile fare dei test per vedere come reagiscono e che possono essere una forma di simulazione di quello che succede nella persona vivente. E questo è l’aspetto dell’informatica, c’è poi l’aspetto della comunicazione: abbiamo invitato a parlare anche qualcuno che si interessa di comunicazione in generale, comunicazione scientifica, per permettere a queste novità che si producono nei laboratori di essere conosciute dalle persone in modo che la comunicazione non sia né minacciosa né semplicistica, come invece abbiamo visto che è capitato durante la pandemia quando è stato difficilissimo mettere insieme le notizie che venivano dal mondo scientifico con la gente comune e l’opinione pubblica ha reagito a volte senza capire bene quello di cui si parlava.
E poi c’è tutta una componente etica e anche il ruolo delle religioni…
Abbiamo fatto, per esempio, una tavola rotonda in cui le diverse tradizioni religiose, a partire dall’ebraismo, l’Islam, il buddismo e naturalmente il nostro punto di vista cristiano cattolico, hanno potuto esprimere la loro sensibilità nei confronti del progresso, della scienza, dell’intervento sul genoma, che sono le basi molecolari della vita e che quindi hanno uno stretto collegamento con Dio Creatore, per poter non solo confrontarci tra noi, ma anche far capire a chi lavora nel mondo della ricerca che le prospettive religiose non sono contrarie a questo genere di conoscenza o anche di intervento, ma promuovono anche una saggezza che può tornare a vantaggio di tutti.
E questo è il contributo specifico, diciamo, delle strutture cattoliche della Chiesa…
Sì. Penso che la Pontificia Accademia per la Vita, anche nell’idea di Papa Francesco con il suo nuovo statuto, sia proprio quello di favorire una circolazione, un confronto delle idee non solo all’interno della comunità credente, ma anche con coloro che non credono, perché possa esserci la reciproca conoscenza che molto spesso stiamo vedendo abbattere dei pregiudizi che non hanno nessuna ragione di stare in piedi.